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Tra i quesiti minori finora insoluti posti dal patrimonio artistico napoletano rientra senz'altro la pala con la 'Consegna dello scapolare a San Simone Stock' collocata sulla testata dell'altare della cappella attigua all'abside, in cornu epistulae, della chiesa di Santa Teresa a Chiaia 1) ( ). L'opera è stata di recente portata all'attenzione degli studi da Stefano Causa, al quale, nel tentativo di riconsiderare il peso delle componenti allogene nel tessuto figurativo della Napoli di metà Seicento, spetta anche il merito di averne orientato il giudizio critico, con un riferimento al perugino Gian Domenico Cerrini, in una direzione parzialmente corretta. 2) 73 GIUSEPPE PORZIO
L'editore resta a disposizione per gli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare
«Federico Zeri: lavori in corso», a cura di A. Bacchi, D. Benati, A. De Marchi, A. Galli, M. Natale, Bologna 2019, 2019
Realizzate qualche tempo dopo l'edificazione dell'oratorio di San Giovanni, costruito presso la chiesa di Sant'Agostino a Fermo per volontà di Giovanni di Guglielmo nel 1423, le Storie dei santi Giovanni Battista ed Evangelista sono un episodio saliente della pittura marchigiana degli anni Venti del Quattrocento. Ben presto, il 7 maggio 1439, il Guglielmi cedette agli agostiniani l'oratorio, che più tardi prese il titolo di Santa Monica, quando nel 1623 vi si insediò la confraternita dedicata alla santa 1 . L'impresa decorativa cade nel vivo di un decennio di transizione, aperto nella primavera del 1420 dal breve soggiorno a Fabriano di Gentile e dalla scomparsa di Lorenzo Salimbeni, che anticipano di qualche anno il rientro definitivo in patria di un fiorentino d'elezione come Arcangelo di Cola, a Camerino nel 1425 2 . Nello stesso anno ad Ancona è documentato il folignate Bartolomeo di Tommaso, impegnato a muovere i suoi primi passi a contatto con la pittura affocata e un po' cerosa di Olivuccio di Ceccarello, presto abbandonata per una irrequietezza grafica corrosiva, evidente nel trittico di San Salvatore a Foligno, già terminato nel 1432 3 . Un clima vibrante, reso Virginia Caramico firma il secondo e l'ultimo paragrafo, Emanuele Zappasodi il primo e il terzo. Il testo è stato finito e consegnato nel giugno 2018. I nostri ringraziamenti vanno ad Andrea De Marchi e Matteo Mazzalupi per aver discusso con noi dei temi trattati, a Marcella Culatti per aver agevolato le nostre ricerche. Sono stati preziosi gli scambi con gli amici Giacomo Alberto Calogero e Federica Siddi. Un grazie, inoltre, a don Andrea De Vico, Donato Mellucci, don Mario Rega e don Gianfranco Boccia, premurosi custodi delle cappelle campane. 164 v i r gi n i a c a r a mi c o , e m a nu e l e z a p pa s o di ancora più fluido dalle presenze tutt'altro che sporadiche delle opere inviate da Venezia -da Nicolò di Pietro a Jacobello del Fiore, da Michele Giambono a Zanino di Pietro, solo per citare qualche nome -con cui i protagonisti della costa e dell'entroterra marchigiano dovettero dialogare 4 . Gli affreschi di Fermo sono il risultato più coerente del lascito salimbeniano che, pur costretto subito a fare i conti con le seduzioni di oro ed epidermide di Gentile e gli umori crepitanti di Bartolomeo di Tommaso, continuò a essere vincolante ancora per molto tempo tra Marche, Bassa Umbria e Abruzzo, non esaurendosi negli esordi feltreschi di Antonio Alberti, né in qualche sporadica accensione della fantasia d'ornato di un fiancheggiatore sempre trattenuto come il Nelli 5 . Nei pieni anni Trenta, infatti, ne fu pesantemente condizionato il milanese Giovanni di Ugolino nel Missale de Firmonibus (1436) e più tardi il giovane Paolo da Visso: il serto vegetale tortora steso sulla pedana e i boccioli turgidi che salgono sullo schienale del trono della Madonna Campana del Musée du Petit Palais di Avignone parlano consapevolmente il linguaggio dei Salimbeni 6 . Lo riflettono bene, ormai oltre la metà del secolo, anche la Madonna col Bambino e angeli licenziata nel 1457 da Angelo da Camerino e Cristoforo da Sanseverino -quest'ultimo assai verosimilmente identificabile con il responsabile del catalogo del Maestro di Gaglianvecchio, ad eccezione
Luca di Leida o un suo copista per un rame dei Girolamini di Napoli ...ma quello che più che altro diede nome e fama a Luca, fu una carta grande nella quale fece la Crucifissione di Gesù Cristo et un'altra dove Pilato lo mostra al popolo dicendo: "Ecce Homo". Le quali carte che sono grandi e con gran numero di figure, sono tenute rare.
SEGUSIUM - Ricerche e Studi - Anno LI - Vol. 53 (2014) pp. 43-54
Ricordiamoci di Plinio il Giovane là dove dice che se non siamo capaci di fare cose degne d'essere scritte dobbiamo almeno scrivere cose degne d'essere lette. Michele Amari Nota: Questo opuscolo viene divulgato senza scopo di lucro.-Chiunque lo legga e lo diffonda, spero la faccia per quel senso di orgoglio che ci accomuna nel diffondere la storia della nostra isola.-C. S.
La scheda riguarda uno dei trittici fiamminghi manieristi del Museo regionale di Messina, affrontando uno dei nodi critici di più complessa risoluzione relativi alle opere fiamminghe in Sicilia.
«La Capitanata». Rivista quadrimestrale della Biblioteca Provinciale dei Foggia, 2007
A più di cento anni di distanza Fetìs 1 lo ricordava nella sua Biographie Universelle, mentre i suoi contemporanei lo annoveravano come il più celebre castrato napoletano del tempo. 2 Nonostante questo, la figura di Matteo Sassano, pur nota alla ristretta cerchia degli specialisti, non ha goduto di larga popolarità tra i posteri; gli stessi studi musicologici gli hanno dedicato un esiguo spazio. 3 Questo saggio vorrebbe colmare un vuoto, gettare nuova luce sulla sua vita e sulla sua carriera, avvalendosi anche delle più recenti indagini musicologiche. Primo tassello di una ricerca che si prefigge un più ampio respiro, quest'articolo ricostruisce il periodo napoletano di Matteo Sassano attingendo largamente alle memorie del Confuorto e alle notizie apparse sulla «Gazzetta di Napoli». 4 danese, grande appassionato di musica, lo citava nel suo diario di viaggio ricordando il Sassano per la sua bella voce e per gli splenditi ornamenti improvvisati. Era il 9 marzo del 1724 quando Alensoon, in visita a Napoli, ebbe occasione di ascoltarlo nell'esecuzione di un mottetto solistico nella Chiesa della Madonna Solitaria (cfr.
2011
In Naples the last heir of the Hafsid dynasty converted to Catholicism, he was baptized in the Palatine Chapel of St. Sebastian. His godparents were Don Juan de Austria and Donna Violante Osorio. His Christian name was Don Carlos of Austria. He took part in the wider phenomenon of emirs’ conversion, exiled in the lands of the Catholic Monarchy. But his new city had peculiar characteristics, Naples was an exception compared to other capitals of the Spanish Empire. Others Muslims lived in Neapolitan capital. Don Carlo was the prototype of the baroque noble: fervent believer, loyal vassal and proud soldier. The Tunisian Prince fought against Protestants and rebels in Flanders, but in the last period of his life he entered the Franciscan Order. His life became an example, his tomb was built in the Church of Santa Maria la Nova."
Patrons, Intermediaries and Venetian Artists in Vienna and Imperial Domains (1650-1750), International Conference, Ljubljana, 24.-26.09.2020
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Collana "Papers of the Royal Netherlands Institute in Rome", Roma, Edizioni Quasar, (21x28 cm, pp. 328, ill. col.), 2023, vol. 73., 2023
Pagine Filosofali, 2022
"I quaderni di Vicatim" (VIII, 2024, 1, pp. 37-57), 2024
in "Patrons, Intermediaries, Venetian Artists in Vienna & Imperial Domains (1650-1750)", atti del convegno di Lubiana, 2022
Maria Luisa Ceccarelli, 2005
Luigi Ernesto Ferraria e Cesira Ferrani, zio e nipote, 2018
Gambara Compianto per San Bartolomeo, Brescia, 2021
Palazzo Madama. Studi e notizie, 2020
Non è Venezia. Invenzioni fuori dal mondo, 2022