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DIDA SciAli9

Abstract

Il cibo è necessario per poter vivere ma la sua importanza non è esclusivamente di natura biologica: vi è anche un valore psicologico, sociale e culturale. Gli aspetti del cibo non sono, quindi, solo quelli nutritivi, ma anche quelli emozionali, educativi, formativi ed è molto importante il suo ruolo aggregante, sociale e culturale. L'atto del nutrire e dell'alimentarsi non è la semplice soddisfazione del bisogno biologico. E' da subito un atto relazionale e di comunicazione, un atto sociale e carico di informazioni, di significati e di emozioni Il cibo è fin dalla nascita il principale mediatore nella nostra relazione con il mondo. Già dall'allattamento l'alimentazione conserva, un significato relazionale. E' facile comprendere che tutto il processo alimentare è al centro della vita emotiva del neonato e tutte le emozioni più importanti gravitano attorno ad esso. Anche crescendo il cibo è il fulcro di molte situazioni rappresentative anche di relazioni. Il contesto familiare e socio-culturale esercita un forte condizionamento sulla formazione dei nostri gusti alimentari e dei nostri rapporti col cibo in generale. La qualità del cibo che ci viene dato conta, alla stessa misura, del come ci viene dato e da chi. Inoltre se mangio accetto di far parte di quel gruppo di riferimento (famiglia, classe, gruppo,…) Oltre a tutti i significati sopra citati, non ultimo il cibo ha un grande valore dal punto di vista nutrizionale. Da numerosi studi scientifici è emerso la stretta interconnessione tra cibo e mente, laddove il primo può influenzare l'altro e viceversa. Il mantenimento del benessere psicologico, oltre che fisiologico, passa quindi anche da una sana alimentazione, contraddistinta da una dieta equilibrata e da cibi qualitativamente prescelti in base ai loro valori nutrizionali. Una dieta sbilanciata con scarse, ingestione di alimenti, può provocare spossatezza fisica, diminuzione delle prestazioni cognitive, tensione, ansia e umore altalenante. Con queste premesse è possibile comprendere la complessità della relazione che l'uomo instaura con il cibo. Alimento, cibo e nutriente, sono spesso utilizzati come sinonimi e, almeno nel senso dell'alimentazione umana, indicano tutto ciò che mangiamo e beviamo ai fini del sostentamento fisico. L'alimentazione e la nutrizione hanno una grande importanza per lo sviluppo dell'essere umano. L'esistenza di un legame tra ciò di cui ci si alimenta, lo stato di salute e lo svilupparsi di alcune malattie, è riconosciuta fin dall'antichità. Nel 475 a.C. Anassagora sosteneva già allora, che nel cibo esistono dei principi che vengono assorbiti dal corpo umano e usati come componenti "generativi" (una prima intuizione dell'esistenza dei principi nutritivi). Nel 400 a.C. Ippocrate diceva "Lascia che il cibo sia la tua medicina, e la medicina sia il tuo cibo". Quindi c'era già la visione, nell'antichità, di questa correlazione salute e cibo Lo studio della nutrizione umana su basi scientifiche però è molto recente e grazie a diverse sperimentazioni ha consentito di debellare malattie come il rachitismo, la pellagra o lo scorbuto un tempo molto diffuse in varie parti del mondo. Nell'antichità, le conoscenze erano prettamente basate su conoscenze empiriche (pratiche), mentre recentemente si in possesso delle informazioni necessarie per evitare queste malattie attraverso l'alimentazione. Un esempio: Nel 1747 il medico inglese James Lind condusse il primo esperimento di nutrizione, scoprendo che il succo di limone era in grado di far guarire dallo scorbuto. Non sapendo perché. Solo negli anni 1930 si scoprì che questa proprietà era dovuta alla vitamina C contenuta nei limoni. Ogni cibo introdotto o limitato, a seconda dei casi, ha significato molto per la storia umana. Prima dell'invenzione dell'agricoltura, avvenuta circa 8000-10 000 anni fa (cioè 8000-6000 a.C) negli altipiani della Mesopotamia (nel Medio Oriente) l'uomo si alimentava in modo puro e semplice attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali, cioè mediante la caccia, la pesca e la raccolta, utilizzando quello che reperiva in natura. Praticando l'agricoltura l'uomo, per la prima volta, assunse un aspetto creativo verso le forze naturali, riuscendo a controllarle a proprio vantaggio. Per l'agricoltura modificò l'ambiente e fece modifiche al regime idrico. Insieme alla coltivazione delle piante ci affiancò anche l'allevamento degli animali. Quindi l'agricoltura portò trasformazioni decisive negli assetti sociali dei diversi popoli e fu collegata al fenomeno della sedentarietà (prima nomadi). L'uomo quindi iniziò a produrre un'alimentazione sempre più abbondante e qualificata sotto il profilo nutrizionale. Un'opposizione fondamentale si osserva, fin dall'antichità, fra area mediterranea e area continentale. Nella prima, culla della civiltà greco-Romana, il tipo di alimentazione, fu determinato da un'economia anzitutto fondata sulla produzione di cereali e la coltivazione di vite e olivo affiancate da una pastorizia prevalentemente ovina (pecore,capre..). L'alimentazione era basata sui farinacei con cui si facevano polente, zuppe, focacce e più tardi il pane, punto di arrivo di una plurisecolare esperienza di cucina. Si usava vino come bevanda e olio di oliva come condimento principale. L'alimentazione era prevalentemente vegetariana integrata da prodotti ovini e latticini, pesce di mare e di acqua dolce. Gli alimenti di origine animale avevano il sopravvento nell'area europeo continentale, dove le popolazioni celtiche e germaniche praticavano un'economia basata sullo sfruttamento dei pascoli e dei boschi. Caccia, pesca e allevamento erano le principali attività produttrici di cibo, marginale al contrario di quello che avveniva nell'area mediterranea, era la coltivazione dei cereali. Sconosciuto in quest'area l'uso del vino, ma bevevano bevande fermentate cioè la birra ricavata dai cereali e il sidro ricavato dai frutti del bosco. Nell'alto medioevo (dal 1000 d. C in poi ) si mescolarono i modelli alimentari, cioè il modello europeocontinentale si diffuse anche a livello mediterraneo e viceversa quello mediterraneo si diffuse anche al nord . Si puntò nell'alto medioevo a cereali meno bisognosi di cure cioè orzo, avena, miglio, sorgo e soprattutto la segale, vera invenzione del medioevo. Si affermò un modello misto di alimentazione che prevedeva la coesistenza dei cereali e degli ortaggi con la carne e il pesce. Ciò che va sottolineato è che questa varietà di regime alimentare fu possibile per tutti i ceti sociali. Possibile grazie al numero di risorse rispetto al numero della popolazione e grazie alla possibilità di accedere alle risorse del territorio senza limitazioni di proprietà. Questo cambiò nei secoli centrali del medioevo in quanto la limitazione e/o abolizione dei diritti d'uso degli spazi incolti cambiò radicalmente la storia dell'alimentazione di ceti più poveri: l'alimentazione si basò unicamente sui cibi di origine vegetali mentre il consumo di carne, soprattutto la selvaggina, diventò un privilegio e venne avvertito come uno status symbol. La cultura borghese che si affermò a poco a poco nelle città italiane e francesi trovò anche una sua espressione gastronomica nei trattati di cucina che compaiono nei secoli XIV sec e XV sec (1300-1400). Nuovo è il ricorso alle spezie: zenzero, cannella, fiori di garofano. I viaggi oltremare fecero conoscere all' Europa i prodotti del continente americano come il mais, la patata, il pomodoro e il fagiolo di cui ne conoscevano solo un tipo. Il mais si sostituì a poco a poco nell' Italia padana e altrove, a tutta una serie di cereali minori che avevano una resa inferiore. Si cambiò così la cultura alimentare. Le conseguenze di questo fenomeno interessarono soprattutto l'area lombardo veneta: il basare la propria alimentazione solo su polenta di mais, privando l'organismo di indispensabili componenti vitaminici, provocò verso la fine del 1800 il diffondersi di forme di pellagra, mantenutosi fino ai primi decenni del 1900. Altrove in Europa, le veci del mais furono svolte dalla patata con esiti anche drammatici dovuti a carestie perché se tutta la coltivazione era a base di patata e un raccolto andava male non c'erano altri alimenti con cui cibarsi. Molti quindi emigrarono. A Napoli, nel 1630 si ebbe la svolta nel caso delle paste alimentari quando si inventò il torchio e la gramola da pasta che consentì di produrre questo alimento in quantità e a basso costo. C'era la necessità di sfamarsi con alimenti meno cari e più sazianti. Questa innovazione tecnologica fu stimolata dalla necessità di trovare un'alternativa al regime alimentare dell'epoca basato su carne e ortaggi che la miseria della popolazione non era più in grado di mantenere. Nel 1800 si diffonde una povertà sociale che si rifletteva pesantemente sul tenore di vita e sull' alimentazione. Emigrare oltre oceano, in America o in Australia, per molti volle dire conquistare un regime alimentare più ricco. Gli emigrati portarono in questi Paesi la loro cultura, esempio la pasta e gli altri elementi della dieta mediterranea , e il ritorno di essi nel luogo di origine, significò il diffondersi di usi alimentari nuovi conosciuti oltre oceano, come la bistecca ai ferri fino allora sconosciuta come metodo di cottura (tipica era la carne bollita) Lo scambio alimentare creò le premesse per la diffusione di un modello alimentare omogeneo su scala mondiale. Oltre alla globalizzazione in campo alimentare, si assistette anche alla globalizzazione di modelli culturali e di bellezza. Le scelte alimentari sono spesso una pericolosa forma di adeguamento a modelli sociali. Con danni, a volte, incalcolabili per la salute e per il benessere del singolo individuo. Il legame tra i due aspetti è forte e profondo più di quel che si possa pensare. Nelle moderne società occidentali, infatti, il cibo non ha più soltanto la naturale funzione di soddisfare un bisogno primario, ma rappresenta troppo spesso un vero e proprio strumento a disposizione...