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Un numero sulla dimensione locale della storia e della società meridionale si colloca bene nella tradizione ormai ventennale di «Meridiana». Potrebbe collocarsi bene anche nel dibattito pubblico italiano, nell’ultimo quindicennio alla faticosa ricerca di meccanismi atti a riavviare il processo democratico, dopo che in generale le ideologie novecentesche e in particolare la classe e il partito hanno perso in capacità di generare identità e con essa credibili interpretazioni.
«Meridiana» dedica un numero monografico al rapporto tra mafia e fascismo, anzi all’antimafia di periodo fascista: ovvero, innanzitutto, all’operazione repressiva pilotata a partire dal 1926 dal prefetto Cesare Mori ed esauritasi nel 1929 con il suo richiamo a Roma.
La deputata pugliese ex-missina Adriana Poli Bortone, fondatrice del movimento «Io sud», ha invocato l’adozione nelle scuole, come libro di testo, del fortunato volume del giornalista Pino Aprile, stando al quale l’unificazione italiana sarebbe costata intorno al 1861 la vita di centinaia di migliaia di terroni consentendo al Nord di perpetrare ogni tipo di nefandezza ai danni del Sud. L’ex-democristiano Raffaele Lombardo, leader di un «Movimento per le autonomie» e presidente della Regione siciliana, ha definito il 1861 come la data d’inizio per l’isola di un centocinquantennio di oppressione e sfruttamento – ignorando il fatto che nel primo Ottocento analoghe recriminazioni siciliane contro i napoletani furono la base per la distruzione del regno borbonico.
Introduction The Anthropology of the state and the institutions is presented by the two editors of the present special issue as a peculiar body of interests within the Anthropology of the Politic. The specific objective of this issue of Meridiana is to present the state of affairs in the anthropological studies of governance, governmentality and institutions which have broadly developed in the past two decades. The editors aim at setting forth the strategic aspects of this field of anthropological research that has achieved a remarkable level of coherence in its theoretical frameworks, in its patterns of analysis and deconstruction of political and institutional categories, in its methodologies of approach to the rhetoric, the poetics and the practices of the institutional and political settings. The texts presented here deal with very different institutional contexts: national public administration and political framework, international agencies, non-governmental organizations (anticorruption associations), universities, local and traditional governments, in very different geographical contexts (Italy, New Zealand, Senegal, South Africa, Thailand). The analysis of the rhetoric and the practices is carried out through the particular looking-glass of anthropology showing the various ways in which this field of study may contribute to the contemporary social and cultural research on the politic.
Di tutte le metafore del nostro tempo la rete è forse quella più pe- netrante e influente, di certo quella più utilizzata. Simbolo della rivoluzione tecnologica sviluppatasi tramite la diffusione capillare e «democratica» (una testa, un computer) della tecnologia informatica, essa si è sostantivizzata, divenendo Internet, la rete per eccellenza, la rete con la maiuscola, la rete senza aggettivi. E, attraverso Internet, la metafora della rete si è estesa a cogliere i processi di creazione di nuove infrastrutture tecnologiche (via cavo, via satellite) in grado di accelerare la potenza comunicativa modificando le gerarchie preesistenti e a p rendo, grazie al digitale, dimensioni impensate (e, secondo alcuni, liberatorie) all’agire individuale e, talvolta, collettivo.
Si parla in questo numero di «Meridiana» di Riformismo, termine di moda nella lunga stagione del dibattito politico italiano che comincia nei primi anni novanta del secolo scorso e giunge ai giorni nostri, come del resto è stato di moda in quella precedente che possiamo ra- gionevolmente identificare con il nome di Bettino Craxi. Le due fasi risultano accomunate dall’esigenza, espressa in forma sempre più ultimativa nei media e nei discorsi più impegnati degli uomini politici, di imprimere una grande svolta riformatrice non solo al sistema del welfare e alla composizione della spesa pubblica, ma anche al meccanismo di governo, al sistema elettorale e a quello dei partiti; tanto che come sappiamo si è alla fine registrato un consenso imprevedibilmente largo sulla necessità di riformare in maniera talmente radicale l’ordinamento dello Stato e la stessa Costituzione da creare una seconda Repubblica.
The period between the two World Wars marks the end of mass emigration for Italy. In the course of thirty years, the migratory flows were transformed: the number of starters was reduced and the trajectories changed. The new restrictions established by immigration countries – (e.g. the Quota Acts in the Twenties) – and the advent of the fascist regime redesigned the paths of Italian emigrants. At first, Mussolini gathered the legacy of liberal governments; then, since the end of the Twenties, he inaugurated a new migration policy, in line with the demographic policy of the regime and strengthening the link between emigration and foreign policy. As the historian Bertonha wrote, emigration became, «an evil to be preferred to the internal colonization and to that of the Empire». How, therefore, did the international conjuncture and the immigration restrictions that ensued, together with the new migration policies of the regime, limit the possibility of expatriation of people from Southern Italy? The closure of outlets, in fact, imposed new migration routes, which were mainly oriented towards Europe, as in the case of France and Germany, or colonies in Africa. It seems, however, that the new regime’s migratory policies – strongly connected from the 1930s to an aggressive, bellicose and imperialist foreign policy – have not always been able to provide an adequate response to millions of southerners who had traditionally travelled the migratory routes.
Nota di Lunaria: avevo già fatto uscire, anni fa, un pdf dedicato a Corrado Govoni. Lo rinnovo ora, aggiungendo un commento introduttivo.
G. Battaglini – F. Coarelli - F. Diosono (a cura di), Fregellae. Il tempio del Foro e il tempio suburbano sulla via Latina (Accademia dei Lincei, Monumenti Antichi, 78 - serie misc. 23), Roma 2019, 2019
vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, comp resa la fotocopia, anche a uso mterno 0 didattico. L'illecito sarä penalmente perseguibile a norma dell 'art. 171 della Legge n. 633 del22.04.1941. In rico rdo di Enzo Lippolis La ceramica a vernice nera (F Diosono, l VI. Ceccaccio, E. Seccaroni) La ceramica a vernice rossa (s. Bernettii .
Alcune considerazioni su Political Liberalism di J. Rawls - in particolare sui concetti di overlapping consensus e ragione pubblica, a partire dalla lettura di Maffettone - presentate durante un seminario tenuto per gli studenti del corso di Filosofia politica (Laurea magistrale) dell'Università degli Studi di Cagliari nel 2015.
. Ottavio Leoni, Annunciazione, Roma, Sant'Eustachio, già cappella Pacifici. Negli ultimi trent'anni del Cinquecento Scipione Pulzone fu senza dubbio il primo ritrattista di Roma, vero mattatore sulla scena capitolina che dipinse «esquisitamente» le sembianze «di tutti li Principi Cardinali della Corte Romana e d'altri Principi secolari e Principesse, et spetialmente di tutte le nobili Dame di Roma» 1 . Le parole piene di ammirazione di Giovanni Baglione introducono, più di venticinque anni dopo la morte del Gaetano, alla nascita e alla fortuna del ritratto ufficiale romano, esplicitamente derivato dai prototipi coniati all'inizio del XVI secolo da Raffaello e dai suoi epigoni. L'improvvisa scomparsa di Pulzone nel febbraio del 1598 lasciò un grande vuoto che difficilmente poteva essere colmato dai pittori famosi o dai giovani talenti di quegli anni: dall'anziano Federico Barocci, sempre più ripiegato nella sua Urbino, al Cavalier d'Arpino, oberato da importanti commissioni pubbliche e dalla regìa di innumerevoli storie sacre e profane; era ancora troppo presto, invece, per le folgoranti novità dei Carracci, paladini dell'Accademia bolognese, e del Caravaggio, giunto a Roma da poco più di tre anni. Chi prese, dunque, l'ambìto posto di Scipione Pulzone quale primo pittore di ritratti della capitale papale alla vigilia dell'Anno Santo del 1600? È di nuovo Giovanni Baglione a rispondere a questa domanda, riproponendo lo stesso iperbolico cliché del "pan-ritrattista" sia nella Vita del mantovano Pietro Fachetti ( †1619) -il quale «diedesi a far de' ritratti […] che potevano stare al paragon di Scipione da Gaeta» 2 -, sia in quelle offerte a Ludovico Leoni (1542 ca.-1612) e a suo figlio Ottavio (1578-1630), appena ventenne alla YURI PRIMAROSA Oltre Scipione Pulzone. L'esordio di Ottavio Leoni e alcune proposte per "Ludovico padovano" Fig. 2. Francesco Villamena (su disegno di Mario Arconio), Annunciazione.
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in CARDOSA M., GRILLO E., RUBINICH M., SCHENAL PILEGGI R., I pinakes di Locri Epizefiri. Musei di Reggio Calabria e di Locri, a cura di Lissi Caronna E., Sabbione C., Vlad Borrelli L., Atti e memorie della Società Magna Grecia, IV Serie, Parte I (1996-1999), 1999, tomo 1, pp. 3-23
Quaderni de L’Uomo n. 2, pp. 3-40. Roma: CISU.
Testo e Senso, 2023
Politiche sociali nella crisi. Il caso Puglia, 2012