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era stato consacrato vescovo di Ramsbury nel 985, dove fo soprannominato "The Serious" e divenne vescovo di Canterbury o alla fine del 989 o all'inizio del 990, come successore dell'Arcivescovo Aethelgar. La fonte principale di questo breve saggio è il lavoro di Veronica Ortenberg (V. Ortenberg, "Il viaggio di Sigerico a Roma nel 990", in: Anglo-Saxon England / Volume 19 / Dicembre 1990, pp 197-246, on line.)
La chiesa di Salona è stata tradizionalmente legata a Roma con la quale aveva lungo i secoli buoni rapporti e forti legami. Anche se le radici cristiane in Dalmazia risalgono a Tito, come ci testimonia san Paolo (cf. 2 Tim 4, 10), è verosimile che i missionari che diffusero il cristianesimo in Dalmazia o meglio che organizzassero la Chiesa venissero proprio da Roma. È fuori dubbio che nei primi secoli dell’era cristiana la zona tra l’Adriatico e il Danubio ha subìto un forte influsso romano con l’occupazione di tutto il territorio già al primo secolo, favorito anche dai collegamenti che esistevano tra le due sponde adriatiche. Proprio questo avrebbe potuto permettere anche agli evangelizzatori inviati da Roma di annunciare il Vangelo, organizzare le comunità cristiane e fondare le Chiese in diretto contatto con Roma. Tra il V e il VI secolo si nota un cambiamento assai radicale e c’è il rischio che i legami ecclesiali tra Salona e Roma vengano indeboliti. Contro le tendenze e il processo della sottomissione delle Chiese che da sempre erano in contatto diretto con Roma alla Chiesa costantinopolitana, a mio parere, alcuni circoli della Chiesa salonitana avrebbero reagito rielaborando le testimonianze storiche sul martirio di san Doimo e aggiungendovi vari dettagli leggendari. Uno dei più specifici sarebbe la notizia sul discepolato petrino di Doimo. Pur inserendo dei dettagli storicamente erronei, a mio avviso, l’autore di tale Vita ha avuto uno scopo teologico ben preciso ed è quello di non permettere che venissero indeboliti i legami ecclesiali tra Salona e Roma. Non è da escludere neanche la possibilità che la redazione della Vita fosse avvenuta sotto l’influsso della teologia romana, ma questa ipotesi sarebbe una pista per ulteriori ricerche.
Non mi soffermerò sull'accademia di Bessarione, intorno alla quale molto e bene ha scritto e detto Concetta Bianca 1 .
I pochi resti pavimentali di tipo cosmatesco che si vedono oggi attorno all'altare maggiore e nella terza cappella a sinistra dell'entrata nella chiesa di San Silvestro in Capite, sono generalmente ignorati dagli autori sia antichi che moderni. Solo Glass, ha notato questa singolarità e ha cercato di rimettere insieme le poche frammentarie notizie utili per poter dire qualcosa in merito. Secondo la studiosa 1 , una delle poche fonti che accennerebbe ad una trascorsa esistenza di un pavimento musivo ad intarsio marmoreo nella chiesa è G. Severano 2 secondo il quale nel 1123 Callisto II consacrava un altare maggiore e nello steso tempo il suo Camerlengo Alfano ordinava la costruzione di un pavimento intarsiato. In realtà, come è facile verificare, questo avvenimento viene descritto da Severano non per la chiesa di San Silvestro in Capite, ma per quella di Santa Maria in Cosmedin e quindi si tratta di un riferimento errato. Una fonte più sicura, invece, può essere Gaetano Moroni 3 da cui però possiamo trarre solo brevi accenni alla cronologia dei restauri e ai rifacimenti fino al suo tempo, ma nessuna notizia specifica di un presunto pavimento musivo: "Papa Innocenzo III fece riedificare la chiesa e il campanile dall'architetto aretino Marchionne. A papa Clemente VIII si deve la riedificazione della chiesa che, verso la fine del 1500 minacciava rovina e a Francesco Dietrichstein, vescovo di Olmutz, si devono molti abbellimenti. Le monache del convento, sul finire del XVII secolo, restaurarono la chiesa su disegno di Giovanni Antonio de Rossi e vi fecero fare decorazioni in marmo, pitture e stucchi, mentre la facciata esterna fu completata nel 1703 mentre era Badessa Maria Arcangela Muti". Tuttavia, il riferimento ad Innocenzo III ci permette di immaginare che i Cosmati abbiano lavorato di certo anche in questa chiesa e che probabilmente un pavimento cosmatesco dovette esserci un tempo. Nessuna altra fonte sembra aver accennato ad esso, così le importanti monografie di Giovanni Giacchetti del 1629, di Carletti del 1795 e le erudite descrizioni di Nibby, Moroni, ed altri autori, nulla ci dicono 1 D. Glass, op. cit., pag. 129. 2 G. Severano, Memorie sacre delle sette chiese di Roma, Roma, 1630, pagg. 350-351. 3 Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro ai nostri giorni, vol. XIII, Venezia, 1842, pag. 42. Chiesa di San Silvestro in Capite in un disegno di Giuseppe Vasi.
La basilica paleocristiana di San Crisogono in Trastevere è una delle più antiche di Roma. Ma quella che si vede oggi è solo la ricostruzione medievale di una nuova basilica sull'antico edificio cristiano che, dimenticato per più di sette secoli, fu riscoperto casualmente solo nel 1907. Le suo origini risalgono al IV secolo e probabilmente sono strettamente legate alla domus romana in cui era stato fatto prigioniero San Crisogono prima del suo martirio, avvenuto nel 303 durante la persecuzione di Diocleziano. L'edificio originario fu continuamente trasformato architettonicamente fino all'VIII secolo, come testimoniato anche dal Liber Pontificalis in cui si legge che la chiesa fu restaurata e decorata da papa Gregorio III tra il 731 e il 741. Dopo questo periodo è necessario fare un salto fino al XII secolo per avere qualche altra scarna notizia che conosciamo solo grazie alle epigrafi marmoree di cui ci è stata tramandata memoria e di quelle ancora conservate nella chiesa. Volendo fare una sintetica cronologia dei principali avvenimenti che riguardarono la fabbrica e le modifiche dell'edificio, si possono ricordare le seguenti significative date: 1116. Anno in cui Gerardo da Crema venne eletto cardinale da papa Pasquale II., con Titolo di San Crisogono. 1120. Dopo alcuni interventi architettonici di lieve entità, la chiesa fu abbandonata. 1123. E' questo il probabile anno di inizio della costruzione della nuova basilica per opera del cardinale Giovanni da Crema, testimoniata da una iscrizione dedicatoria e di consacrazione di un convento ed oratorio costruito per le esigenze religiose durante la ricostruzione, riportata da Carolus Vaghus in Commentaria fratrum et sororum ordinis B.M.V. de Monte Carmelo 1 , Parma 1725, pagg. 323-324. L'iscrizione si trovava nel 1725 sul muro verso la Sacrestia, dove si trova tuttora 2. 1125. A questa data si riferisce un'altra iscrizione del 1623 posta nella chiesa che parla di "restauri" fatti fare ancora da Giovanni da Crema, ma probabilmente si riferisce ai primi interventi sulla basilica inferiore per costruirvi sopra la nuova chiesa. 1127. Anno di consacrazione dell'altare principale da parte di Giovanni da Crema (testimoniato da iscrizione); 1129. Epigrafe di fine lavori fatta dal Cardinale Giovanni da Crema con la quale è testimoniato che la chiesa fu ricostruita dalle fondamenta entro quell'anno. Quindi il pavimento è del 1129. 1157. Il cardinale fiorentino Guidone Bellagio arricchì la chiesa di un nuovo altare. 1199. I monaci Benedettini vennero sostituiti con i Canonici Regolari Agostiniani. 1200. Nel primo ventennio del XIII secolo fu titolare il Cardinale Langton, vescovo di Canterbury, è quindi difficile credere che il pavimento sia stato fatto da questi. 1600. Durante restauri del XVII secolo alcuni dischi di porfido nei pressi del "santuario" vennero sostituiti con lo stemma della Famiglia Borghese: un drago in pietra policroma. 1623. Rinnovata dal cardinale Scipione Borghese con architetture di Gio. Battista Soria. "Il Pavimento di questa chiesa è di bell'opera alessandrina", come riferisce Antonio Nibby, in Itinerari di Roma. 1859. In Ragguaglio delle cose operate dal Ministero del Commercio, 1859, si legge: "Restaurata una parte del lastrico di mosaico di opera alessandrina nella chiesa di S. Crisogono" 1 "Anno Dominicae Incarnationis MCXXIII. VIII. Julii Indict. p. Dedicatum est Oratorium hoc à Verenabilibus Episcopi…".
INSERIMENTO DEI DIAMANTI NELL'ASSET DI PORTAFOGLIO, 2019
INSERIMENTO DEI DIAMANTI NELL'ASSET DI PORTAFOGLIO I Diamanti tagliati e certificati sono spesso apprezzati in genere come un modo per conservare il valore del proprio denaro. E' ragionevole e intuitivo che i Diamanti abbiano un valore intrinseco simile a quello dei metalli preziosi. Gli investitori stanno acquistando un qualcosa che sia "solido e tangibile". Questo è un fattore di differenziazione fondamentale tra le attività reali e le attività finanziarie come le azioni e tutti i contratti cartacei rappresentativi di un bene. Come i metalli preziosi, sarebbe anche ragionevole supporre che i Diamanti posseggano la qualità di bene rifugio sicuro, il che significa che durante una crisi economica i diamanti salvano il patrimonio.
Nuova Serie CULTURA e TERRITORIO Rivista di Studi e Ricerche sull'Area Stabiana e dei Monti Lattari, 2020
ARCHEOMEDIA, 2021
THE BESSA “AURIFODINAE” AND THE CSIC RESEARCHES. Some researchers of the Spanish National Research Counsil have undertaken, with the financial support of the Spanish Ministry of Culture, studies on the Bessa Roman gold mine (Piemont, Itay) to find the origin of the techniques used in Spain and to teach us the history of this mine and of the Piemont territory romanization. To do that, and with the hope of also obtaining local economic contributions, they relied on a local non professional archeologist, already publicly discredited for his reveries, and from him they acquired incomplete, distorted and interested information on the bibliography and on the historical and technical knowledges of the Bessa mine exploitation. For their part, they have not bothered to carry out independent bibliographic searches, so that, in addition to having false information on the Bessa, they ignore the existence of other similar mines, more or less close, exploited by the Salassi or by the Romans with different techniques. And they do not take it into account when, following the first publications, their boss and principal author, Sanchez-Palencia, was personally warned. In any case, their "researches" was then limited to topographical surveys and to a few useless drillings carried out in alleged Roman "water basins" used during exploitations: instead, these are modern structures built for agricultural-pastoral purposes, as it was published time before.
LA LIBERTA'-REGGIO EMILIA, 2018
Da pagina 12 a 14 si possono leggere le pagine del diario di viaggio che ho scritto quando la Diocesi di Reggio ha visitato alcune diocesi dell'Amazzonia brasiliana per decidere in quale mettersi a servizio nei prossimi anni
Il Veltro, 2024
Si delinea un itinerario delle memorie romane della famiglia Sobieski
Bollettino Storico Vercellese, 2021
Livio Sarasso (Prarolo (Vercelli), 1923-1948) was taken prisoner by the Germans on 9 September 1943 in Kalamata (Greece) where, from September 1942, he served with the Italian occupation army. In July 1944 he was transferred to a concentration camp near Kassel (Germany); he was released by the US army on April 17, 1945. The article contains his diary, which covers the entire period of his imprisonment. From the annotations it appears that Sarasso can be classified among the “lucky” prisoners; in fact, he was often assigned to services that put him in contact with the rural population and therefore with primary sources of food. However, he was not exempt from the problem of hunger and the risks of bombing, as dramatically exposed in the diary. Passionate pages of the diary are dedicated to the young girlfriend Liliana who, in the meantime, had been imprisoned for aid given to fugitive English prisoners.
BASILICA DI SAN MARCO E' difficile pensare che la basilica di San Marco non fosse già dotata di un pavimento musivo quando nel 1154 i marmorari Giovanni, Pietro, Angelo e Sasso, figli di magister Paulus, firmarono il ciborio, poi andato distrutto. L'iscrizione che ricorda l'evento è riportata da Forcella e commentata da De Rossi, ed è del seguente tenore: IN N. D. MAGR. CIL. PRR. CARD. S. MARCI IVSSIT HOC FIERI PRO REDEMPTIONE ANIMAE SVAE ANN. DNI MCLIIII IND. II. FACTVM EST PER MANVS IOHIS PETRI ANGELI ET SASSONIS FILIORVM PAVLI Essa potrebbe indicare, anche se non vi è certezza assoluta, che nei primi decenni il marmoraro Paolo avrebbe potuto realizzarvi un primo pavimento precosmatesco. Poi il cantiere passò in mano ai quattro figli, i quali fecero il ciborio e forse restaurarono l'opera del padre 1. Essa ci mostra anche una breve cronologia dei lavori di questi artisti che nel 1148 erano intenti nel realizzare il ciborio in San Lorenzo fuori le mura e nel 1154, come maestri specializzati in questi specifici monumenti, a fare questo di San Marco. E' opinione comune che il pavimento, o almeno i resti che si osservano, sia del XII secolo. La Glass, alla fine del suo studio su San Marco, lo data alla prima metà di quel secolo, mentre in qualche luogo si legge che esso è uno dei primi pavimenti cosmateschi fatti a Roma. La basilica è antichissima e risale al IV secolo, essendo stata edificata per la prima volta nel 336 da papa Marco e nonostante un primo restauro avvenuto nel 792 sotto papa Adriano I, essa fu interamente ricostruita da papa Gregorio IV nemmeno cinquat'anni dopo. Piuttosto oscure sembrano essere le vicende storiche medievali, se non che nel 1154 fu innalzato il campanile romanico. E quando altrimenti? E chi potrebbe averlo innalzato, se non quel famoso Angelo di Paolo, mentre i fratelli lavoravano al ciborio nello stesso anno, il cui figlio Nicola fece poi il campanile del duomo di Gaeta? Questo passo è una ulteriore 1 Così Giuseppe Armellini, Le Chiese di Roma : "Dalla quale (iscrizione) apprendiamo che la famiglia e scuola dei marmorari di Paolo, nota solo pel ciborio di s. Lorenzo fuori delle mura, fatto nel 1148 dai magistri Giovanni, Pietro, Angelo e Sassone figliuoli di Paolo marmorario, lavorò anche il ciborio del Titulus Pallacinae. Nel 1154 adunque i quattro fratelli suddetti fecero il ciborio di S. Marco". Veduta del piccolo Palazzo Venezia e della Basilica di San Marco, in un disegno di Paul Letarouilly, circa 1860.
Gli studi sugli atteggiamenti linguistici dell"ultimo ventennio ci hanno illustrato con ricerche e dati inconfutabili i giudizi antidialettali e talora autodenigratori dei siciliani (cfr. Volkart-Rey 1990). Interrogati a esprimere la propria volontà di trasmettere il dialetto alle future generazioni e a valutare il proprio idioma locale, gli informatori dell"ALS, invece, fanno affiorare una dichiarata apertura ideologica e si dicono possibilisti circa le intenzioni di mantenere una tradizione familiare dialettale. Cosa è successo tra gli studi degli anni "80-"90 e oggi? Ci chiediamo se, tra le altre cause che qui non indagheremo, lo sdoganamento mass mediologico abbia avuto qualche effetto su questo rinnovato senso di appartenenza linguistica. Oggi non solo non si occulta, ma talora si ostenta: dalla scatola radiofonica sino al moderno web (si veda la "paggina principali" di Wikipedia interamente in siciliano) il siciliano gode di una visibilità veicolata da personaggi freschi e simpatici, che allontanano dagli stessi siciliani, l"immagine del dialetto come codice della mafia o come codice "rozzo e volgare", attribuendogli uno statuto di simpatia di cui sino ad ora, forse, non aveva goduto. Tenteremo ora una veloce carrellata, tutta quantitativa, di media in cui il siciliano e i siciliani hanno costituito in questi ultimi mesi una presenza che potrebbe dar conto di questa marginalità in ascesa.
La trattazione della selezione dell'ausiliare nelle parlate campane basata sulla mia tesi di dottorato 1 , si propone di illustrare un aspetto fondamentale della sintassi dialettale campana, non sufficientemente studiata 2 . L'intento di questo lavoro, infatti, è colmare determinate lacune che la ricerca dialettologica presenta soprattutto in riferimento alla descrizione delle strutture verbali delle parlate campane (si veda ora per un quadro generale della morfosintassi dei dialetti italiani Manzini e Savoia in stampa). Viceversa, notevoli sono le conoscenze nel campo della sintassi del verbo relative ai dialetti di area mediana ed altomeridionale, pugliesi, siciliani e settentrionali (cfr. Tuttle).
Poco distante da Santa Maria Maggiore, è la basilica di Santa Prassede, nel rione Monti. E' antichissima, avendosi notizie certe almeno dal concilio di papa Simmaco tenutosi nel 499, ma in una lapide del 491 si menzionano dei presbitery tituli Praxedis. Il Libro Pontificale la ricorda nella vita di S. Leone III, nel 769. Una prima notizia, importante per la nostra indagine, nella cronologia della basilica è quella relativa all'assegnazione della stessa da parte di papa Innocenzo III ai monaci di Vallombrosa nel 1198. Si hanno notizie di ristrutturazioni dell'edificio nella prima metà del XIII secolo: la navata centrale fu rinforzata con l'aggiunta di tre archi e sei pilastri. Tra gli interventi successivi si ricordano, per importanza, quelli del Cardinale Antonio Pallavicini Gentile (1441-1507) che rifece tutta la zona del presbiterio, mentre Carlo Borromeo (1538-1584) ricostruì la scalinata di accesso, il portale centrale e la sacrestia, aggiunse le coperture a volte nelle navate laterali e aprì otto finestroni nella navata centrale. Alessandro de' Medici, ovvero papa Leone XI (1535-1605) fece decorare l'intera navata centrale, mentre il cardinale Ludovico Pico della Mirandola, colto dalla febbre di ricercare le reliquie sante, tra il 1728 e il 1734, fece interventi nella zona del presbiterio, compreso il rifacimento della cripta.
Ancora sul pavimento della basilica dell'Aracoeli Quando avevo già terminato di scrivere il capitolo dedicato a questa chiesa, ho trovato la seconda immagine di Luigi Rossini, tratta dal suo volume Scenografia degli interni delle più belle chiese di Roma, del 1846, che spesso riprendo in questo lavoro, da cui si vede chiaramente come era fatta una porzione del pavimento cosmatesco del transetto (nave traversa, come la chiama Rossini). Le due file affiancate di dischi di porfido che si vedono in basso, potrebbero essere identificate con quelle che fanno da perimetro all'area del transetto. Osservando le immagini moderne e questo disegno di Rossini, si nota che si tratta di due file di dischi disposti longitudinalmente, che partono in corrispondenza del punto mediano o vicino all'angolo del pulpito e che sembrano girare intorno all'area del recinto presbiteriale. L'unica differenza è che qui i dischi di porfido sembrano essere molto più grandi di quelli che si vedono oggi. Inoltre le decorazioni dei dischi sono assenti e compaiono solo le campiture tra essi. Ma tale lettura potrebbe dipendere dalla perdita di dettagli in una raffigurazione semplificata dell'autore. Comunque, stando al disegno, l'assetto generale appare essere piuttosto diverso da quello odierno. Nel disegno di Rossini si notano alcuni particolari molto interessanti. L'aspetto del pavimento nella zona del transetto sembra qui essere abbastanza diverso da quello che si vede oggi. Delle due file di dischi di porfido in basso ho parlato nel testo di questa pagina. Qui vorrei rimarcare, invece, la presenza nel centro del transetto dei dischi di porfido grandi, di cui almeno i due descritti da frate Casimiro, sembrano essere gli stessi e posizionati nel luogo dove dovevano trovarsi in tempi più antichi. Al di la della prima fila di dischi, però, si notano due riquadri disposti di punta con due grandi dischi di porfido e più un là un grande disco porfiretico in corrispondenza del perimetro curvilineo del ricinto presbiteriale. In questo disegno sembra non essere riportato il riquadro orizzontale che ospita due lastre tombali, di cui una del XVII secolo, che invece oggi si trova quasi tangente al grande disco centrale. La mia opinione è che tutti questi dischi di porfido, sicuramente di verde antico, sono quelli dai quali furono ricavate le numerose tessere che oggi adornano le fasce della griglia nel pavimento nella navata maggiore.
Urbanistica e appalti, 2003
Sommario: La disciplina delle distanze e la notifica ai controinteressati-La sopraelevazione-La sanatoria cd. giurisprudenziale, o impropria, o a regime-Argomenti contrari alla sanatoria giurisprudenziale-Argomenti a favore della sanatoria giurisprudenziale-Conclusioni
Rivista interdisciplinare di comunicazione ECHO , 2022
Il presente studio intende prendere in analisi la sezione intermedia chiamata Foglietti di diario appartenente a La Sicilia, il suo cuore (Bardi, 1952), prima e unica raccolta poetica dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, di cui si sono da poco concluse le celebrazioni per il centenario della nascita. Questo gruppo di cinque poesie costituisce un esempio di poesie-diario che Sciascia scrive allontanandosi dalla sua terra, la Sicilia, viaggiando in treno verso la Toscana e la capitale, Roma. Ciò che s'intende proporre è un'analisi attenta e profonda del significato di viaggio per Leonardo Sciascia, non certo conosciuto come un viaggiatore o scrittore di viaggi, ma più come un uomo consuetudinario, abitudinario, profondamente legato alle proprie origini, alla propria terra, a quella Sicilia trasformata in "metafora del mondo". Grazie a queste poesie di viaggio, poco conosciute dalla critica e raramente analizzate, si vuole sottolineare come in realtà lo scrittore siciliano abbia avuto bisogno del confronto con l'altro. Il viaggio di Sciascia, soprattutto nelle poesie contenute nella sezione in oggetto, è il viaggio del flâneur, in cui Sciascia può girovagare, "un perdigiorno, una persona che trascorre il tempo passeggiando per la città, facendo acquisti o guardando la folla" (2014, p. 66), afferma Delfino. Rispetto ai cambiamenti sostanziali dell'esperienza di viaggio odierna, lo Sciascia che emerge da questi scritti è un "sovversivo", poiché rompe i ritmi e l'organizzazione rigida delle città e dei luoghi visitati, attraverso un andamento lento e calibrato, votato proprio alla riflessività e all'osservazione. L'esperienza che Sciascia fa rivivere nelle sue poesie dal verso corto testimonia l'ambizione di sapersi muovere per le città e per i luoghi senza fare rumore, confondendosi tra la folla, contaminandosi, appartenendo sempre a un nuovo luogo, condividendo la cultura locale con la sua, filtrando il materiale per strutturare il suo personale pensiero. Altro punto d'interesse è la scelta dei luoghi, che, come flâneur, non è lasciata al caso: cimiteri, giardini pubblici, caffè, aree dismesse e abbandonate, luoghi dell'erranza e della meditazione. Sciascia quindi, ricordando ciò che Fasano scrive, "costituisce, spostandosi, una distanza" (1999, p. 8) fra sé e la sua terra, interpretando l'allontanamento da casa come un motivo per poterla conoscere ancora meglio, grazie al confronto e alla contaminazione, sottolineando come il vero viaggio sia fatica ma anche bisogno.
INTRODUZIONE. Ricordare la vicenda di Settimia Spizzichino (Roma, 15 aprile 1921-Roma, 3 luglio 2000) in occasione della Giornata della Memoria (Legge 211 del 20 luglio 2000) significa restituire la storia della sola donna sopravvissuta agli orrori del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e Bergen-Belsen dopo essere stata deportata insieme a 1024 ebrei romani tra cui 18 bambini deportati il 16 ottobre 1943 dal ghetto di Roma. Settimia Spizzichino prima ancora che fosse stabilita per legge la Giornata della Memoria andava nelle scuole non solo di Roma e provincia a narrare la brutalità nazista. In questa breve nota permettetemi anche un ricordo personale: Il tre marzo 2000 Settimia venne nella mia scuola d'allora. I ragazzi ascoltarono la sua testimonianza. Non vollero nemmeno fare la merenda. Fecero tante domande. Le chiesero se lei, dopo quell' esperienza, avesse mai più sorriso, dove avesse trovato la forza per sopravvivere quando era nel lager, che cosa successe in via della Reginella, che cosa successe nel Collegio militare di via della Lungara, che cosa successe alla Stazione Tiburtina. Ci parlò delle selezioni, dell' arrivo dei russi e di cosa fece dopo la Liberazione. Ricordare, ricordare affinché ciò che era accaduto nel lager fosse messo a conoscenza di più persone. Oggi siamo qui per ricordare la sua persona.
Arheoloski Mu zej lstre Poi a CDU: 904(497.13Cherso-Lussioo)«652>> Gennaio 1990 Riassunto-L'autore nella parte iniziale del saggio si sofferma brevemente sull'importanza delle isole di Cherso e Lussino nella preistoria e protostoria e sull a sottomissione dei Liburni alla potenza romana. In seguito illustra il processo di romanizzazione delle isole di Cherso e Lussino, la disposizione urbanistica di Crex a/Crepsa e Apsorus ed enumera le località di queste due isole nelle quali so no stati rinvenuti resti di architettura rurale.
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