Negli ultimi anni la mia personale fiducia nella specie a cui appartengo è andata calando, non solo perché il mondo umano non è come lo vorrei, ma perché sembra aver dimenticato caratteristiche specie-specifiche come l'uso del linguaggio per comunicare, del cervello per inventare, studiare, elaborare, del corpo infine che viene oggi considerato un oggetto da vestire, nutrire e seppellire secondo le leggi di una ormai incontrollabile economia virtuale, sempre meno connessa con i bisogni reali della vita. Un ottimo antidoto per uscire dall'angoscia (cosciente o no) del terzo millennio può essere lo studio della nostra storia che ci ricordi chi siamo, come siamo fatti, in cosa siamo diversi dagli altri esseri viventi. E in questo può risultare molto utile una visita al Palazzo delle Esposizioni di Roma dove è in corso la mostra Homo Sapiens dedicata alla evoluzione della nostra specie e organizzata da Luigi Luca Cavalli Sforza, uno dei più grandi genetisti viventi, mio maestro e amico dai primi anni '60, e da Telmo Pievani, filosofo di vasta e profonda cultura biologica. Linee evolutive. Bellissima per i contenuti, resi comprensibili a tutte le età da un allestimento perfettamente riuscito, questa mostra sfata molti luoghi comuni sulla nostra origine e natura, ricordandoci il meraviglioso percorso della nostra specie dalla sua nascita a oggi. In particolare, visitando la mostra, capiamo quanto sia falsa la credenzapresunzione di essere stati ed essere tuttora unici fra gli esseri viventi grazie a un processo evolutivo lineare e in qualche modo predeterminato. Non a caso il sottotitolo (davvero innovativo) della mostra è La grande storia della diversità umana -non «unicità», dunque, ma «diversità umana», dove per «umana» non si intende solo la nostra specie, ma almeno tutte quelle appartenenti al genere Homo. Questo approccio permette di eliminare per sempre la tristemente famosa immagine della «scimmia» che lentamente si alza diventando bipede, perde il pelo, si dota di un'arma e infine diviene uomo (chissà perché non donna). I dati paleontologici e molecolari forniti dall'esposizione, e aggiornati all'inizio del 2011, escludono che ci siamo «mossi verso» la nostra comparsa, così come sostiene anche il pensiero cristiano più aperto sulla evoluzione e in particolare Teilhard de Chardin. «La mostra -scrive Sergio Tramma in uno degli interventi sul catalogo -ci insegna che l'umanità "adulta" di oggi non era nel destino di sé stessa: altre condizioni adulte sarebbero state possibili, altre umanità avrebbero potuto realizzarsi e raccontare sé stesse». La linea evolutiva delle scimmie antropomorfe (hominidae) si è divisa in homininae e ponginae dai 12 ai 16 milioni di anni fa. Alle pongine appartiene l'orango mentre le ominine si sono divise in ominini e gorillini. Ai primi appartengono i generi Homo e Pan (lo scimpanzé) che si sono separati circa 6 milioni di anni fa, ai secondi gli antenati degli odierni gorilla. I primi rappresentanti del genere Homo sono comparsi due milioni e mezzo di anni fa in Africa e precisamente in Etiopia dove convivevano due specie (Homo habilis e Homo rudolfensis) cui poi si aggiunsero Homo ergaster, bipede, dotato già della capacità di lavorare la pietra, e Homo erectus. Ambedue presentavano caratteristiche già molto simili alle nostre, e avevano inaugurato una strategia evolutiva diversa da quelle degli altri esseri viventi. Mentre tutti gli animali si adattavano e si adattano «passivamente» all'ambiente da cui sono diversamente selezionati, gli appartenenti al genere Homo modificano l'ambiente, inventando e costruendo oggetti utili e rifugi, usando il fuoco, elaborando progetti e idee astratte. Antenati «abbronzati». In embrione questo tipo di adattamento «attivo» era già presente in ergaster e erectus e ha permesso loro -in particolare al primo -di spostarsi. rapidamente in ambienti anche molto diversi. Lo si ritrova infatti nella «prima migrazione umana» due milioni di anni fa oltre che in Africa, in Asia, in Georgia, in Medio Oriente, mentre erectus è in Cina . Una «seconda migrazione» di appartenenti al genere Homo data da circa 800.000 a 130.000 anni fa ed è stata compiuta da una nuova specie, Homo Heidelbergensis, così chiamato perché i suoi resti sono stati ritrovati vicino a Heidelberg, in Germania. Heidelbergensis aveva un cervello più grande dei precedenti (circa 1200 cc.), usava il fuoco, viveva in piccole comunità con una vita sociale complessa, in villaggi, costruiva utensili per cacciare, per disossare gli animali e con altre funzioni con una tecnica che è stata chiamata acheulana. Lo dimostrano numerosi giacimenti, tra i quali in particolare quello di Creta dove sono stati ritrovati ben duemila strumenti di pietra di ogni tipo datati a 130.000 anni fa. La nostra specie, Homo sapiens, è nata come variante di Homo Heidelbengensis in Africa, crogiolo di tutti gli ominini circa 200.000 anni fa (più o meno ottomila generazioni), e si è spostata in ondate successive nel vecchio continente e in Europa dove è arrivata dai 50.000 ai 45.000 anni fa. Per quanto ne sappiamo, i nostri antenati -per dirla con Berlusconi -erano tutti «abbronzati» ma in seguito l'abbronzatura si è diluita negli umani che sono andati a nord (in modo da utilizzare lo scarso sole settentrionale per alcuni processi vitali fra cui la fissazione della vitamina D) e si è mantenuta in Africa e nelle le zone dove il sole è forte e dove quindi è necessario ripararsi per evitare infiammazioni e tumori. Dalla sua nascita la nostra specie è in gran parte rimasta uguale a sé dal punto di vista fisico, ma ha molto rapidamente raffinato la propria innovativa strategia di costruzione attiva di un ambiente favorevole e non di selezione passiva. Sono quindi nate e si sono sviluppate culture diverse nel tempo e nello spazio come risulta dalle tecnologie usate per la produzione di utensili e per le arti emerse 60.000 anni fa nel Levante nella bassa Galilea e nella zona del Monte Carmelo e 45000 anni fa in Europa. Le prime pitture di esseri umani, animali, oggetti e anche di segni simbolici datano da 40.000 anni fa nel periodo chiamato Aurigniaciano. A quell'epoca i nostri avi erano ormai praticamente uguali a noi e avevano superato la fase delle pietre scheggiate, giungendo all'astrazione come testimoniano pitture che raffigurano una realtà modificata dall'autore e quindi non fotografica, come mostrano gli splendidi graffiti di molte grotte europee e di altre zone del mondo. Già 60.000 anni fa si producevano monili ornamentali e si seppellivano i morti in tombe decorate con conchiglie forate, catene, e altri oggetti che ci fanno pensare che gli umani già allora credessero a una vita posteriore alla morte. È tra 60.000 e 40.000 anni fa che Homo sapiens dimostra di avere una marcia in più degli altri umani che sono stati nostri «compagni di viaggio» fino alla estinzione dell'ultimo, solo 12000 anni fa. Il più vicino a noi è stato Homo Neanderthalensis presente in mostra grazie alla ricostruzione di un bel signore neanderthaliano anziano dal sorriso dolce e insieme triste, a ricordarci la sua estinzione. Neanderthal era la specie più vicina a noi geneticamente e fino alla sua scomparsa si era evoluto fisicamente e culturalmente in modo simile al nostro. Anche i Neanderthal discendevano da Homo Heidelbergensis, vivevano in comunità socialmente evolute in cui assistevano vecchi e malati come indicano i segni di operazioni