Seconda Guerra Mondiale

Le parole di Maurizio Serra possono aiutarci ad introdurre una figura complessa e sfaccettata come quella malapartiana: lo scrittore pratese è definito dal curatore della sua biografia «uno degli interpreti più singolari del ventesimo secolo» 1 . Curzio Malaparte è in effetti un autore del tutto singolare, unico nel panorama letterario novecentesco: personaggio pieno di ombre e sfumature, testimone storico per sua natura sfuggevole ed intrinsecamente bugiardo. Collocarlo in una corrente o in una categoria definita è impresa quasi impossibile, ma è forse proprio qui che risiede parte del suo fascino peculiare; l'essere tutto e il contrario di tutto, l'essere costantemente 'altro'. La complessa personalità di un scrittore poliedrico come è stato Malaparte (fu narratore, giornalista, saggista, ufficiale, poeta, regista) riserva innumerevoli ed innegabili difficoltà di 'decodifica' agli occhi di lettori e studiosi. Proprio questa difficoltà mi ha spinto ad approfondire lo studio su questo autore, che forse più di altri riuscì a cogliere le profonde inquietudini del Novecento, soprattutto di quella tragica prima metà sconvolta dai due conflitti mondiali.

Il volume è dedicato a una zona del paese di Nonantola divenuta, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, simbolo dell'assurdità dei conflitti armati con il loro strascico di innocenti vittime civili, in particolare bambini, come accadde con il bombardamento che la mattina del 20 novembre 1944 lì uccise undici persone.

La pubblicazione di parte dei Diari di Ioannis Metaxàs qui raccolti, quelli che vanno dal 1936 al 1941, offre  la possibilità di rivisitare il periodo precedente all’attacco italiano alla Grecia del 1940 dalla prospettiva greca, offrendo una serie di indicazioni che chiariscono in che termini la stessa recepisse e rispondesse, negli anni immediatamente precedenti, alle lusinghe ed alle minacce italiane; la Grecia in realtà non aveva più dubbi su quanto attendersi a seguito dell’invasione italiana dell’Albania.

Tale documento è anche primario complemento alle memorie dell’Ambasciatore Grazzi (Il Principio della fine: l’impresa di Grecia, ETPbooks, 2018), unitamente alle quali è possibile ricostruire, per voce dei due protagonisti di quelle vicende, un quadro esauriente dei fatti preliminari al conflitto.

Nondimeno, i Diari di Metaxàs offrono un dettagliato rapporto dei complessi rapporti diplomatici tra la Grecia e gli altri paesi dell’area balcanica. Tali rapporti si articolarono in un complesso intreccio di alleanze e di proclamate non ingerenze, che permise alla Grecia di proteggere la propria fragilità militare ed economica da quella polveriera costituita da Paesi ancora soggetti alle precarie conseguenze delle guerre balcaniche.

E infine i Diari rappresentano valido strumento per indagare sulla figura del Metaxàs, ancora oggi indagato da parte degli studiosi internazionali per la natura della sua dittatura, sulle cui caratteristiche il dibattito non si è esaurito.

This paper deals with the short life and history of a particular command
of the R.S.I. Armed Forces. The CISU, Officers Selection Integrative Center, located in Acqui (Piedmont), was a command created to accept and put back into service Italian officers from Nazi’s concentration camps, then to become training and doctrinal development center for the counter-partisan guerrillas.

Se l’occupazione italiana della Jugoslavia nella Seconda guerra mondiale è oggetto di un’abbondante produzione storiografica, la specificità del presente lavoro sta nel fatto che l’autore si concentra sulla ricostruzione degli eventi avvenuti tra il 1914 ed il 1943 a Dubrovnik (Ragusa) e i suoi territori limitrofi avvalendosi di fonti storiografiche e documentarie oltre Adriatico. Attraverso l’analisi di fonti e ricerche di storici croati, l’autore riesce ad offrire una prospettiva più estesa, approfondendo, ridimensionando o confermando tendenze analitiche generali abbondantemente affermate e dibattute.

La guerra nella Valle Peligna giunse dal cielo, nell'estate del 1943, con i bombardamenti e i mitragliamenti anglo-americani sulla popolazione, poi da terra, con l'occupazione tedesca, in modo stabile e permanente dal 13 settembre all'8 giugno del 1944. Le vittime civili furono numerose, i danni alle infrastrutture e al tessuto sociale, incalcolabili. Come accadde altrove, anche in Valle Peligna la presenza tedesca alimentò sporadici fenomeni di resistenza non armata e comunque non sufficiente a suscitare particolare preoccupazione tra i comandi germanici. I casi di collaborazionismo e delazione, al contrario, furono frequenti e le conseguenze, in diversi casi, molto gravi...

La storia dei rapporti tra Italia e Germania dopo la seconda guerra mondiale è una delle chiavi per capire le contraddizioni dell'Europa contemporanea. L'Italia fu tra i principali sostenitori della rinascita di uno Stato tedesco affrancato dall'influenza sovietica: i due paesi dovevano far parte dello stesso sistema di relazioni economiche e politiche. Partendo dall'analisi del punto di vista italiano sulla «questione tedesca», il volume ricostruisce, anche attraverso le reciproche percezioni, le matrici politiche ed economiche alla base delle relazioni bilaterali dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni Cinquanta. In questo decennio presero forma quelle peculiari condizioni geopolitiche su cui si sarebbero fondati i rapporti tra Italia e Repubblica Federale durante il periodo della guerra fredda.

Un lavoro di ricerca, per dare un volto ai nomi impressi sul freddo marmo del Monumento ai Caduti, ha dato vita ad un racconto che scrive un pezzo di storia di Castel Lagopesole, borgo della Regione Basilicata, e dei suoi abitanti tra le Due Guerre Mondiali.
Attraverso documenti di archivio, pubblici e di famiglia, fonti orali e immagini sono state ricostruite le vite di quei soldati, sacrificate per la Patria, collocandole tra le pagine della storia.
Episodi simpatici, scene di vita in tempo di pace e di guerra, a tratti toccanti, vengono, inoltre, restituiti per il recupero dell’identità storico-culturale del territorio.
A corredo del testo è presente un’inedita appendice documentaria a supporto della narrazione.

Il volume è stato pubblicato il 4 novembre 2021 in occasione del Centenario della Traslazione del Milite Ignoto nel Sacello dell’Altare della Patria.

The “Valdilocchi Battery” in La Spezia, digital survey and documentation of an architecture on the edge of an epochAll the fortifications have their time. They respond to specific way of defending and attacking they change in time accordingly to the terrible habits of the weaponry and technology evolution. For a long time, from the age of the great fortifications, to the use of cannons, to the invention of the aerial war, the military built heritage have seen a long transformation made of sudden architectural changes, until the moment when the possibility of bombing and attacking from the sky signed the sunset of the large over ground buildings in favour of mimetic and underground structures. The “Valdilocchi Battery” belong to the last age of the large fortress, capable to resist to ground attack while showing the aspect of an inexpugnable stronghold. Sited on the top of a hill in the eastern part of the La Spezia gulf, this battery had the function of second line defense to contro...

Sui crimini contro l'umanità commessi dai partizan slavi nella ex-Iugoslavia tra il 1941 e il 1943 manca uno studio generale, come abbiamo evidenziato nel nostro breve saggio Crimini partigiani in Balcania (1941-1942). Il sacrificio degli Italiani nelle carte della Federazione del PNF di Fiume. Tra le evidenze della nostra analisi vi era l'assoluta mancanza di motivazioni che potessero, non diciamo giustificare, ma far comprendere la soppressione degli Italiani, se non quella di rappresentare un'idea e una nazionalità che i partizan slavi, illegittimi belligeranti, odiavano a prescindere. Il dato che tra i dodici nostri connazionali assassinati censiti dalla Federazione fascista di Fiume nel Giugno 1942 vi fossero ben otto civili, tra cui due donne (Ariella Rea e Francesca Accordino), rendeva bene l'idea dell'indeterminatezza delle accuse che si potevano fare loro, come della genericità delle soppressioni, che non risparmiavano nessuno. E lo si vide bene quando, crollato il sistema difensivo militare italo-tedesco in Istria, le formazioni titine invasero il territorio italiano massacrando la popolazione presente in quella che passò alla storia come la pulizia etnica dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, che per l'appunto non riguardò solo i militari dell'Asse, non riguardò solo i "fascisti", ma tutti gli Italiani, indistintamente. Omicidi, stragi, mattanze sommarie avvenute durante e dopo la fine della guerra, contro gente inerme. Nel nostro breve saggio ci colpì il duplice omicidio di Giovanni Renzi e Francesca Accordino, due insegnanti. Ha subito richiamato alla mente il modus operandi dei titini durante la pulizia etnica della Primavera del 1945, quando i primi ad essere "decapitati" furono proprio gli Italiani che avevano funzioni direttive nelle comunità locali, quindi non solo Podestà, Commissari prefettizi, Segretari comunali, ma anche imprenditori, insegnanti e Sacerdoti. Come abbiamo visto, questa violenza ha radici profonde: nella guerriglia come sviluppatasi in Balcania tra il 1941 e il 1943, quando alla guerra di liberazione nazionale si aggiunsero motivazioni politiche che tramutarono questa lotta-essenzialmente guerriglia-in guerra di classe, guerra etnica, guerra di conquista comunista del potere. Una guerriglia che ebbe la possibilità-a differenza di quanto avvenne nell'Italia settentrionale-di poter fare un salto di qualità, non solo per le masse che riuscì a mobilitare, ma anche per l'importante supporto operativo e materiale degli Alleati, tra i quali si distinsero i Britannici con l'invio di missioni, di armi e di mezzi, tra cui non dimentichiamo anche il sostegno diretto della ricostituita Regia Aeronautica del Regno del Sud, che effettuò aviolanci di armi e materiali, nonché bombardamenti (anche in territorio italiano). Tornando all'oggetto della nostra riflessione, le preoccupazioni delle Autorità italiane per la sorte degli insegnanti che operavano nelle zone soggette all'azione partigiana si sviluppò proprio all'indomani della sconfitta della Iugoslavia (Aprile 1941) a seguito della quale si istituì la Slovenia italiana (Provincia di Lubiana) e la Provincia di Fiume fu ampliata, inglobando alcuni Comuni della Liburnia croata. In questi territori presero ad operare varie organizzazioni anti-italiane che furono la base sulla quale si sviluppò la guerriglia.

Nella primavera del 1941, Curzio Malaparte si trova nei Balcani, corrispondente di guerra del Corriere della Sera. Il 7 aprile il quotidiano gli pubblica un articolo dal titolo eloquente, « Attraverso la Jugoslavia con l'ultimo "Oriente Espresso" », in cui lo scrittore descrive la mobilitazione delle forze reali jugoslave. Il giorno precedente, che le popolazioni locali ricorderanno nei decenni successivi come "giorno di San Vito", le potenze dell'Asse avevano lanciato l'invasione della Jugoslavia di re Karadjordjević.

La Scuola di Mistica Fascista venne fondata il 19 Aprile 1930-VIII da un gruppo di iscritti ai Gruppi Universitari Fascisti di Milano guidati da Niccolò Giani. Il compito di questa istituzione era di plasmare i quadri politici dell'Italia del futuro e le nuove generazioni, visti come custodi di valori della comunità secondo il concetto di "ordine selezionato" 1. Sarà intitolata alla memoria di Sandro Italico Mussolini, figlio di Arnaldo, morto prematuramente. Sandro Italico Mussolini Da questa Scuola usciranno importanti studi politici e una generazione di "intransigenti" che seppe incarnare nella vita quotidiana l'essere fascista: La cultura militante fascista rivestì l'ambizioso compito di tradurre in forme innovative e comprensibili razionalmente […] la dimensione mitica della moderna politica di massa sviluppata dal Fascismo, l'originale e fascinosa combinazione, in essa esistente, tra un uso spregiudicato dei vantaggi della modernità con l'esaltazione irrazionale del pensiero mitico e una accentuata e voluta sacralizzazione della politica che con la sua simbologia e ritualizzazione, così tanto pregnante da consentire di parlare del Fascismo come di una nuova "religione politica", predicava l'abnegazione disinteressata verso lo Stato, il senso del dovere come 1 Cfr. L.L. Rimbotti, Mistica della Rivoluzione fascista. L'ordine della milizia sacra, in N. Giani, Mistica della Rivoluzione fascista, Il Cinabro, Roma 2010, pag. 14.

Veza Canetti. Autodafé di un amore è una toccante dichiarazione, sulla memoria e la sua letteratura, sull’opera d’arte nel crogiolo dell’amore e della vita. Protagonisti sono due scrittori chiave per comprendere determinate dinamiche del XX secolo come il potere, la ricerca di un imponderabile arcano, il sentiero messianico del destino, il rifugio dalle persecuzioni e dall’odio razziale. Nel mezzo però di questi sentieri interrotti si dipana la ricerca di un legame e la sua ars poetica: da un lato Venetiana Taubner Calderòn, più nota come Veza Canetti, che fu la prima moglie dello scrittore di lingua tedesca Elias Canetti; dall’altro lato proprio quest’ultimo, delineato da una incalzante capacità di suggestiva trasgressione letteraria dell’io narrante, quello di Veza.
Questa originalissima opera, frutto di trent’anni di ricerche, di annotazioni, di itinerari europei per un manoscritto che ha accompagnato l’autore
costantemente nella sua formazione, tra ripensamenti, abbandoni e nuove
versioni sino alla definitiva stesura, si caratterizza per una scansione narrativa rapsodica, dal ritmo coinvolgente e magnetico, dalla trama intensissima, in alcuni capitoli anche altamente drammatica, pervasa da sfumature struggenti e da tonalità epiche, in cui i due autori si confrontano e si raggiungono, e da cui spicca un quadro critico del pensiero dello stesso Elias Canetti e della sua celebre opera Massa e potere.
In un dialogo sulle stagioni e sui mesi della vita, sulla storia tra Vienna,
Londra e Zurigo, malgrado separazioni e la shoah, si giunge a un epicentro di amore, luogo di una scrittura cadenzata da una finissima tessitura
timbrico-tonale e sugellata da un pathos travolgente, di rara forza emotiva,
dove anche l’autore, in quest’opera energicamente poetica nel delineare età disperse e affascinanti identità della memoria, incontra i due autori e ne rende, con profonda vocazione, un indimenticabile omaggio: storico, letterario e artistico

La storia dei “Finanzieri di mare a Trieste” propone come punto di partenza
il porto cittadino, spaziando allo stesso tempo al Litorale Austriaco,
poi Venezia Giulia, e all’Istria, per riapprodare poi sulle rive della città. Il
volume, infatti, non si limita alla sola presenza italiana nel contesto storico
successivo al 1919, ma – e ciò avviene per la prima volta – opera un
collegamento tra due epoche. Da un lato si trovano i Finanzieri-marinai
della “Imperial Regia Guardia di Finanza” austro-ungarica, mentre
dall’altro lato le Fiamme Gialle di mare del Regno d’Italia: le stesse che
erediteranno dai colleghi austriaci, nel 1918-1919, un dispositivo navale
di tutto rispetto, grazie al quale fu possibile dar vita alla prima “Flottiglia
Costiera” della Guardia di Finanza. I Finanzieri di mare della “Trieste
Asburgica” furono i veri precursori di quell’innovazione tecnologica e
professionale che dal ’19 in poi caratterizzerà l’agire delle Fiamme Gialle
triestine. Furono proprio queste eredità che consentirono alla “Flottiglia”
di poter emergere certamente ad esempio più degno e concreto di come
fosse progredita, a partire dai primi anni ’20, la “Marineria di Finanza”
italiana, le cui origini risalgono al lontano 1816, ricorrendo quest’anno
il Bicentenario. Il volume prosegue con l’evoluzione del servizio navale
del Corpo in parallelo alla storia del Novecento triestino: gli eventi
della Seconda Guerra Mondiale, il dramma dell’occupazione Jugoslava,
l’amministrazione Anglo-Americana e quella del Territorio Libero di
Trieste, il ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, fino a giungere ai giorni
nostri. I 15 capitoli del volume sono arricchiti dalle “curiosità storiche”
che tratteggiano nel dettaglio alcuni episodi o personaggi che hanno
caratterizzato la storia dei finanzieri di mare di Trieste. Infine, il volume
è ampiamente corredato, sia per il periodo austriaco sia italiano, da una
cartografia storica, da immagini, documenti e articoli di giornale riguardanti
i mezzi navali, gli uomini di mare, le uniformi, i fatti “di mare”.

Atti della Presentazione dei volumi “Prigionieri Alleati. Detenzione, cattura e fuga nelle Marche 1941 – 1944” di Giuseppe Millozzi, “I Diari di Babka” di Alessandro Perini, “Combattendo con il nemico” di Susan Jacobs.  Perugia, 8 Novembre 2007

Terra matta, l’autobiografia di un ragazzo del ’99, semicolto, si caratterizza per la sua avventurosa storia editoriale, per il linguaggio – frutto di un pastiche involontario tra italiano e dialetto ragusano – e per le vicende che narra: uno spaccato della storia d’Italia dalla Grande Guerra alla Prima Repubblica. Nonostante la povertà di mezzi dell’autore, la cui forma mentis è legata in parte a un regime di oralità primaria, il saggio propone un’analisi che rileva, in un terreno così accidentato, un insospettabile rispetto di alcuni elementi tradizionali dell’autobiografismo moderno.

RIFERIMENTO COMPLETO:
"Guerra e cammino nella neve di Russia. Le opere d’esordio di Eugenio Corti e Mario Rigoni Stern, nel centenario della loro nascita (1921-2021)", «I Quaderni di cultura del Galvani», Rivista semestrale del Liceo-Ginnasio “Luigi Galvani” in Bologna, a. XXVI, n.s., n. 2 (2021), pp. 47-76 [ISSN2281-082X].

In the city of Civitavecchia, close to the Poggio Paradiso hill, you can admire forty WWII bunker. It is a complex of structures built for the training school "Guastatori of Genio", which was established 29 July 1940. Sent to Africa, they participated in 1942 in the Battle of El Alamein and the few survivors, will give rise to what will be the future paratroopers brigade "Folgore" created in 1967.

Il friulano Cristano Ridomi (Udine 1904 – Gardone Riviera 1969) è stato una figura polivalente e di spicco già negli anni Trenta e poi nel secondo dopoguerra, a cavallo tra il mondo della cultura e quello della diplomazia e della politica: giovanissimo giornalista del Corriere della Sera e corrispondente da Berlino durante l’ascesa di Hitler, poi, terminato il conflitto, direttore di un giornale, Capo ufficio stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi, Presidente della Rai dal 1951 al 1954 (inaugurò fra l’altro le prime trasmissioni televisive) e autore di alcuni libri da una parte, diplomatico di carriera in Austria e in Germania e candidato non eletto al Senato (1958) dall’altra. Il presente contributo, oltre a tracciarne un’ampia biografia, analizza le curiose scelte onomastiche operate nel suo unico romanzo, Avventura ’43 (1966), largamente autobiografico.

Friulian-born Cristano Ridomi (Udine, 1904 – Gardone Riviera, 1969) was a prominent and versatile personality active in the fields of media, diplomacy and politics from the 1930s until the 1960s. A young journalist for Corriere della Sera, Ridomi became the newspaper’s correspondent in Berlin, where he witnessed Hitler’s rise to power. After WWII, he became a newspaper editor, chief press officer for Italian PM Alcide De Gasperi, chairman of national public broadcasting company RAI from 1951 to 1954 (he launched the first television broadcast) and authored a number of books. In addition to his achievements in the media, he pursued a career as a diplomat in Austria and Germany and also ran unsuccessfully for the Italian Senate (1958). This paper outlines Ridomi’s life with a focus on the unusual names he used in his only novel, the largely autobiographical Avventura ’43 (1966).

Umbria, estate del 1944. Dopo la liberazione di Roma da parte degli eserciti alleati, la ritirata tedesca in centro Italia si trasforma a poco a poco da rotta a ripiegamento organizzato. Il feldmaresciallo Albert Kesselring, dopo aver rischiato l’aggiramento di parte delle sue forze, può tirare finalmente un sospiro di sollievo appena le sue divisioni giungono sulla linea Albert che, in territorio umbro, corre ai lati del lago Trasimeno e a nord di Perugia. Questo libro, grazie a documentazione coeva di fonte tedesca e britannica, narra la battaglia per la liberazione dell’intera regione, compresi gli errori che ci furono da parte dei comandi alleati. Giorni di intensi combattimenti, alcuni, come quelli attorno al Trasimeno, più noti; altri, come quelli a nord ed est di Perugia, poco conosciuti. Un apparato iconografico in parte inedito completa il
volume che vuole essere, ancora una volta, un contributo che la Fondazione porta a quello che accadde nelle nostre terre 70 anni fa.


Claudio Biscarini vive e lavora a Empoli. Ricercatore, collabora con l’Istituto Storico della Resistenza di Siena. Autore di alcuni volumi con argomento il passaggio del fronte in Toscana, con particolare riguardo alle province di Siena, Firenze, Pisa. Da alcuni anni collaboratore di alcune riviste a carattere storico sia locale che nazionale che internazionale, quali la Miscellanea storica della Valdelsa, Storia Militare e le testate francesi Histoire de Guerre, 39/45, 2° Guerre Mondiale e Batailles & Blindes. Ha collaborato con RAI 3 al programma “Guerra in Valdorcia” e con altre emittenti televisive locali. È autore delle ricerche e dei testi dei documentari “Reporter di guerra” “War News” e “Se ci ricorderete non saremo morti invano”.

In August 1942, a portion of personnel from the special group of sappers of the San Marco Regiment of the Italian Royal Navy, whose need for employment in the now abandoned Malta invasion plan had no longer existed, was transferred to North Africa with the intent to carry out sabotage operations on strategic objectives behind enemy lines.
The action took place on the night of 4 September 1942, coinciding with the second attempt to break through the British defenses at El Alamein, with the aim of interrupting the "Western desert railway" and the water pipe that ran in the vicinity of this, near Burg El Arab, where, without the knowledge of the Italians, the command of the British 8th Army was also located.

Grazie alla scoperta di «Ricordando...», un dattiloscritto di 25 pagine steso da Marta Boccalini (1911-2008), si può ora ricostruire la storia della famiglia Boccalini, partendo dalle sue radici ottocentesche. Francesco Boccalini e Antonietta Salvarani, entrambi lodigiani, possono essere considerati gli iniziatori della famiglia: lavorando duramente per i loro 7 figli, questa coppia di genitori socialisti, aiutati dallo scultore Ettore Archinti, cercò di insegnare l’importanza dello studio ai loro 2 figli maschi e poi alle successive 5 figlie femmine. Nel 1927 la famiglia si trasferì a Milano, città in cui diede i suoi frutti la seconda generazione dei Boccalini: le figlie più giovani (Luisa, Rosetta e Marta) parteciparono alla prima squadra di calcio femminile in Italia (1933); durante la Seconda Guerra Mondiale Marta e Giovanna entrarono nella Resistenza, mentre proprio quest’ultima divenne successivamente una politica nel PCI.
* * *
Thanks to the discovering of “Ricordando...”, a 25-page type-written text written by Marta Boccalini (1911-2008), the history of Boccalini family can be reconstructed, starting from its 19th-century roots. Francesco Boccalini and Antonietta Salvarani, both coming from Lodi, could be considered as the founders of the family: working hard for their 7 children in early 20th-century Lodi, this couple of Socialist parents, helped by sculptor Ettore Archinti, tried to instill into their 2 boys and then 5 girls the importance of studying. In 1927 the family moved to Milan, where the second generation flourished: the youngest girls (Luisa, Rosetta, and Marta) joined the first female football team in Italy (1933); during World War II Marta and Giovanna fought in Italian Resistance, then the latter became a politician for the PCI (Italian Communist Party).

studi, anche se si avverte ancora l'esigenza di un'analisi sistematica d'insieme, non tanto a partire dai casi locali, anche importanti, quanto a partire dalle logiche, strategie, strutture delle organizzazioni che si muovevano sul territorio italiano -prendendo, quindi, in considerazione l'aspetto internazionale, militare, organizzativo e il territorio nazionale nel suo complesso.

La storia che leggerete in questa ricerca sarà un tuffo nel passato, un viaggio a ritroso nel tempo, che vuole raccontare la tragedia della guerra in una cittadina situata sulla Brenner Line in una mattina di inizio primavera del 1945.
Comprendere cosa passarono i nostri genitori e nonni è un importante elemento della nostra storia personale; capire la sofferenza causata dalla guerra spero rafforzi la nostra determinazione a prevenirla e a lavorare sempre per la pace.

The early Thirties of the Twentieth century represent for Benevento a period of great urban project fervor aimed to give a new urbanism and decorum to the “old” city and, at the same time, to ensure a balanced development of the “new” city with its expansion outside of the historical center.
The city with which Piccinato must deal has many issues related to both the conservation and the expansion of the historic fabric of the building as well as the response to the new demands of fragmentary functional design which had not been satisied. The Arch of Trajan is, in particular, the focus of the debate with a general assumption to isolate it, to make the point of view of a new road axis, to ensure it to become a characteristic of the urban nodal point. The preservation of the monuments appear to follow a selective logic prefering the old architecture — especially, theArch and the Roman theater — to testify the grandeur of the past, in line with the ambition of the central government to exalt the romanitas character of the territory.
Piccinato work at Benevento from 1932 until the post–war period as a protagonist
of the transformation of a growing city, then of a city devastated by the bombings
of World War II and subsequently of the reconstruction phase. First task received by
Piccinato is the preparation of the Urban Development Plan of the city, in which one
of the key issues of the urban problem of Benevento is the set of questions related to
the “settlement of the old town”. He tackles the issue of planning of the “old” city
moving toward solutions that, with reference to the concept proposed by Gustavo Giovannoni,
ofer quite diferent choices from those promoted by previous designers. In
order to defende the “character” of the city and the environment of the monuments,
compared with a detailed knowledge of the urban fabric, the architect identiies speciic
solutions that are guided by the “case by case” logic, excluding the construction
of the new buildings inside the oldest urban fabric.
Following Roberto Pane, Piccinato considers the “old” city as the “ancient” city
and he reads its character not only in the monuments but rather in the stratiied urban
fabric deined as “minor architecture”.
Central themes of the relections of Piccinato are the projects for the Trigio quarter
with the Roman theater, the area of Posillipo overlooking the Calore River and the
Arch of Trajan.
The “new” city of Piccinato moves towards the consolidation of the expansion
lines already deined in the design of the second half of the nineteenth century when
Benevento had been named county seat and the expansion had gone outside the walls.
Luigi Piccinato
isBN 978-88-548-7834-1
dOi 10.4399/978885487834119
240 Giovanna ceniccola
The planning proposes to provide the residential districts of the necessary facilities
(schools, local market, wash house, gyms) and of green areas and new roads to redistribute
the lows; instead, new architecture are planned for the “quartiere dell’Angelo”
for which he plans, in particular, the square named “della Rivoluzione” or
“Risorgimento” with the building for the high school “Giannone”. Within a more
comprehensive urban development of the area, in a single project of the square in
addition to the high school, Piccinato designs the Technical Institute and the building
of the GIL in such a way that their functional spaces were shared. On the basis of
the examples of the foreigner school buildings he draws new buildings with modern
characters that make them distinguishable from the historic buildings.
From an overall survey of the proposals before the war, it is clear, therefore, that
the design action of Piccinato was strongly imbued with the desire to protect the architectural
contexts with a tendency to save the “environment of the monument” and
the “physiognomy the city”, in line with what was promoted by the Conference of
Athens. The respect for the history of the city and its values emerges in the decision to
place the construction of the new contexts with architectures characterized by “stark
simplicity” far from those stratiied ones.
The planning proposed by Piccinato shows, another, the will to protect the landscape:it limits the possibility of building along the via dell’Angelo, for example, orproposing a landscaping of the scenic via Posillipo.

Eccoci alla seconda puntata della nostra rubrica Smolensk, a cura di Marco Limburgo. Si discute ancora vivacemente sulla reazione di Iosif Stalin quando gli venne comunicato che l'imponente esercito nazista aveva attraversato in armi il confine sovietico. Secondo alcuni storici il leader georgiano fu talmente colpito dalla notizia che cadde in uno stato di profonda depressione che facilitò enormemente l'avanzata irresistibile della Wehrmacht e dei contingenti alleati; secondo fonti diametralmente opposte la notizia non colpì poi tanto la dirigenza sovietica che si aspettava già dagli albori del conflitto un invasione fascista, prevedendo la sua sconfitta (anche a costo di enormi perdite) che avrebbe ulteriormente rafforzato il colosso comunista sbloccando l'impasse internazionale e consentendo un ulteriore espansione internazionale, la costruzione di sfere di influenza in Eurasia e una stretta repressiva sulle popolazioni assoggettate. Speculazioni a parte; il fronte orientale rappresenta tutt'ora la più vasta operazione terrestre della storia dei conflitti armati e, indebolendo le già provate risorse dell'Asse, rovesciò le sorti del conflitto portando i sovietici, quattro anni dopo e vittoria dopo vittoria, fino alla spettacolare offensiva finale conclusa trionfalmente con la scenografica conquista del Reichstag (diffusissima la foto del soldato sovietico che issa la bandiera rossa sul tetto devastato dell'edificio). Ma quali furono le motivazioni che convinsero il Fuhrer dell'inevitabilità dell'offensiva? Differenti ragioni politiche e militari. Il concetto della politica estera hitleriana poggiava sul concetto di Lebensbraum ovvero di spazio vitale per il popolo tedesco da conquistare assoggettando le terre ad est fino agli Urali e schiavizzando i subumani slavi, attuando politiche di sterilizzazione coatta e germanizzando le popolazioni autoctone considerate degne. Il bolscevismo sovietico, agente dell'ebraismo internazionale, rappresentava per l'ideologia fascista non solo un nemico mortale, ma anche l'unico ostacolo verso la ridefinizione di un nuovo ordine europeo costruito a immagine del "Großgermanisches Reich", il grande impero tedesco esteso dalla Renania agli Urali e culla della futura prosperità economica e demografica tedesca. Le due entità politiche si spiavano, studiavano e detestavano profondamente e nessuno dei due contendenti credeva nella buona fede del patto di non belligeranza firmato nel 1939 in quanto Hitler era ben consapevole della fragilità dell'esercito sovietico (indebolito dall'inaspettata resistenza finlandese e dalle scriteriate purghe al vertice frutto della paranoia staliniana) e arrogantemente sicuro delle capacità della sua macchina bellica temprata in Francia, Scandinavia e Balcani. Il Fuhrer era oltremodo fiducioso nelle proprie capacità militari e si aspettava una passeggiata triongale e non si preparò per una guerra che si sarebbe protratta lungo l'inverno. Non equipaggiò nemmeno le truppe per tale eventualità, dotandole di abbigliamento adeguato a un clima rigido in quanto sperava in una rapida vittoria contro l'Armata Rossa, che avrebbe incoraggiato la Gran Bretagna ad accettare i termini della pace. La strategia decisa da Hitler, e dai suoi assistenti dell'alto comando tedesco, prevedeva l'impiego di tre gruppi di armate incaricati di conquistare regioni ben definite, obiettivi specifici quali i grandi bacini industriali e le importanti città dell'Unione Sovietica: il gruppo d'armate Nord era incaricato di avanzare verso i paesi baltici con obiettivo finale la cattura di Leningrado (l'attuale San Pietroburgo) con l'appoggio dell'alleato finlandese. Il gruppo armate centro (il più numeroso), marciando attraverso la Bielorussia, si sarebbe dovuto occupare della resistenza più ostica in direzione Mosca al fine di decapitare il Politburo sovietico. Infine, il gruppo d'armate Sud si sarebbe dovuto muovere attraverso l'insofferente Ucraina cercando la cooperazione

L'articolo parte dal periodo asburgico ed offre un sguardo succinto ma utile a inquadrare un argomento complesso quanto vasto. L'avvicendarsi di sviluppi drammatici generatisi nel crepuscolo della Seconda Guerra Mondiale  che rimangono ancora oggi in primo piano grazie anche ai francobolli e corrispondenze dell'epoca che testimoniano un periodo alquanto travagliato e ancora gravido di possibili conflagrazioni. La situazione di Trieste nel primo dopoguerra, la divisione in due zone, A e B, e alla fine la partenza delle truppe alleate e l'arrivo dei bersaglieri  con grande tripudio generale sono ben documentati nei francobolli  emessi per il Territorio Libero di Trieste, libero per cosi' dire; preceduti da quelli sovrastampati dalle orde di Tito e poi ancora da quelli dell'Amministrazione Militare Alleata della Venezia Giulia.  Le illustrazioni sono utili perche' sono quelle riferentesi a  "testimoni oculari" - ovvero i francobolli e le corrispondenze di un decennio sofferto per i Triestini e per tutti gli italiani.

in marmo pario da originale in bronzo, opera di Mirone (V secolo a.C.) Datazione: epoca adrianea-antonina (metà del II secolo d.C.) Nel 1938 Hitler venne in visita in Italia, soffermandosi a Roma e Firenze per ammirare i capolavori d'arte di cui rimase completamente folgorato, dando il via ad un vero e proprio esodo di opere verso la Germania, dove si sarebbe dovuto costituire un nuovo museo dell'arte classica, cioè quella arte ritenuta all'altezza al fine di esaltare la perfezione della razza ariana. Ma già nel 1937 il Principe Filippo d'Assia, a capo di una commissione per l'acquisto delle opere d'arte, era stato inviato da Hitler stesso per trattare l'acquisto di alcuni pezzi in Italia. Primo oggetto di contrattazione fu proprio il Discobolo Lancellotti, copia romana di finissima qualità da un originale greco di Mirone, vincolata dallo Stato Italiano come opera di altissimo interesse e per questo non esportabile (Legge 364/1909). Qualsiasi spostamento doveva essere autorizzato

Il fenomeno delle pubblicazioni a dispense ha conosciuto un vero e proprio boom a partire dagli anni sessanta: l’edicola è stata (ed è ancora) uno dei canali di diffusione della cultura di massa, con una forte tradizione in Italia. Tra il 1955 e il 1995 vengono presentate nelle edicole 27 opere sulla seconda guerra mondiale (18 a dispense settimanali, 5 allegate a quotidiani/riviste con cadenza variabile – giornaliera/mensile - e 3 a volumi/volumetti periodici, 1 in videocassette settimanali). Siamo di fronte a una vera e propria operazione di storia divulgativa e illustrata del secondo conflitto mondiale: delle opere di maggior successo, nelle sole edicole si vendevano mediamente oltre 200.000 copie di ogni fascicolo - gli altri tradizionali canali di diffusione erano e sono la vendita rateale e quella postale.
Il saggio presenta una prima descrizione di tali opere, il cui intento dichiarato era quello di fornire al lettore medio una ricostruzione degli eventi bellici piana e accessibile, con stile ed effetti giornalistici: “una storia in presa diretta”. Autori/curatori infatti sono, salvo qualche eccezione, giornalisti (gli storici, benché ampiamente saccheggiati, non compaiono quasi mai). Caratteristica comune di tutte queste opere la loro straordinaria ricchezza iconografica: l’immagine, in tali pubblicazioni, diventa essa stessa parte integrante della ricostruzione storiografica.

Parole chiave: pubblicazioni a dispense, edicola,  divulgazione storica, seconda guerra mondiale


The phenomenon of the publications in instalments has known a real boom starting from the 60’s. The newspaper kiosk, especially in Italy, was and still is one of the diffusion channels of mass education. Between1955 and 1995, twenty-seven works on the second world war were released through newspaper kiosks.(eighteen in weekly instalments, five with daily newspapers and monthly magazines, three with periodical books or small books and one with weekly video cassettes). It is perfect operation of popularization of the history on the second world war. The most successful works sold two hundred thousand copies of every instalment on average only in newspaper kiosks -the other traditional channels of diffusion were and still are hire and postal purchase.
The study presents a description of these works with the aim to provide the average reader with a clear and accessible reconstruction of the war events in a journalistic style and with journalistic effects. Authors and editors are usually journalists, although widely plundered, historians hardly ever appear. The common character of these works is their extraordinary iconographic richness, where the image is an integral part of the historical reconstruction.

Keywords: publications in instalments, newspaper kiosk, popularization of the history, second world war

Obiettivo del mio lavoro è di varcare la soglia della letteratura umoristica nel luogo in cui essa è venuta a relazionarsi con le vicende più tragicamente note del XX secolo. Quindi, di verificare le possibilità espresse dal genere comico-umoristico cui l’opera fa riferimento di comporre un itinerario letterario di riflessione e metabolizzazione riguardo al contesto dei Lager novecenteschi. Se è vero che tutta quanta la letteratura ha dovuto e deve confrontarsi con il trauma imposto dalle vicende totalitarie e dalle guerre del Novecento, la narrativa comico-umoristica ha espresso in questo senso un parere inequivocabile; un parere che ancora può fornire alla critica numerosi argomenti di riflessione e discussione.
Il lavoro presenta una suddivisione in tre capitoli. Nel primo ho cercato di riflettere sulla matrice arcaica dell’opera clandestina. Perciò, seguendo i binari della comicità universale tracciati da Michail Bachtin, ho introdotto una nozione ampia di comicità, intesa quale sistema di pensiero, quale modalità percettiva e analitica capace di investire, al di là del mero artificio rappresentativo, l’intero sistema di voci ed echi rappreso nelle maglie intrecciate della tradizione, e di intervenire con parola sublimata e rarefatta sui temi più drammaticamente contingenti del presente. Tale indagine a proposito dell’uso guareschiano della comicità è stata condotta sul filo del medesimo esempio tematico e stilistico considerato, nel suo celebre saggio, da Bachtin: quello del Gargantua e Pantagruel di Rabelais. Difatti, nella vitalità esuberante dell’epopea rabelaisiana - in quell’insieme di elementi narrativi che Bachtin faceva risalire alle categorie del realismo grottesco e del carnevalesco quali espressioni liberatrici e gioiose della cultura comica popolare del Medioevo - ho potuto riconoscere il paradigma di un archetipo letterario, per individuare, alla base Diario, l’analoga sostanza di una vis descrittiva capace di abbandonare o disperdere tutti i significati e di indirizzarsi alla comunicazione delle soluzioni più impensate e incomprensibili.
Guareschi mette in scena sequenze di dislocazioni, di gesticolazioni figurative, l'audacia rappresentativa delle quali sembra indirizzarsi unicamente all’espressione di quella vorticosa incredulità con la quale il consesso degli internati si è trovato a contemplare lo stretto orizzonte concentrazionario dei Lager. La disarticolazione comica delimita i contorni di un viaggio surreale: non quello movimentato delle peripezie, degli intrecci, delle incredibili avventure rabelaisiane, ma quello morale, etico, umano della tragedia. Poiché plasmata di comicità, si tratta, ad ogni modo, di un’esperienza folle, di un percorso nel quale la follia del Gargantua è elevata a categoria concreta, reale, vera: è la quotidianità vissuta a bordo del vascello concentrazionario sul quale gli internati militari navigano il mare della storia e della vicenda umana che è la vita.
Dal primo capitolo è dunque emerso come il XX secolo di Guareschi abbia potuto saldare alla soglia culturale della comicità come matrice inestinguibile - come presupposto espressivo dal quale far riaffiorare un'originaria tensione vivificante interna al testo - il significato della rappresentazione di un'umanità scardinata dai propri binari, sottratta ad ogni categoria di ammissibilità, ad ogni giudizio di credibilità.
Il secondo capitolo prende le mosse dalla considerazione che il Diario clandestino sia il risultato della raccolta e dell’assemblaggio di materiali interamente pensati e scritti - ad eccezione dell’Appendice - durante il periodo dell’internamento dell’autore nei Lager tedeschi. Poiché molti dei suoi brani sono stati addirittura letti o recitati durante la prigionia, è a tale specifica connotazione di aderenza al dramma contingente del vissuto, che ho voluto fare continuo riferimento per valutare l’opera nel suo insieme: sia per quanto concerneva il contenuto formale, sia per quanto si riferiva ad aspetti stilistici e narratologici.
Come rispondere, dunque, alla domanda sul genere di appartenenza del Diario guareschiano? Un simile quesito doveva sollecitare non poche ragioni dubbio. Non si tratta, difatti, di una mera rielaborazione in prima persona di una porzione traumatica dell’esistenza, né della schematica o pedissequa descrizione del contenuto formale ed esistenziale di due anni di prigionia. Impraticabile si è rivelato il tentativo di ricondurne la sostanza a formule semplificative come quelle del diario-testimonianza. D’altro canto, altrettanto fuorviante è sembrata l’ipotesi di ridurne forme e aspetti contenutistici al genere del romanzo.
L’unica strada percorribile al fine di concepire una definizione esaustiva del genere mi è sembrata quella di seguire la voce dell’autore che, fin dall’inizio del Diario - dall’Introduzione premessa al testo -, riconosce al proprio racconto la peculiare qualifica di asserzione collettiva, di bilancio complessivo e corale: è la voce del numero 6865 che parla, nel testo, a nome di tutti coloro che hanno collaborato all’edificazione di quella che Guareschi denomina <<Città democratica>>. Il Diario non è, dunque, un romanzo, non un racconto, non una semplice autobiografia: è la risposta testuale a un desiderio di resoconto, a un impulso di sopravvivenza che passa, non importa se consapevolmente o meno, dalla voce e dall’esperienza congiunta di tutti coloro che ne sono stati protagonisti.
La coralità altro non è che il modo lucido, assoluto, decisivo, complessivo, il modo giudice e complice del discorso umoristico che Guareschi impernia sulle forme disarticolate del comico. È la riflessione che ha permesso alla comicità guareschiana di interagire fattivamente, concretamente nel testo, con le tragedie storiche del proprio tempo e, quindi, di depositare l’inconfondibile significato post-totalitario di un esercizio di interazione testuale con la metafisica espulsiva dell’epopea arcaica.
Quanto il discorso umoristico guareschiano sia intimamente connesso all'esperienza concentrazionia, lo dimostra il fatto che entrambi i testi delle due orazioni (Guareschi, 1943 e Guareschi 1951) servite all’autore ad esprimersi inequivocabilmente sulla propria idea di umorismo dipendano temporalmente o ideologicamente da tale circostanza vissuta. È la vicenda dell’internamento a rendere comprensibile l’affermazione sulla quale l’autore ha impostato le proprie ragioni e la propria scrittura: quella di “comico = illogico”.
Una volta riconosciuto il ruolo che il discorso umoristico assume in Guareschi, ho cercato, nel mio lavoro, di estrarne le regole espressive, di riconoscerne e indicarne i tratti e i moduli distintivi. A tale scopo mi sono servita del sostegno teorico fornito dai testi delle due orazioni umoristiche di Guareschi, da un lato; di alcuni testi letterari presi a modello da Giovannino e di alcuni interventi teorici sull’umorismo, dall’altro. L’esercizio della letteratura umoristica doveva difatti accompagnarsi, in Guareschi, alla frequentazione di modelli letterari e alla conoscenza di un’importante scuola di teoresi sull’ironia e sul comico (Gaetano Trezza, Giorgio Arcoleo, Benedetto Croce, Alberto Piccoli Genovese, Luigi Pirandello). Il terzo capitolo della mia tesi è servito quindi a questo: a registrare i tratti stilistici e motivazionali dell’umorismo guareschiano del Diario nel loro specifico relazionarsi a tali pronunce teoriche e letterarie. Per quanto concerne la parte teorica, particolare rilievo è stato dato al confronto con le voci di Alberto Piccoli Genovese e di Luigi Pirandello. Di quest’ultimo sono state prese in considerazione alcune affermazioni del celebre saggio del 1908 e le parole fatte enunciare al Pascal narratore dei due prologhi de Il fu Mattia Pascal, attraverso le quali si è dato ragione di una nozione di anomalia situazionale quale condizione scaturente del discorso umoristico. Di Piccoli Genovese sono invece state tenute presenti le indicazione riguardanti in assoluto le qualifiche caratteriali dell’umorista, nel seguire le quali si è cercato di avvalorare la tesi di una corrispondenza tra l’impostazione umoristica guareschiana e il modello leopardiano delle Operette Morali. Se l'umorismo del Diario clandestino deve indirizzarci verso qualcosa, tale meta non potrà - si è visto - distare molto da quel misterioso abisso al quale è stato Giacomo Leopardi ad avviarci. Di tale legame che assimila la disposizione narrativa del Diario alla lucida visionarietà delle Operette ottocentesche ho potuto trovare definitiva conferma nelle osservazioni teoriche pronunciate da Riccardo Bacchelli a proposito di Leopardi e, sopratutto, nel suo stesso lavoro di scrittore rondista e fautore della ripresa della cosiddetta poesia in prosa leopardiana.
Nel fornire gli elementi di corrispondenza del testo clandestino con alcune specifiche Operette ho infine cercato di fissare definitivamente gli attributi inoppugnabili dell’umorismo guareschiano. I connotati emersi - quelli di serietà e ingenuità, lucidità e spontaneità, retrodatabilità e malleabilità, religiosità - sono talvolta parsi in contraddizione. Il carattere spirituale, ad esempio, non poteva non generare sospetti di improprietà. Ciò nonostante, su tali caratteristiche ho potuto poggiare la dimostrazione della pregnanza del racconto che, attraverso una narrazione che può dirsi vera e realistica, scioglie l’inghippo dell’orrido vissuto e travalica la contingenza in un dettato poetico universale (mette in pratica un procedimento di alterazione dell'immagine che assegna ai fatti e alle sensazioni un valore assoluto).