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History of Engineering. International Conference on History of Engineering. Atti del V Convegno di Storia dell'Ingegneria, Napoli 19, 20 maggio 2014, vol. II, pp.827-846
Opus. Quaderno di Storia dell'Architettura e Restauro, 12 - 2013, 2014
A remarkable example of Renaissance architecture in Naples, the palace built between 1451 and 1490 by the Como family, was demolished in 1881-82 and partly reconstructed at a different site. The façades on two main levels display the accurate stonework fashionable in that period: a regular rustication decreasing in depth from the lower to the upper level, over a smooth basement. A similar kind of work is to be found in other Neapolitan examples such as the palace of Diomede Carafa, and can be connected to the Tuscan taste brought to the kingdom by Alfonso, Duke of Calabria. A further suggestion comes from the cross-shaped windows of the south and east façades, for which the work of Tuscan stonecutters is recorded. The research has produced, among other data, an interesting reference to the famous Dalmatian sculptor Francesco Laurana, whose name appears in a bill of sale to Angelo Como dated 1473.
1 L'immagine attuale dell'edificio della Zecca si deve all'intervento di restauro e parziale ricostruzione operato sull'impianto precedente a metà dell'ottocento ed ai radicali interventi urbanistici ed edilizi del Risanamento, compiuti fra il 1898 ed il 1912.
Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie modenesi - Atti e memorie Serie XI, vol. XLV, 2023
Nella parte del centro storico di Modena che ha conservato un’impronta urbanistica più spiccatamente medievale, a sud della via Emilia, racchiuso tra notevoli vestigia dal passato illustre, come il complesso dei monasteri di S. Geminiano e S. Paolo, il convento di S. Francesco, l'ex collegio dei Gesuiti, un palazzo rinascimentale con accesso da via Selmi occupa un intero isolato tra piazzale Torti a Nord e via tre Re a sud, mentre a ovest un cortile lo separa da un edificio di epoca post bellica. Posto al centro della facciata orientale, l’ingresso principale è costituito da un elegante portale ad arco. Da qui si accede all’androne passante coperto da volta a crociera ed arricchito, ai lati, da due pregevoli portali cinquecenteschi in arenaria, dagli architravi scolpiti con ornamenti architettonici ed epigrafi. L’androne si apre su una corte interna rettangolare racchiusa tra muri in mattoni a vista, che conserva, nel prospetto occidentale, uno stemma in pietra raffigurante un castello con tre torri e banderuole. Si tratta del blasone dei Castelvetro, una famiglia originaria del borgo di Castelvetro, distante una ventina di chilometri a sud di Modena, che crebbe in ricchezza e prestigio sociale nella Modena del Cinquecento. Famiglia che conta diversi esponenti con un ruolo di primo piano nella vita cittadina, tra i cui membri si annovera Lodovico Castelvetro (1505-1571), umanista e letterato condannato per eresia e morto esule in Svizzera. Palazzo Castelvetro è appartenuto a questa famiglia per tre secoli, dal 1450 al 1744. Tra i suoi membri, emergono figure che hanno ricoperto un ruolo di assoluto rilievo nella storia della città, come quella del magnifico Giovanni Castelvetro, conte e cavaliere, e il figlio Simone, archiatra del papa Gregorio XIV. Inoltre il palazzo ha conservato, anche nei secoli successivi, il carattere di residenza nobiliare di illustri famiglie modenesi. In particolare nel Settecento venne acquistata dal dott. Gaetano Araldi, protomedico della principessa ereditaria Matilde figlia del duca Francesco III d'Este, nonché delle principesse Benedetta e Amalia, sue zie. Nell’Ottocento e fino agli anni Venti del Novecento vi abitano quattro generazioni della famiglia Parenti, tra cui spicca il governatore di Montecuccolo Luigi Serafino, e i figli, il letterato Marc’Antonio e Gaetano, uno dei primi sindaci della città dopo l’annessione al regno d’Italia. Si intendono qui ricostruire le vicende storiche di palazzo Castelvetro e dei suoi abitanti lungo sei secoli, dal XV al XX, ed insieme raccontare le modificazioni edilizie insieme alle trasformazioni urbanistiche di quest’area del centro storico di Modena. Intendiamo inoltre accendere i riflettori su una vicenda fino ad oggi ignorata, quella dei busti in terracotta, attribuiti ad un maestro plastico modenese del Cinquecento, Lodovico o Antonio Begarelli, esposti nel palazzo fino alla fine dell’Ottocento, e di cui ad oggi si sono perse le tracce. In the part of the historic center of Modena which has preserved a more markedly medieval urban imprint, south of the Via Emilia, enclosed by notable vestiges from an illustrious past, such as the complex of monasteries of S. Geminiano and S. Paolo, the convent of S Francesco, the former Jesuit college, a Renaissance palace with access from via Selmi occupies an entire block between piazzale Torti to the north and via tre Re to the south, while to the west a courtyard separates it from a post-war building. Located in the center of the eastern facade, the main entrance consists of an elegant arched portal. From here you enter the through hall covered by a cross vault and enriched, on the sides, by two valuable sixteenth-century sandstone portals, with architraves carved with architectural ornaments and epigraphs. The entrance hall opens onto a rectangular internal courtyard enclosed by exposed brick walls, which preserves, in the western elevation, a stone coat of arms depicting a castle with three towers and weather vanes. This is the coat of arms of the Castelvetro, a family originally from the village of Castelvetro, about twenty kilometers south of Modena, which grew in wealth and social prestige in sixteenth-century Modena. Family that counts several exponents with a leading role in city life, among whose members there is Lodovico Castelvetro (1505-1571), humanist and scholar convicted of heresy and died in exile in Switzerland. Palazzo Castelvetro belonged to this family for three centuries, from 1450 to 1744. Among its members, figures emerge who have covered a role of absolute importance in the history of the city, such as that of the magnificent Giovanni Castelvetro, count and knight, and his son Simone, archiater of Pope Gregory XIV. Furthermore, the building has preserved, even in the following centuries, the character of noble residence of illustrious Modenese families. In particular, in the eighteenth century it was purchased by Dr. Gaetano Araldi, physician to the hereditary princess Matilde, daughter of Duke Francesco III d'Este, as well as to the princesses Benedetta and Amalia, her aunts. In the 19th century and until the 1920s, four generations of the Parenti family lived there, among which the governor of Montecuccolo Luigi Serafino stands out, and his sons, the man of letters Marc'Antonio and Gaetano, one of the first mayors of the city after the annexation to the kingdom of Italy. My aim is to reconstruct the historical events of Palazzo Castelvetro and its inhabitants over six centuries, from the 15th to the 20th, and tell the building modifications, together with the urban transformations of this area of the historic center of Modena. I also intend to turn the spotlights on an event hitherto ignored, that of the terracotta busts, attributed to a Modena master sculptor of the sixteenth century, Antonio (or Lodovico) Begarelli, exhibited in the building until the end of the nineteenth century, and of which to date lost track.
Il palazzo e il giardino Treves dei Bonfili di Padova divenne un banco di prova importante per testare il piano di ridisegno dell’immagine pubblica dei Treves. La componente collezionistica nell’ambito del processo di affermazione del nuovo status sociale della famiglia di banchieri ebbe un ruolo determinante. L'orto botanico privato creato da Giuseppe Jappelli per i suoi committenti divenne celebre in Italia e all'estero non solo per la sua squisita raffinatezza, ma per rarità delle specie che vi erano conservate. Roberto de Visiani, curatore dell'orto botanico di Padova, nel 1840 annovera tra pochi giardini botanici privati rimasti in Italia.
Fig. 1-Il palazzo feudale di Mombaruzzo visto d'infilata tra le case del borgo.
in "I libri e l’ingegno. Studi sulla biblioteca dell’architetto (XV-XX secolo)", a cura di Giovanna Curcio, Marco Rosario Nobile, Aurora Scotti Tosini, Palermo 2010, pp. 102-107
La cultura libraria occupa un posto centrale nella pratica professionale di Ferdinando Sanfelice (1675-1748), rappresentando il filtro privilegiato per la conoscenza dell'architettura dei secoli precedenti e la formazione del suo patrimonio visivo 1 . Anche se l'inventario post mortem dei suoi beni, che avrebbe forse potuto fornire utili informazioni sui libri da lui posseduti, risulta attualmente disperso 2 , disponiamo tuttavia di un attendibile profilo biografico pubblicato da Bernardo De Dominici nel 1745, quando l'architetto era ancora in vita 3 . De Dominici narra come Sanfelice, dopo un'iniziale educazione giuridica e letteraria, si fosse avviato allo studio della pittura presso la bottega di Francesco Solimena, per passare poi alla matematica sotto la guida di Luca Antonio Porzio e Michelangelo Monforte: nato infatti da una famiglia aristocratica napoletana appartenente al Seggio di Montagna, arriva all'architettura non dalla pratica di cantiere, ma da una formazione colta avvenuta prevalentemente sui libri. Vi sono inoltre numerosi altri tasselli che documentano la continuità dei suoi rapporti con il mondo dell'editoria. Pietro Giannone, nelle lettere scritte da Vienna, fa più volte riferimento a incisioni di architettura inviate a Sanfelice e a Solimena per sottoporle al loro giudizio, in particolare alcune raffiguranti il «trofeo del principe Eugenio in marmo», la «dedica al principe di Scielbörn» e «il tumulo del principe Trauson», tutte opere dell'incisore tedesco Jeremias Jakob Sedelmayer 4 . Inoltre, a partire dal 1701, e poi ancora nel 1720, nel 1731, nel 1734 e nel 1738, Sanfelice collabora all'edizione di diversi volumi celebrativi, occupandosi dell'apparato iconografico 5 . Nel 1708 pubblica un breve Parere sui restauri necessari alla cupola della cappella del Tesoro di San Gennaro, corredato da tavole esplicative 6 , e in seguito, insieme col fratello Antonio, vescovo di Nardò, cura la pubblicazione di due libri scritti da suoi antenati, il Diario dell'elezzione dell'imperador Leopoldo I, redatto da Giuseppe Maria Sanfelice nel 1658 e pubblicato nel 1717 7 e la Campania illustrata, edita da Antonio Sanfelice senior nel 1562 e ripubblicata nel 1726 8 . Proprio nella dedica della Campania illustrata, indirizzata a papa Benedetto XIII, l'architetto riferisce dell'intenzione di dare alle stampe un libro di architettura di cui aveva già cominciato a delineare alcuni disegni relativi ad «altaria, templa, caeteraque architecturae opera» 9 . Che l'architetto avesse già approntato parte del materiale per la redazione del libro, è confermato da De Dominici, il quale, a proposito dell'irrealizzato progetto di Sanfelice per la chiesa della Trinità di Salerno, specifica che «non si fece tal Chiesa, ma si vede però stampato nel suo libro dell'Architettura, che si spera fra breve voglia darsi alla luce per decoro della nostra Patria, e per utile de' Professori» 10 . Un gruppo consistente di disegni all'interno del corpus sanfeliciano, oggi al Museo di Capodimonte, può verosimilmente essere ricondotto a questa irrealizzata pubblicazione 11 e, a mio parere, è altrettanto plausibile che fosse destinata al trattato, come frontespizio, anche un'incisione ( ) con il ritratto dell'architetto, databile al 1735 e probabilmente realizzata su disegni di Solimena e Sanfelice 12 . Il cartiglio apposto in basso specifica che «Ferdinandus Sanfelicius Patritius Neapolitanus» è raffigurato «aetatis suae LX»: già la cornice architettonica che inquadra il ritratto rimanda a fonti libresche, in particolare per le colonne fasciate, che derivano dall'ordine "gallico" di Philibert Delorme, reso di nuovo attuale nel XVIII secolo grazie al Cours d'Architecture di Agustin Charles D'Aviler 13 . I libri sono presentati come lo strumento privilegiato della professione e, assieme al compasso e all'astrolabio -che ricordano il fondamento matematico dell'architettura -compaiono ai lati dello stemma di famiglia. Il duplice rapporto dell'architetto con i libri -di produzione e di consumo -è efficacemente rappresentato dai due volumi che figurano di fronte a lui: uno, chiuso e orgogliosamente ostentato, mostra sul dorso di un'elegante rilegatura la dizione «Architettura del Sanfelice», l'altro, usato e ormai malconcio, penzola quasi squadernato dal bordo del tavolo. Libri da scrivere, dunque, per dimostrare la propria raffinata erudizione, ma anche libri da consultare, leggere e studiare fino a consumarli. Vi sono tuttavia modi diversi di usare i libri. L'approccio più immediato è ovviamente con le incisioni, quindi il libro quale fonte iconografica capace di restituire l'immagine di edifici mitici o lontanissimi, come la pagoda di Nanchino, che Sanfelice reinterpreta in un apparato effimero del 1740 mescolando le sug-102
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G. Stefania Catapane
Rivista di Terra di Lavoro, 2022
Palazzo Barletta a Caraffa del Bianco: un'architettura feudale in Calabria Ultra, 2020
Dossier - Pietre d'Inciampo. Palazzo Bocchi - Il palazzo della rettitudine. Una scritta, un simbolo, 2021
La Cappella dell’Assunta nella chiesa di San Francesco ad Aversa: committenza e artisti, in «Napoli nobilissima», volume VIII, fascicolo II, maggio-agosto 2022, pp. 83-88, 2022
Antonio e Ferdinando Sanfelice. Il Vescovo e l'architetto a Nardò nel primo Settecento., 2003
NAPOLI NOBILISSIMA (RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA, SETTIMA SERIE) , 2020
Castelli di Partenope Giganti di sale e tufo tra storia, arte e paesaggio, 2020
Complessi monumentali e arredo scultoreo nella Regio I Latium et Campania, 2017
Memoria di Adriano. Studi in onore del Maestro Franceschini (1920-2005) nel centenario della nascita, a cura di F. Cazzola, C. Guerzi, C. Mezzetti, "Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria", s. V, vol. II (2022) 2023, pp. 681-701, 2022
in «Bollettino dei Musei Civici Veneziani», III serie, n. 5, 2010