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L'universo dell'impossibile possibile nella narrativa di Guido Morselli
Un'invenzione romanza: il romanzo e le sue trasformazioni nelle letterature medievali e moderne, 2020
Some aspects emerging from the reading of two fundamental works of the European literary canon (Don Quixote, Madame Bovary), make it possible to observe that nostalgia is a crucial feature (maybe the crucial feature) on which the novelistic idealization of human experience is actually based. It also seems that the nostalgic idealization of a mythical past represents the very foundations of the Romance as a genre since its medieval origins, as Chrétien de Troyes openly explains in the prologue of his Chevalier au lion. Accordingly, the Novel as genre (that is as a social practice which includes within its conceptual system all the authors, the readers and everything it aims to describe, hence everything and much more than everything), looks like a plastic monumentalization of the very concept of Nostalgia, eventually its actual Pathosformel.
«Ancient Narrative», 2017
This paper traces the presence of Euripides’ Alcestis as subtext in four Greek novels: Chariton, Xenophon of Ephesus, Achilles Tatius and Heliodorus. I attempt to show how influential Euripides’ tragedy has been for the expression of important novelistic ideals, such as the absolute value of love, higher than life, and the happy ending that crowns the lovers’ adventures, a reward for their reciprocal and true love, stronger than life. Within this large canvass, specific features and lexical correspondences can be retraced in each novelist’s treatment of the subtext. Some attention is also paid to iconographical evidence of the Roman period, closer to the novel than Euripides’ play, and such also close to them in their exploitations of the myth of Alcestis: the ideal wife of Roman sarcophagi finds correspondences in the novelistic Alcestis.
L'utilizzo di Niccolò Ammniti di buche e spazi chiusi in tutta la sua produzione.
La pietra lunare di Tommaso Landolfi the animal functions not only as an exemplary metaphor but, within the scope of rethorical language, as a kind of originary metaphor. One finds a fantastic trasversality at work between the animal and the metaphor -the animal is already a metaphor, the metaphor an animal. Together they transport to language, breathe into language, the vitality of another life, another expression: animal and metaphor, animetaphor. Indeed the animetaphor may also be seen as the unconscious of language, of logos. 1 1. Nei testi riconducibili alla prima fase della sua produzione narrativa, la scrittura di Tommaso Landolfi 2 esibisce come segno dominante una peculiare alchimia di ingredienti che la rendono un unicum nel panorama letterario italiano degli anni Trenta-Quaranta. In essa coesistono spinte intensamente contrastanti all'interno di un equilibrio precario, ricco di tensioni, marcato dalla dissonanza più che dalla armonizzazione delle componenti.
earmi.it
Il libro del cacciatore con L'arco Vittorio Brizzi 12/03 1 Il libro del cacciatore con L'arco Di Vittorio Brizzi Con la collaborazione di Andrea Zani ... Il vero cacciatore con l'arco NON uccide per il gusto di farlo, NON colleziona con ansia trofei, NON considera la caccia uno sport. ...
«Polifemo», 2016
2016
Collocata tra l’interruzione dell’«Innamorato» e la nascita del «Furioso», il «Mambriano» del Cieco da Ferrara è un’opera ancora avvolta da troppo mistero e sostanzialmente da riscoprire. Pubblicato postumo nel 1509, questo poema – cresciuto nella Mantova gonzaghesca – rappresenta una tappa obbligata nel percorso della storia del romanzo cavalleresco in area padana: esso infatti, offrendo una via alternativa alle numerose “giunte” ai tre libri boiardeschi, non solo rivendica una propria fisionomia e identità, ma, soprattutto, si connota, per il suo autore, come uno strumento di lotta contro la crisi incipiente che va colpendo, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, il sistema corte. Mediante una profonda sperimentazione riguardante la varia cultura cortese rivissuta all’interno del genere cavalleresco, il Cieco vuol consegnare al mondo delle corti ormai in rovina un prodotto in cui riconoscersi. Il poema diviene, così, un ultimo balaurdo di resistenza, che già mostra, però, quella via di follia che sarà propria del «Furioso».
Edizioni Cristoforo Beggiami, Savigliano, 2013
in Carlo Fedele Savio, «Come la fenice - Romanzo storico piemontese» (a cura di Luigi Botta). Forse non è il caso di «scomodare» Edoardo Calandra ed il suo romanzo «La bufera», mai sufficientemente esaltato dagli amanti della letteratura nazionale, vero capolavoro di cultura subalpina pubblicato sul finire dell'Ottocento, ma quello che Carlo Fedele Savio indica come «romanzo storico piemontese» e pubblica nel 1929 con il titolo «Come la fenice» non è certamente da meno e sicuramente, all'apparenza ma anche nella sostanza, con il capolavoro di Calandra ha molti tratti in comune. La vicenda storica, che per il Calandra è quella legata all'epoca della Rivoluzione francese e che per il Savio ripercorre i passi di vicende seicentesche all'ombra dei Savoia; quella territoriale, che si interpreta per entrambi gli autori al confine subalpino tra cuneese e torinese, dove la provincia si fa tangibile ma mantiene costante quel clima di periferia del regno che rappresenta un «unicum» in quanto a tradizioni popolari e a spirito di costante stimolo economico, politico e sociale; quella storica, che interpreta in modo romanzato passi estremi, anche incredibili, di una realtà che la storiografia ha codificato in tante altre sedi e che il cittadino comune, lontano dai testi eruditi, non ha mai affrontato e quindi non conosce. Il Savio è un sacerdote, è saviglianese, consuma a Saluzzo il suo mandato sacerdotale, diventa canonico della cattedrale, scrive, scrive, scrive, pubblica tutto il pubblicabile e rende omaggio, coi suoi libri, al territorio che lo ospita, cioè Saluzzo, a quello che gli ha dato origine, appunto Savigliano, a quello cui appartenne la famiglia, Piasco e la valle Varaita: diventa un instancabile scrittore che, vivendo a lungo (nasce nel 1857 e muore nel 1948, ultranovantenne) ha l'opportunità di raccogliere il suo pensiero, anche con temi sovente non proprio pastorali, in una gran quantità di libri, opuscoli, estratti, discorsi ed altro, che forse nessuna biblioteca al mondo possiede in modo esaustivo. La scrittura, come per molti altri sacerdoti dei suoi anni, è uno sfogo che legittima l'ozio del tempo libero e che gli offre l'opportunità di mostrarsi come interprete colto, destinato ad un interesse popolare, di storie e circostanze diversamente relegate alla memoria, e basta. «Come la fenice» è un grande atto d'amore alla sua terra. Prende lo spunto da una vicenda che Luigi Cibrario affronta in una decina di pagine nella «Storia di Torino» del 1846 e la racconta indagando nel dettaglio usi, costumi, famiglie, storie, della nobiltà e del popolo che abita il nord del territorio cuneese e che si rapporta quotidianamente con il centro del potere torinese. I luoghi sono quelli che conosciamo. Ruffia, dove i Cambiani hanno la loro residenza; Savigliano, dove la storica nobiltà dei Beggiami, dei Crotti, dei Galateri, dei Cravetta, dei Taffini, dei Ruffino e di molti altri, incrocia lo spirito un po' perverso ed altezzoso del commendator Pasero e dell'abate Castiglione; Lagnasco, rifugio dei Tapparelli e terra di cultura multipla; Torino, dove la corte di Carlo Emanuele, prima, e di Vittorio Amedeo e Madama Cristina, poi, rappresentano il tentativo subalpino di sdoganarsi e proiettarsi in spazi europei più ampi. La storia che il Savio racconta è una storia di invidia, dove la sete di potere, il desiderio di arricchimento, le ambizioni personali prendono il sopravvento mostrandosi come soluzioni a lotte intestine che caratterizzano gli alti livelli della politica piemontese. Il commendator Pasero, con casa sulla piazza Vecchia a Savigliano, insieme all'abate Castiglione, benedettino presso San Pietro (anche il Manzoni dedica a costui qualche passo nella storia di Renzo e di Lucia), si mettono in testa di sopraffare, d'accordo col conte Masserati, il cardinal Maurizio ed il benestare di Madama Cristina, il presidente Cauda, l'uomo fidato di Vittorio Amedeo. E colpiscono ovunque, soprattutto a Savigliano ed a Torino, senza guardare in faccia alcuno e portando alla galera il mite ed attento governatore di Savigliano, conte Ruffino di Diano. Una tresca incredibile che si consuma, in modo drammatico e con un finale a sorpresa che lascia tutti esterrefatti, tra storie d'amore, passioni coinvolgenti, desideri repressi ed anche piacevoli ed illuminanti episodi. Ci sono tutti gli elementi per una storia romanzata (che lascia poco spazio all'invenzione ed alla fantasia) che racconta, anche nel linguaggio, come si viveva nel Seicento in terra piemontese (in appendice sono riprodotte tre lettere dal carcere dell'abate Castiglione, che appartengono alla Fondazione Crs di Savigliano). Del libro originale non rimangono che tre copie in tutta Italia. L'associazione saviglianese Cristoforo Beggiami, continuando nel suo lavoro di sensibilizzazione culturale, ha provveduto a ristamparlo. Affidandone la cura a Luigi Botta, che ha disseminato il testo di annotazioni in calce, che segnalano, puntualizzano, criticano e correggono ogni passo principale, conferendo autorevolezza al testo storico del Savio. Un volume la cui lettura è piacevole, curiosa e molto appassionante.
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Bollettino AIB (1992-2012), 2006
In "L'attesa e l'ignoto. L'opera multiforme di Dino Buzzati", a cura di Mauro Germani , 2012
Novella e dramma. Atti del Convegno Internazionale di Studi pirandelliani di Agrigento (30 novembre-3 dicembre 2014))
Ticontre. Teoria, Testo Traduzione n. 14, 2020
C. Diotto, M. Ophaelders, "Formare per trasformare. Per una pedagogia dell'immaginazione", Mimesis, Milano, 2022
La realtà rappresentata. Antologia della critica sulla forma romanzo 2000-2016, 2019
«Studi tassiani», LXVI, pp. 49-70 , 2018
DAL LIBRO RAFFICHE DI BUGIE IN VIA FANI SI FA PRESTO A DIRE YALTA, 2023
in La novella, a cura di Andrea Manganaro, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino (numero monografico della rivista «Le forme e la storia», n. s. 2013, 2; finito di stampare nel giugno 2014), pp. 7-18.