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L'opera di Adele Musso si presenta in modo originale già dal titolo : un sostantivo ma anche un acronimo. Il senso sotteso alle trenta poesie è comunque implicito nel significato del sostantivo fame, nel suo rimandare a un vuoto che vuole essere colmato di vita, a un bisogno corredato delle proprie emozioni. Nel momento in cui fame diventa l'acronimo f.a.m.e. il senso della raccolta si amplia, si struttura e si articola nelle sezioni famiglia, amore, morte, essere, che rappresentano i punti cardinali che orientano la vita della poetessa. Le emozioni sono immediatamente evocate da oggetti, animali ed elementi naturali tra loro legati e correlati ai quali è demandata l' espressione del significato più profondo della poesia: ali, lino, rosa, albero, seme,treno, traversine, foglia, rondini, filo, bianco. La loro densità li impone alla mente del lettore. Ne risulta una visione del mondo inaridita e sterile che gli "oggetti" emblematici della poetessa tentano di esorcizzare riproducendo immagini del passato e fissando nell'istante le emozioni stesse. Fitta è la trama dei simboli che
Archeometria è il termine sintetico che indica quelle cose antiche o fenomeni ad esse collegate che devono essere misurate e quantificate. La necessità di tale trattamento quantitativo è ovvio, se immaginiamo le domande poste dagli storici o/e dagli archeologi, che devono valutare la vestigia dei materiali del passato. Credo che ognuno di noi davanti ad un reperto archeologico, nel senso più ampio del termine, si sia posto la domanda: che cos'è? Nel caso di manufatti: com'è stato fatto? È stato prodotto localmente o è giunto nel sito tramite commercio? Addirittura, se si discute di un'opera d'arte di una cultura ben nota, chi l'ha fatta? L'Archeometria è certamente più vecchia del suo nome. Il termine "Archeometria" deve essere di poco anteriore al 1958, quando ad Oxford fu battezzata con questo nome una rivista. Se si deve dare una risposta chiara alla domanda: "di che cosa si parla in un Corso di Archeometria?" Non è nient'altro che l'applicazione di tutte le conoscenze scientifiche, sia qualitative che quantitative, su dei materiali di interesse storico. Ovvero l'Archeometria, secondo una logica reciproca, può anche essere definita come le Scienze Naturali forniscono dei metodi alle Scienze Umanistiche, cioè la biunivocità tra numero e lettera. Nelle Scienze Naturali, la Chimica è una disciplina giovane, anche se, come abbiamo affermato che l'Archeometria è ancora più giovane quindi le prime investigazioni scientifiche che furono fatte su materiali archeologici erano di natura squisitamente chimica. Il primo significante risultato pubblicato nella letteratura scientifica ha dovuto a Klaproth M.M. nel 1796. Egli fu un vero pioniere nel campo archeometrico, con un metodo chimico classico determinò la composizione di monete greche e romane e dei vetri. Altri chimici che si cimentarono con delle analisi su materiali archeologici furono Davy H. (1815, 1817), Berzelius J.J. (1836) E Berthelot M. (1906) ed altri ancora. Uno di questi Gobel C.C.T.F. (1842) fu il primo a suggerire che i risultati scientifici su materiali archeologici potessero essere utilizzati nell'archeologia. Il ponte della cooperazione tra scienziati e umanisti era gettato, nel 1853 apparve il primo lavoro comune, con un'appendice che riportava alcuni dati chimici, che descrivevano le analisi di alcuni reperti rinvenuti in uno scavo, Layard, 1853. Con questa pubblicazione si dimostrò che gli archeologi illuminati potevano e possono trarre molte informazioni su delle indagini scientifiche. Il primo che dimostrò che le Scienze Naturali erano correlate con l'Archeologia per studi di provenienza fu Wocel J.E. (1853, 1859) e dimostrò anche che gli oggetti metallici potevano essere datati attraverso la loro composizione quantitativa. Gli scavi archeologici alla fine del 800 iniziarono ad essere condotti in un modo sistematico, quindi le indagini scientifiche erano molto richieste. Accanto ai lavori archeologici, appendice, cominciarono ad essere riportati i risultati delle indagini scientifiche e addirittura le indagini scientifiche erano pubblicate da sole sulle riviste archeologiche (Schliemann, 1878). il mese in cui la terra rifiorisce; Maggio e Giugno da major e junior; Luglio in onore di Iulius Cesare, Agosto in onore di Augusto. Una traccia dell'antico anno romano di dieci mesi rimane nei nomi dei mesi di Settembre, Ottobre, Novembre e Dicembre rispettivamente il settimo, l'ottavo, il nono e il decimo mese. Con il calendario Giuliano, imposto da Giulio Cesare nel 46 BC, la durata dell'anno è fissata per legge in 365,25 giorni con una sequenza di 3 anni di 365 giorni seguiti da un anno bisestile di 366. Un anno è bisestile se è numericamente divisibile per quattro. Nel calendario Giuliano ci sono 100 anni bisestili in 400 anni. L'anno Giuliano è però 11 minuti e 14 secondi più lungo dell'anno tropico. La differenza è piccola però diventa sempre più grande con il passare del tempo: ad esempio diventa circa 10 giorni in 1 440 anni. Il problema sorse con la Pasqua, una festa liturgica mobile che deve cadere la domenica successiva al plenilunio dell'equinozio di primavera. L'equinozio di primavera, il 21 marzo, giorno in cui inizia la primavera, è uno dei due giorni dell'anno in cui il giorno e la notte hanno eguale durata. L'altro equinozio è il 21 settembre giorno in cui inizia l'autunno. Nel calendario Giuliano, ancora usato dai Cristiani Ortodossi, tutte le feste liturgiche (Natale, Capodanno, Pasqua, ecc.) sono posticipate rispetto alle nostre. Si rimediò a questa sfasatura, tra anno giuliano e tropico, sopprimendo 10 giorni, passando direttamente dal giovedì 4 al venerdì 15 ottobre 1582, e riportando così l'equinozio di primavera al 21 marzo. Per evitare sfasature si diede una nuova definizione di anno bisestile. Sono anni bisestili gli anni numericamente divisibili per 4 e gli anni secolari (1600, 2000, ecc.) divisibili per 400. Il nuovo calendario, detto Gregoriano dal nome del papa Gregorio XIII, è quello oggi usato nel mondo occidentale. Nel calendario Gregoriano ci sono 97 bisestili in 400 anni e l'anno Gregoriano (365.2425 giorni) supera l'anno tropico di soli 26 secondi! L'errore sarà di circa 1 giorno solo nell'anno 5 000 AD! Come si determina la data della Pasqua? La primavera inizia il 21 marzo. Se il plenilunio, ad esempio, si osserva sabato 21 marzo la Pasqua sarà domenica 22 marzo. Se il plenilunio cade il 20 marzo (INVERNO!) si deve aspettare il nuovo plenilunio del 18 aprile e se questa è una domenica la Pasqua cadrà il 25 aprile. Questi esempi mostrano come la data della Pasqua è sempre compresa tra il 22 marzo e il 25 aprile. A proposito di durata del giorno, oltre agli equinozi (in cui la durata della notte e del giorno sono eguali) sono da ricordare il solstizio invernale, il giorno più corto dell'anno il 21 dicembre in cui inizia l'inverno, e il solstizio estivo il giorno più lungo il 21 giugno, in cui inizia l'estate. Oltre al Gregoriano esistono altri calendari. Nel calendario islamico il riferimento, cioè l'anno uno, è l'anno dell'Egira, cioè della fuga di Maometto a Medina avvenuta il 15 luglio del 622 AD = 1 A H (Hegira). L'unità di tempo è il mese lunare di 29,530588 giorni, cioè il tempo trascorso tra due lune nuove. La durata del mese lunare non è però costante e la durata media è di circa 12 x 29,530588 giorni cioè di circa 354 giorni, cioè 11 giorni meno dell'anno tropico. L'uso di un calendario lunare porta ad anni di durata diversa: ad esempio due anni di 12 mesi seguiti da uno di 13, ecc. Nel calendario ebraico, il riferimento, cioè l'anno uno è l'anno della Creazione, fatta risalire al 7 ottobre 3761 BC = 1 A. J. L'unità di tempo è l'anno lunare. Nel calendario ebraico compare la settimana di sette giorni, corrispondente a una fase lunare, con il settimo giorno (Sabato) dedicato al riposo.
1. Il mito del museo Sono le dieci meno cinque di un caldo ma umido sabato mattina del mese di maggio, a meno di un anno dalla fine del millennio. All'esterno del British Museum di Londra si è formata una coda di persone, mentre altre sono sedute sulle panchine nel cortile antistante al museo e sotto il grandioso colonnato. Il sole splende. C'è nell'aria una sorta di ronzio pieno di aspettativa, come se si stesse al cinema nell'attesa del momento in cui si spengono le luci. La gente fuori del museo si è data appuntamento con gli amici: chiacchiera, controlla le guide, mangia il gelato, addita i piccioni, preparandosi alla visita. Le porte si aprono, ma non è consentito entrare, nemmeno a chi di noi esibisce ostentatamente piccoli tagliandi gialli, che pure riteniamo il nostro lasciapassare. Stiamo andando a un convegno che inizia alle dieci; obiettivo della giornata è discutere il ruolo e le prospettive dei musei alla fine del secolo, e non vogliamo essere in ritardo! Conosciamo a fondo i musei. E tuttavia, non ci è permesso di entrare. Su questo punto i custodi in uniforme sono inamovibili, e così rimaniamo seduti fuori, tra i piccioni e i mozziconi di sigaretta lasciati dai visitatori del giorno prima. Passano i minuti. Le transenne (inutilizzate) per regolare il flusso del pubblico ammoniscono «Vietato salire sulle transenne» e «Vietato dare da mangiare agli uccelli». Finalmente, la coda comincia a muoversi, un po'a fatica, come un gigantesco serpente. Quelli di noi che hanno i tagliandi gialli sgusciano tra la calca di corpi e di lingue straniere, passano davanti al personale di sorveglianza, camminano speditamente davanti ai negozi del museo (il costoso giftshop, la libreria e il negozio per i bambini) ed entrano nelle gallerie delle antichità egizie. Il museo trattiene il fiato prima di una nuova intensa giornata. Le sale espositive sono state pulite e tirate a lucido, gli oggetti sono stati selezionati, classificati ed esposti ordinatamente, e ogni area delimitata è deserta a eccezione dei custodi, composti e all'erta nelle loro uniformi semi-militari. Tutto è sistemato e disposto impeccabilmente; ogni guardiano al suo posto, circondato da testimonianze del passato che aspettano di essere osservate e interpretate. Vi è come il presentimento di un qualcosa che sta per accadere, di una rappresentazione in procinto di essere messa in scena. Nel giro di qualche secondo la folla mi raggiunge, e lo spettacolo comincia! Il British Museum è diventato un archetipo del museo. Con il suo colonnato in stile classico, il suo frontone triangolare e la scalinata che bisogna salire prima di entrare, questo imponente edificio di pietra incarna l'idea di «Museo» imperante tanto nell'immaginario collettivo quanto nel dibattito accademico, e passibile di diverse interpretazioni: un'immagine di cultura e di civiltà; di polvere, di degrado e di incuria; di potere e di controllo. È una visione sopravvissuta al tempo, malgrado i numerosi e radicali mutamenti occorsi nei musei nell'arco degli ultimi vent'anni. In Gran Bretagna, a prescindere dalla cultura di appartenenza o dal luogo di origine, le persone cui viene richiesto di descrivere «un museo» finiscono col ritrarre proprio questo tipo di edificio, immaginandolo popolato da «Re e Regine», da corone, armature, armi, «sassi e cocci»1. Sotto diversi profili, questa visione dei musei ha assunto una connotazione «mitologica». Eppure, essa ha ben poco a che spartire con la gamma e con la varietà dei musei oggi esistenti, né è in grado di restituire l'effettiva esperienza di chi visita i musei, o di coloro che vi lavorano. È un'immagine riduttiva, che non riconosce né la gamma di soddisfazioni che si possono trarre dalla visita di un museo, né la complessità delle sfide alle quali i musei devono oggi far fronte. D'altra parte, il «Museo» rappresenta un ideale, un insieme di valori condivisi da gran parte del personale che vi lavora. Molti musei d'arte vedono se stessi come luoghi speciali, lontani dalla banalità del quotidiano; luoghi che conservano il meglio del passato, apprezzati da persone colte e sofisticate. In simili istituzioni, i valori sottesi alla professionalità museale sono la tutela e la conservazione, l'eccellenza scientifica e una filosofia espositiva fondata su
Treccani.it - Lingua italiana, 2023
Dante Alighieri era già schierato politicamente nella variegata partita medievale tra guelfismo, ghibellinismo e rispettive fazioni interne. È il caso di paracadutarlo, quasi 800 anni dopo, nel nostro ancor più variegato agone partitico? In teoria non sembra opportuno, per tanti motivi (storici, letterari, politici). In pratica, invece, è successo pochi giorni fa, con un giudizio che pesa molto visto il ruolo di chi lo ha emesso: la paternità del «pensiero di destra» in Italia gli è stata attribuita il 15 gennaio 2023 da Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura nel Governo Meloni.
Le pagine di questo lavoro hanno poche pretese. Esse vogliono essere un reportage sintetico sul problema dei rifiuti e della tutela ambientale nel Molise. Si riportano dati e fatti pubblici, quindi, nulla di nuovo ma un solo scopo: informare. Molti degli atti sono il frutto di articoli di stampa e di un lavoro di gruppo sia della Commissione Regionale Anticorruzione, sia del Comitato di Difesa della Salute Pubblica, sia dell'Associazione Mamme per la Salute di Venafro. Il libro si rivolge principalmente ai cittadini e si articola in tre parti. La prima, affronta ed approfondisce il quadro generale dei rifiuti pericolosi in Italia e in Molise. La seconda fa una analisi dettagliata di tutte le operazioni di polizia e della magistratura sul fenomeno. La terza riporta oggettivamente chi all'epoca delle dichiarazioni di Schiavone ricopriva incarichi istituzionali e politici in Italia ed in Molise. La parte conclusiva fa il punto della situazione e fissa alcuni principi fondamentali per uscire da questo "inferno". Per rispondere meglio alle esigenze del lettore, il lavoro è fondato su un principio nel quale crediamo fermamente: "massimo di informazioni possibili con minimo dispendio verbale". Ai lettori il compito di giudicare fin dove saranno attuate le nostre aspettative. Portocannone, 6 gennaio 2014 Vincenzo Musacchio INDICE INTRODUZIONE LE INDAGINI SUI RIFIUTI TOSSICI IN MOLISE NOMI FATTI E RESPONSABILITA' POLITICHE CONCLUSIONI E PROPOSTE INTRODUZIONE Il nostro Paese, ancora oggi può essere annoverato tra le grandi potenze industrializzate, ed in quanto tale, produce giocoforza ingenti quantità di rifiuti pericolosi. Per questo motivo, è allo stesso tempo vittima e artefice dei traffici di rifiuti tossici, realizzati attraverso la terra e il mare. L'industria italiana in genere, risparmia enormi quantità di denaro disfacendosi di rifiuti altamente nocivi smaltendoli in maniera illegale. Su questi crimini, ovviamente, lucra la criminalità organizzata. Tenuto conto che si tratta di traffici illegali, è impossibile avere una quantificazione esatta del giro d'affari. È tuttavia possibile avere un'idea dai dati che riguardano la quantità di rifiuti speciali (categoria di cui fanno parte anche quelli tossici e pericolosi) prodotti in Italia. I dati del 2010 indicano oltre 138 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti, di cui oltre 7 milioni di rifiuti pericolosi. Poco più di 100 milioni di tonnellate sono quelli smaltiti legalmente. Mancano quindi all'appello ogni anno circa 38 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. È altamente probabile, quindi, che una parte consistente di questi rifiuti (quelli pericolosi) finisca sottoterra o negli abissi marini (Fonte: Rapporto Ecomafie di Legambiente). I riscontri oggettivi sui dati appena forniti al lettore, sono suffragati da documenti ufficiali delle varie Commissioni parlamentari e delle diverse Procure e Tribunali italiani che hanno indagato su questi fatti criminosi. Nella relazione finale della Commissione Parlamentare sui Rifiuti (2001), ad esempio, emerse uno scenario a dir poco apocalittico. Oltre alla distruzione del territorio, anche la costa italiana è fortemente pregiudicata. I mari italiani sono attraversati da navi, spesso vere e proprie carrette del mare, che trasportano di tutto, assoggettate a controlli spesso casuali e inconsistenti. L'affondamento a largo delle coste italiane di almeno 39 navi (le cosiddette "navi a perdere") è ormai una certezza. Si tratta di fatti attendibili suffragati sia da indagini giudiziarie che da accertamenti effettuati dai Lloyds di Londra (cfr. Atti Commissione Parlamentare sui rifiuti, Roma 2001). E' di questi giorni la notizia che le armi chimiche di Assad (Siria) saranno stoccate e distrutte nel nostro Mediterraneo. I nomi delle navi dei veleni che quasi certamente giacciono ancora nei fondali dei mari italiani sono tanti, e si possono trovare nei documenti ufficiali delle inchieste svolte da numerose Procure della Repubblica. Un elenco esemplificativo emerge da una recente interrogazione parlamentare (On. Realacci, 13 ottobre 2009 -Camera dei Deputati): Motonave Nicola I, partita nel luglio 1985 dal porto di La Spezia e mai arrivata a destinazione; nave Mikigan, partita da Livorno e affondata davanti alla Calabria nel 1986
La storia a fumetti della scoperta della Stele di Mesha.
Mentre potrebbe apparire semplice inquadrare il rapporto tra museo e scuola nel contesto dei rispettivi obiettivi, in pratica insorgono spesso difficoltà nello sviluppo di collaborazioni tra queste due istituzioni. La scuola si rivolge ad un pubblico determinato, suddiviso in fasce di età, al quale trasmette ed impartisce un messaggio costruito sulla base del curriculum ufficiale, preoccupandosi della coerenza educativa della trasmissione del contenuto. Diversamente dalla scuola, il museo è un luogo di apprendimento libero, accessibile cioè soltanto a chi veramente lo desideri, e si rivolge ad un pubblico variegato. La coerenza che caratterizza il museo è molto più localizzata, e dipende dall'argomento trattato; inoltre, molto spesso, la coerenza educativa della visita dipende dalla modalità con cui essa viene svolta.
Pur non essendo risalente nel tempo quanto quello degli Argonauti o viepiù di Gilgamesh, il mito di Odisseo/Ulisse è senza dubbio antichissimo: «Molti elementi indicano che Odisseo rappresenta un'antichissima figura della mitologia greca. Anzitutto il nome, che come quello di Achille, non si può spiegare con etimologie greche e rinvia a strati più antichi. Poi anche le molteplici esperienze e situazioni con le quali l'eroe appare strettamente collegato: i suoi incontri con streghe e giganti, con mostri e mangiatori d'uomini, il suo viaggio agli Inferi, i suoi contatti con esseri demoniaci, tutto ciò giustifica la supposizione che le sue radici vadano cercate nel mondo dell'antica favola, e addirittura nel mondo di primitive concezioni magiche e sciamaniche ». 1
ADELE ORIOLI IL PROFESSORE (E IL) CROCIFISSO
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IL MUSEO DIOCESANO DI MONREALE, 2016
Lingua italiana - Treccani, 2024
IL CINQUECENTO A FERRARA Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli con la direzione di Pietro Di Natale, Silvana, 2024
XXII Congresso ADI (Bologna, 14 settembre 2018): «La santa Croce ci faccia imparare come dobbiamo il buon Gesù imitare»: echi teresiani sull’annichilimento e matrimonio mistico nelle autobiografie per obbedienza della Venerabile Maria Alberghetti, 2020