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2019, Studi di storia
Genealogie e geografie dell'anti-democrazia nella crisi europea degli anni Trenta Fascismi, corporativismi, laburismi a cura di Laura Cerasi
in Teoria e Critica della Regolazione Sociale, 2021
The contribution examines the concept of Authoritarian liberalism formulated by Hermann Heller in 1932. Inspired by Carl Schmitt and based on his idea of strong state and sound economy, Heller analyzes the crisis of Republic of Weimar and the controversial relationship between liberalism and democracy. The notion under consideration identifies, indeed, a relationship between the strong state and economic liberalism: a mix of ideology and political practice that tends to preserve, according to Heller, a certain manifestation of political liberalism and a specific type of economic order.
In un frammento spesso citato dei Quaderni del carcere, Antonio Gramsci delineava la sua famosa definizione di una "crisi di egemonia": Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più "dirigente", ma unicamente "dominante", detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano, ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. (Gramsci, /1975
Confluenze, 2023
I regimi autoritari del mondo iberico e latinoamericano sono stati oggetto di differenti studi nell’ambito delle scienze sociali e di quelle umanistiche. Per diversi anni, ci si è interrogati sulla natura delle dittature, sui meccanismi della repressione e sul destino delle loro vittime. Sono derivate innumerevoli ricerche che hanno cercato di rispondere a una necessità concreta: non dimenticare una delle pagine più fosche della storia del subcontinente latinoamericano e della Penisola Iberica. Negli ultimi anni, fenomeni come il negazionismo delle dittature o del numero di vittime avvenute durante i processi dittatoriali, così come il comparire dell’idea di una “dittablanda” o di movimenti nostalgici di Videla, Pinochet o Franco hanno portato a una nuova lettura politicamente orientata di questi fenomeni storici. Il passato, in sostanza, si è caricato di un nuovo significato, capace di articolare agende, narrative e simbologie di nuovi movimenti illiberali e autoritari. Questo dossier parte da questo punto, dal riconoscimento che il rapporto tra passato e presente muta costantemente la percezione della storia e il significato profondo che a essa viene attribuito dalle collettività.
La Voce Repubblicana, 2021
- 19/04/2021 - La Voce Repubblicana Chi osservi senza pregiudizi la situazione internazionale non può non prendere atto che essa è sempre più caratterizzata dall’espandersi dell’influenza dei Paesi autoritari a danno di quelli democratici. Il caso più evidente è quello della Russia. L’attuale pressione militare sui confini dell’Ucraina – che ha come scopi immediati quello di rendere definitivo il distacco della Crimea e del Donbass e soprattutto quello di impedire l’adesione ucraina al Patto Atlantico e come obiettivo di medio periodo quello di riportare Kiev sotto il controllo di Mosca – è solo una tappa del programma putiniano che mira a ricostituire – in forme più moderne – l’egemonia grande russa sui territori che formavano l’Unione Sovietica. Non solo la Bielorussia del dittatore Lukashenko è strettamente legata alla Russia di Putin ma la stessa Russia occupa militarmente le regioni georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale mentre la parte orientale della Moldavia, la Transnistria russofona, si è resa di fatto indipendente e si è posta sotto la protezione di Mosca. Infine c’è da tener presente che alcune delle repubbliche dell’Asia centrale che dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la conquista dell’indipendenza si erano poste sotto la protezione degli Stati Uniti concedendo anche basi militari sul proprio territorio hanno col tempo rovesciato la loro posizione ristabilendo rapporti di sostanziale subordinazione con la Russia. Se il disegno restauratore di Putin è del tutto trasparente non di minore rilievo è quello della Cina di Xi Jinping. L’Occidente ha accettato senza una apprezzabile reazione la violazione del trattato concluso con il Regno Unito il 19 dicembre 1984 che ha consentito il passaggio di Hong Kong sotto la sovranità cinese dal 1° luglio 1997 e che prevedeva il mantenimento del vigente status politico, economico e sociale per i successivi cinquanta anni. La decisione del governo cinese di consentire la partecipazione alle elezioni solo ai candidati che dessero garanzie di “patriottismo”, cioè di piena adesione alla politica di Pechino, ha annullato di fatto quella garanzia e ha cancellato la più consistente sacca di resistenza alla dittatura del Partito comunista cinese. Mentre la lunga fase delle proteste della popolazione di Hong Kong è stata seguita con attenzione dai media e dai governi occidentali, la stessa cosa non si può dire per la sua conclusione e per la violazione del trattato del 1986 che è passata senza apprezzabili reazioni da parte occidentale. Ancor meno rilievo è stato dato – sia a livello politico che mediatico – a un recente e gravissimo episodio: il sorvolo di Taiwan da parte di una squadriglia aerea cinese composta da ben venticinque apparecchi. Non è la prima volta che la Cina compie gesti del genere, ma mai prima era stata impiegata una forza così consistente. Sono evidenti gli scopi di questa dimostrazione militare: in primo luogo riaffermare, in linea di principio, la sovranità cinese sull’isola, che il regime di Pechino non ha mai cessato di rivendicare, indebolire le posizioni indipendentiste presenti nell’isola che si sono col tempo affermate mettendo in minoranza il vecchio Kuomintang che non aveva mai rinnegato i legami dell’isola con la terraferma; infine non si può escludere che una provocazione così pesante mirasse a suscitare una reazione della contraerea taiwanese: l’abbattimento di qualche aereo cinese avrebbe dato l’occasione per una ritorsione militare in forze. In questa occasione i dirigenti di Taiwan non hanno reagito alla provocazione ma non è certo escluso che essa non si ripeta in futuro. A questo disegno espansionistico cinese in direzione di Hong Kong e di Taiwan si potrebbe aggiungere – e questo sarebbe un capitolo vastissimo – quello di tipo economico, rivolto in particolare, ma non soltanto, in direzione dell’Africa. Ma senza entrare in un capitolo così complesso basterà ricordare l’appoggio che Pechino sta dando alla giunta militare che ha preso il potere in Myanmar assicurandosi così un’altra posizione di rilevante importanza strategica. Se quello russo e quello cinese rappresentano i due casi più evidenti della rinnovata spinta espansionistica degli Stati autoritari, non può certo essere trascurato il fatto che la stessa politica è seguita da altri due Stati autoritari, la Turchia e l’Iran. La Turchia di Erdogan non cessa dal riaffermare la sua politica neo-ottomana, che mira – anche in questo caso, come in quello della Russia, in forme nuove – a riconquistare posizioni che era andata perdendo negli ultimi due secoli. L’espressione più visibile di questa politica è il tentativo di riaffermare la sua egemonia in Libia e di non rinunciare a una presenza in Siria; ma non va trascurato il lavoro di propaganda, meno visibile ma non per questo meno insidioso, praticato nei confronti delle minoranze musulmane dei Paesi balcanici. Per quanto riguarda l’Iran, non è mai venuto meno il suo obiettivo di dotarsi dell’arma atomica, mentre la sua presenza – anche attraverso la diffusione dello sciismo – resta forte in vaste aree del Medio Oriente. In particolare la guerra civile in Yemen non sembra avviata a soluzione e ciò fa sì che anche nella parte meridionale della penisola arabica l’influenza iraniana si faccia sentire. Il quadro della situazione mediorientale si completa con l’annuncio del completo ritiro, entro il prossimo 11 settembre, delle truppe americane dall’Afghanistan che sarà inevitabilmente accompagnato da quello degli altri contingenti militari della NATO, compreso quello italiano. Le previsioni generali sono che il debole governo di Kabul non reggerà di fronte a una rinnovata offensiva dei talebani e che nel Paese tornerà ad affermarsi un regime autoritario e oscurantista. A fronte di questa generale offensiva degli Stati autoritari – non coordinata ma proprio per questo più pericolosa – non si può dire che la reazione del mondo occidentale sia adeguata. Solo Israele sembra consapevole del pericolo che la volontà iraniana di dotarsi dell’arma atomica rappresenta per l’equilibrio del Medio Oriente e quindi per la pace mondiale. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Joe Biden non ha ancora definito quale sarà la politica estera americana sotto la sua presidenza e per il momento si limita a rintuzzare i comportamenti più aggressivi di Mosca. Ma la vera debolezza continua ad essere costituita dalla mancanza di una politica comune dell’Unione Europea, perfino nei confronti delle minacce che la riguardano più da vicino. Resta lo scudo della NATO, che però per sua natura non ha un’estensione globale. E’ possibile che, se l’aggressività degli Stati autoritari aumenterà ancora d’intensità, ciò provocherà una ridefinizione dei comportamenti dei Paesi democratici e una reazione adeguata.
Storia delle istituzioni politiche, 2018
riassunto esonero storia delle istituzioni politiche
Byoblu - Informazioni classificate, 2023
Nel libro del 1992, 'La fine della storia e l'ultimo uomo', Francis Fukuyama paventa la fine della storia con l'affermazione del modello neoliberale americano a livello planetario. Dopo oltre trent'anni la realtà smentisce Fukuyama. L'impero americano scricchiola e altre potenze antagoniste emergono per dare al mondo un assetto geopolitico multipolare.
Ora non riusciamo più neanche a capirci, come se parlassimo lingue diverse (cf. Babele). Quante volte ci capita di accorgerci che non abbiamo capito un ragionamento altrui che ci sembra intelligente e, di primo acchito, comprensibile? Quante volte ci pare di aver detto qualcosa di lapalissiano e invece scopriamo che una persona che conosciamo da una vita non lo capisce. Siamo arrivati a un punto di cesura tale, uno spartiacque ontologico così imponente che il problema non è più tanto condividere o meno il punto di vista altrui, ma semplicemente capirsi. È un fenomeno affascinante, ma anche allarmante. È come se stesse venendo a mancare il collante del “ciò che è superfluo dire perché è risaputo” (what goes without saying, va da sé, ça va sans dire, ecc.).
L’espansione degli spazi democratici, con l'ingresso delle masse nell'arena produttiva e politica a partire dall'età della rivoluzione di fine XVIII secolo, segna un elemento di discontinuità nella successione dei cicli sistemici di accumulazione, non adeguatamente colto o valorizzato nell'opera di Giovanni Arrighi. Se questo è vero, ne consegue la necessità di ripensare il concetto di egemonia per la fase del capitalismo anteriore all'industrializzazione e una riconsiderazione di aspetti non secondari della costruzione teorica di Arrighi, per es. per quanto riguarda l'indebolimento dello stato nazione nel succedersi dei cicli sistemici.
2018
il saggio descrive il movimento del '68 nelle scuole di architettura italiane e le sue ricadute nell'approccio all'educazione all'architettura all'universit\ue0 Iuav di Venezia e nelle scuole di architettura nella condizione attuale
Nonostante la crisi delle istituzioni democratiche 'reali' sia sempre più manifesta, l'idea democratica continua ad essere quasi universalmente considerata come la sola garanzia possibile della legittimità degli ordinamenti politici. Questo apparente paradosso ricorda che, come già riconosceva Hans Kelsen, i rischi peggiori per la democrazia provengono dai suoi successi ideologici. È proprio il suo affermarsi quale «parola d'ordine» unanimemente condivisa che rischia di trasformare la democrazia in un'etichetta priva di ogni profondità storica e di ogni urgenza politica. Indagando il concetto moderno di democrazia sullo sfondo delle trasformazioni istituzionali che ne hanno accompagnato lo sviluppo, questo lavoro vorrebbe decostruire quell'aura di necessità della quale le democrazie 'reali' oggi amano circondarsi. Attraverso un serrato confronto con i classici l'autore prende in considerazione alcune tra le più incisive critiche che la democrazia dei moderni ha attirato su di sé dall'epoca della sua invenzione sino ad oggi, per concludere con un'analisi della presente riduzione postdemocratica delle istituzioni delle democrazie d'elezione. Ricordando come la forma storicamente assunta dalle istituzioni democratiche sia stata sempre il risultato di un acceso confronto politico, questo libro invita a ripensare le forme della rappresentanza democratica al di fuori di ogni ingenua comprensione pseudo-naturalistica: esso vorrebbe così contribuire a riattivare quel processo di invenzione in cui una democrazia non ridotta a feticcio di sé stessa deve consistere.
Autorità ed eguaglianza nella democrazia deliberativa DRAFT 1. Pluralismo, costituzionalismo e democrazia deliberativa Che la democrazia tenda ad evolversi verso forme segnate da un carattere deliberativo, non è cosa difficile da mostrare 1. Basta
2016
On 11 September 1944 Mario Bonfantini becomes one of the protagonists of the most significant episodes in the history of the Italian Resistance, as a member of the provisional Government of Domodossola and the Liberated Zone. The essay analyzes Bonfantini’s role in the creation of democracy in Val d’Ossola, from his position as responsible for relations with the Military Authority, to his nomination as press commissioner.
Questione Giustizia, 2024
Sommario. 1. Guerra, neoliberismo e verticalizzazione del potere; 2. Guerra e deriva autoritaria versus democrazia come pluralismo e conflitto; 3. L'abbandono della democrazia sociale e dell'orizzonte della trasformazione; 4. Il nesso democrazia, pace e diritti
Breve storia dell'antiparlamentarismo in Italia , 2021
Breve storia dell'antiparlamentarismo in Italia, un nuovo capitolo di una vicenda vecchia.
I. POZZONI, Il liberalismo crociano tra autoritarismi e democrazia, in “Il Contributo”, Roma, Aracne, n.1/2 (2010), 53-69.
Nel linguaggio comune la parola organizzazione è usata in 2 modi diversi:
Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee, 2021
Dietro ogni concezione politica vi è una determinata antropologia. Parlare di disinformazione significa parlare del tipo di contenuto tramite il quale siamo “formati” per essere immessi nella società, nella vita associata, dunque nella politica nella sua accezione più ampia e, potenzialmente, nobile. Se la disinformazione è un’azione culturale (in senso antropologico e “antropogenetico”, cioè contribuisce a genere particolari tipi umani), occorre anzitutto partire da una risposta sintonizzata sulla stessa lunghezza d’onda; vale a dire, culturale.
Metabasis. Filosofia e Comunicazione, 2017
The myth of democracy is the result of a narrative that democracy itself builds throughout the process of its own affirmation. In this respect, the contradictions that emerge in democracy are not only its negative face, but they express the intrinsic ambiguity of the mythical narrative. This approach to democracy implies the adoption of a conception according to which reason is not a simple instrument for the satisfaction of passions , but a faculty that governs the passions themselves and directs the will.
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