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Economia

Crolla il mito del Bund. La Germania rinnega sé stessa: "Basta regole, fate più debito"

Seppur per un breve lasso di tempo, nel corso della mattinata lo spread tra i titoli di Stato italiani a dieci anni e i bund tedeschi di pari scadenza è sceso sotto la soglia psicologica dei 100 punti base. Non accadeva dal settembre 2021, ma stavolta l'andamento del differenziale tra i rendimenti di Btp e Bund ha tutta un'altra connotazione. La fase storica internazionale in cui è entrato il blocco occidentale, segnata dalla guerra in Ucraina ma soprattutto dal radicale riposizionamento degli Stati Uniti nella politica estera e di difesa, si riflette nel mercato dei titoli di Stato dell'Eurozona, che inizia a tararsi sui rischi che l'ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca ha recato con sé. L'allontanamento sempre più marcato tra le due sponde dell'Atlantico è destinato infatti a rivoluzionare le relazioni diplomatiche ed economiche ma avrà riflessi anche sugli equilibri finanziari finora consolidati.

Almeno questo sembra essere l'orientamento dei mercati che hanno dato sfogo a uno smaccato sell-off dei titoli di Stato tedeschi. I tassi sui Bund tedeschi a 10 anni sono schizzatidi 29 punti base superando il 2,7%. Un rialzo che non si vedeva da marzo del 1990, cioè pochi mesi dopo la riunificazione della Germania. In questo contesto lo spread tra Btp (comunque arrivati al 3,9%) e titoli tedeschi è ovviamente in calo, con il differenziale che si muove attorno ai 106 punti base. Segno che qualcosa sta mutando. Rileva non tanto, o comunque non solo, la percezione di affidabilità del governo italiano guidato da Giorgia Meloni, con la sua attenzione focalizzata sulla tenuta dei conti, sul contenimento del deficit e sul rispetto dei parametri europei in materia fiscale. Quanto piuttosto il cambio di contesto in cui si muovono tutti i titoli di Stato dell'eurozona, specie quelli tedeschi. 

Sul piano europeo, infatti, i rendimenti sono tutti in salita dopo l'annuncio da parte della Commissione Europea di un piano di riarmo che dovrà necessariamente essere aiutato da un aumento della spesa pubblica, al momento legata dalle regole Ue sul deficit e sul debito. La presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che l'industria della difesa europea potrebbe arrivare a mobilitare quasi 800 miliardi di euro. E ha anche proposto di concedere agli Stati membri una maggiore flessibilità fiscale per gli investimenti nella difesa, insieme a 150 miliardi di euro in prestiti per sostenere queste iniziative. Bruxelles si prepara quindi a tornare sul mercato per contrarre nuovi debiti con cui finanziare prestiti per la produzione di armi. È l'effetto Trump, che sembra orientato ad abbandonare l'Ucraina al suo destino sospendendo gli aiuti militari o comunque - se dovesse andare in porto l'accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie - utilizzandoli come arma di negoziazione per indurre Kiev a quella che Washington chiama pace ma che a tutti sembra una resa alla Russia di Vladimir Putin. 

Il cambio di paradigma sta producendo smottamenti di portata per certi versi epocale. Secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, Berlino avrebbe chiesto alla Commissione di riformare le norme fiscali per consentire agli Stati membri maggiori spese per la difesa, senza incorrere in violazioni della normativa Ue. Se confermato, sarebbe un titolo da caratteri cubitali: la Germania negli ultimi due decenni ha incarnato il ruolo di custode del rigore fiscale, opponendosi sempre strenuamente a ogni proposta di modifica delle regole europee sui bilanci nazionali. Ha usato il pugno duro nella crisi del debito greco, ha sempre richiesto il pieno rispetto dei limiti, ha sempre professato il codice dell'austerità e ha sempre alzato un muro alle richieste degli altri Paesi di maggiore flessibilità. Ora il vento sta cambiando, prima di tutto a Bruxelles. 

La forma dei nuovi strumenti finanziari europei è ancora tutta da definire ma il possibile arrivo sul mercato di nuovi titoli targati Ue e garantiti dal bilancio comunitario sicuramente attrarrà l'attenzione degli investitori orientati sul mercato obbligazionario sovrano e sugli asset a basso rischio. Ma l'aumento dei rendimenti dei Bund, che nell'area di investimento finora (e anche in futuro) spadroneggiano, è innescato anche da altre cause, la maggior parte dovute a fattori interni.

L'economia tedesca arriva da due anni consecutivi di recessione e al momento è stimato che possa chiudere in negativo anche il 2025. Se poi dovesse scoppiare la guerra commerciale con gli Stati Uniti l'economia tedesca si candida a essere la più colpita, vista la sua vocazione all'esportazione e l'impatto sulle tariffe per i beni destinati al mercato americano. Inoltre l'adozione di contromisure rischia di alimentare nuove spinte inflattive, suggerendo così alla Banca Centrale Europea di sospendere la politica di tagli dei tassi. Difficoltà che il futuro governo tedesco guidato dal cancelliere in pectore e leader della Cdu Friedrich Merz dovrà affrontare modificando il freno al debito previsto dalla Costituzione. 

Cdu-Csu e Spd, i due partiti che probabilmente formeranno la futura Grosse Koalition, hanno annunciato di aver raggiunto un'intesa per stanziare prestiti miliardari per la difesa e le infrastrutture. Questo potrà avvenire grazie a una riforma del freno al debito, prevista per la fine dell'anno. Merz ha annunciato che verrà creato un nuovo fondo speciale da 500 miliardi di euro per la spesa infrastrutturale, della durata di dieci anni. Il leader della Spd, Lars Klingbeil ha specificato che 100 miliardi di questa cifra dovrebbero essere stanziati per i Laender. 

"Voglio dire molto chiaramente che, date le minacce alla nostra libertà e alla nostra pace nel nostro continente, per la difesa deve valere il principio whatever it takes", ha detto Merz ricorrendo alla celebre frase usata da Mario Draghi ai tempi della Bce, quando rappresentava la nemesi di Berlino, osteggiato dalla politica nazionale e descritto dalla stampa tedesca come un "Dracula" che utilizzava i soldi dei cittadini tedeschi per pagare i debiti dei Paesi del Sud Europa. Merz ha indicato la strada in una modifica delle attuali norme costituzionali prevedendo che "un importo di oltre un punto percentuale di Pil destinato alla difesa" non venga conteggiato nel cosiddetto freno al debito. Questa modifica costituzionale dovrebbe essere approvata dal parlamento tedesco nella sua precedente composizione, dove è più facile per Spd e Cdu-Csu raggiungere la necessaria maggioranza qualificata.

La riforma del freno al debito è stata la causa che ha fatto cadere il governo Semaforo, guidato dal cancelliere uscente Olaf Scholz, a causa della ferma opposizione dei liberali di Christian Lindner, rimasti fuori dal Bundestag alle elezioni di febbraio. L'annuncio di mettere mano all'indebitamento è un game-changer. Ecco quindi che il movimento sui bund tedeschi trova spinta dall'allentamento fiscale proposto e che comporterà, se approvato, ricadute consistenti sul debito pubblico.

Secondo Commerzbank, queste decisioni comporteranno un notevole aumento del debito nei prossimi anni (63,6% del pil nel 2024) facendolo salire di 10 punti percentuali solo in ragione del nuovo fondo speciale. Inoltre, calcolano gli analisti, un incremento della spesa per la difesa al 3,5% del pil comporterebbe una ricaduta in termini di debito/pil di 2,5 punti all'anno con la prospettiva di arrivare a un rapporto vicino al 90%. Per la banca svizzera Ubs la riforma del freno al debito avrebbe due effetti principali: togliere limiti alla spesa per la difesa (attualmente era prevista al 2,3% del pil fino al 2028) e liberare per altre iniziative delle risorse attualmente destinate alla difesa e contabilizzate nei limiti di bilancio.

Ma sulla proposta di fare più deficit è d'accordo anche la Bundesbank, la banca centrale del Paese da sempre falco del rigore e ora convertita alla novella che fare debito si può senza per questo scassare i conti pubblici. Tuttavia il cambio di orientamento ha naturalmente un costo: porterà gli investitori a richiedere un premio per il rischio maggiore per sottoscrivere i titoli di stato tedeschi. Crolla, in altre parole, la sacralità del bund, forse per far spazio al primato - sempre più necessario - di obbligazioni garantite dall'Ue, e di fronte alla realtà di un mercato che evidentemente continua a scegliere i titoli del Tesoro statunitensi come bene rifugio preferito. 

Il motivo per cui i rendimenti dei bund sono sempre stati piuttosto compressi, facendo così salire lo spread con i titoli di altri Paesi dell'eurozona, è che sul mercato ce ne sono sempre stati pochi. La politica fiscale tedesca ha peccato di sottoinvestimenti nell'economia, alimentando un'arretratezza infrastrutturale - specie nella Germania orientale - che ha prodotto seri guasti. In politica ha favorito l'ascesa della destra neonazista e populista, in economia ha comportato una compressione della domanda interna, che per decenni è stata bilanciata dalla forza trainante dell'export. Le esportazioni però sono ora sotto attacco a causa dei dazi di Trump ma prima ancora dell'aumento dei costi produttivi dopo l'aumento dei prezzi energetici per la fine delle forniture russe di gas. 

Come spiegato bene da Tomasz Wieladek, Chief european economist di T. Rowe Price, al momento, gran parte dello stock di Bund è ancora di proprietà del settore pubblico. Le banche centrali straniere ne possiedono circa il 30% a fini di gestione delle riserve, mentre l'Eurosistema ne possiede circa il 25% a seguito delle passate politiche di Qe. Il settore privato possiede meno del 50% dello stock in circolazione. Ma la domanda di Bund è sempre stata molto alta. Ciò significa che il comportamento del Bund sul mercato obbligazionario è stato notevolmente distorto in passato, con i Bund che spesso sono scesi in territorio negativo. I Governi che si sono susseguiti, gran parte guidati da Angela Merkel, hanno sempre limitato l'offerta di bund, riducendo cioè al minimo le emissioni e quindi i prestiti allo Stato federale (per investimenti e spesa sociale). Una minore offerta a fronte di una forte domanda ne ha fatto salire il valore e crollare il rendimento. Ora l'aria è cambiata. A Berlino l'idea è di mettere in primo piano la spesa per difesa, infrastrutture e investimenti, anche a costo di minare la purezza del bund. Che ora gli investitori si affrettano a vendere prima che un aumento dell'offerta ne faccia diminuire il valore. Sotto i colpi di Trump e di Putin si chiude così una parentesi durata vent'anni improntata a una filosofia economica fallace ma applicata in casa e imposta in Ue con un rigore inscalfibile, costata cara tanto alla Germania quanto all'Europa intera.

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