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Il riuso dei beni culturali di interesse religioso

2022, Urbanistica e appalti

Abstract

Dato che la dismissione di chiese e conventi da ultimo è divenuto un fenomeno estremamente diffuso, vengono esaminate le norme del diritto canonico e del diritto statale che regolano il riuso di questi edifici. In proposito sono di particolare interesse le norme sul mutamento di destinazione d'uso dei beni dettate dal vigente Codice dei beni culturali, sicché vengono esaminate le opinioni della giurisprudenza e della dottrina sull'applicazione di queste norme ai beni culturali di interesse religioso.

Key takeaways

  • Se si vuole ricordare un caso, risalente nel tempo, di reimpiego di un edificio di culto che è abbastanza noto -o almeno lo è negli ambienti universitari -si può citare quello della ex-Chiesa di Santa Lucia di Bologna, che dalla fine degli anni Ottanta del Novecento ospita l'aula magna dell'Università felsinea, ma che in passato pare essere stata la sede di una scuola, e prima ancora addirittura della palestra della locale squadra di pallacanestro.
  • Per individuare le norme che regolano il riuso di questi edifici, pare logico partire dal diritto della Chiesa, in cui per quanto qui interessa rileva in particolare il canone 1222 del Codice di diritto canonico del 1983, che -riprendendo una formula che si trovava già nel canone 1187 del Codice del 1917 -prevede che, quando una chiesa non può più essere adibita al culto, essa va destinata a ciò che nel testo ufficiale del CJC viene definito come usum profanum non sordidum, e che in italiano in genere viene reso come uso profano non indecoroso (7).
  • n. 42 del 2004, il vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio, prevede che, "per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose", lo Stato e le Regioni devono provvedere "d'accordo con le rispettive autorità" della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose (11): ma questo modo di procedere è prescritto solo "relativamente alle esigenze di culto", e quindi ovviamente non può riguardare edifici che al culto non sono più adibiti.
  • A oggi l'unica normativa generale di fonte statale che può trovare applicazione al reimpiego delle chiese, e pure a quello degli altri edifici di interesse religioso, quali monasteri, conventi, oratori, etc., consiste dunque nella disciplina del mutamento di destinazione d'uso dei beni culturali che viene dettata dal Codice ex D.Lgs.
  • In effetti sono senz'altro condivisibili le tesi dottrinali secondo cui il divieto degli usi non compatibili è inteso a tutelare la "dignità" che è "insita nel valore artistico e storico" (28) dei beni culturali, o, se si preferisce riprendere l'espressione -sostanzialmente equivalente -che viene impiegata in diversi articoli del Codice dei beni culturali, il loro "decoro" (29): queste due espressioni, forse un poco desuete nel linguaggio odierno, indicano la considerazione e il rispetto che sono dovuti al valore intrinseco di una persona o di una cosa, e quando vengono impiegate in ordine ai beni in discorso stanno dunque a indicare la considerazione e il rispetto nei confronti del valore culturale di questi beni, che costituisce la ragione per cui essi ricevono una particolare tutela da parte dell'ordinamento.