2022
Nel periodo che va dal 523 al 537 sul Soglio petrino si succedono sei Papi e un antipapa. I loro Pontificati sono brevi, per cui nessuno di loro può sviluppare una programmazione politico-ecclesiastica di ampio respiro, sebbene alcune di queste personalità avessero indiscutibili doti di cultura e capacità. Non mancarono decisioni importanti, ma furono prese perché le circostanze le sollecitarono. In questo lasso di tempo assai breve il mondo antico visse una fase di transizione. Sotto la guida di Giustino I il Vecchio (518-527) e di Giustiniano I il Grande (527-565)quest'ultimo dapprima associato allo zio e poi da solo-l'Impero Romano-che chiamiamo d'Oriente ma che in realtà era il solo sopravvissuto e che quindi non ha bisogno di determinazioni geografiche-concepisce un ampio disegno di riconquista dei territori occidentali caduti sotto il dominio dei barbari. Il piano, ad un tempo universalista e patriottico-in quanto tutti i popoli dell'antico Impero si sentivano cittadini e sudditi della medesima compagine statuale, anche allora che essa si era ridimensionata e molte regioni erano state assoggette ai Germani-non faceva differenza tra i Regni romano-barbarici, ufficialmente federati imperiali, e quelli barbarici, che non riconoscevano l'autorità di Costantinopoli. Va da sé che quest'epoca, in cui il Grande Disegno comincia a realizzarsi a spese dei Vandali-assoggettati per primi dai Romani-è un'epoca di trapasso, di transizione, nella quale i Germani tendono ad allontanarsi da Bisanzio. Il punto grave di questo distacco era l'Italia. Essa, essendo stata la culla della Romanità e avendo al suo interno la Città Madre espansasi fino a dominare la terra intera, non poteva non essere al primo posto nei progetti di restaurazione e riconquista della Dinastia dei Traci. Com'è noto, la Penisola era dominata dagli Ostrogoti, la cui autorità si estendeva anche alla Rezia, al Norico e alla Dalmazia con un ampio entroterra. I confini occidentali erano arrivati al Rodano. L'artefice di questa grandeur era stato quel Teodorico I il Grande ([474] 493-526) di cui abbiamo tanto parlato. Egli, in qualità di reggente d'Italia e Patrizio dei Romani, debitamente investito dall'imperatore Zenone, non era un semplice Re federato. Teodorico aveva svolto bene il suo compito, creando una società modello per i rapporti tra Goti e Romani, ben separati per funzioni ma perfettamente coordinati nel modello amministrativo. Persino la differenza religiosa, essendo gli Ostrogoti ariani, era stata gestita con sano realismo, per il quale i Germani non volevano convertire i Romani e questi, cattolici, non volevano convertire loro. La pariteticità e la separazione etnica-presupposto per la sopravvivenza dell'elemento goto, di gran lunga minoritario-erano stati i pilastri del lungo dominio teodoriciano. Il grande monarca, da Ravenna, aveva saputo irradiare la sua influenza sui cugini Visigoti e persino sull'Africa vandalica, raggiungendo una egemonia su tutto l'Occidente barbarico, estesa anche ai Franchi e ai Burgundi. Era, questa forma di politica, una manifestazione autentica dell'ultimo spirito romano, che, per sopravvivere, aveva creato la civiltà romano-barbarica, che fu il primo basamento dell'Europa. Teodorico stesso, pur essendo ostrogoto fino al midollo, era stato allevato nella cultura greco-latina sin da quando era stato, ragazzino, consegnato come ostaggio all'imperatore Leone I, che lo aveva fatto mangiare alla sua mensa. Teodorico, nella cernita dei collaboratori, nell'attività legislativa e nella prudente protezione che gli spettava esercitare nei confronti del Papato in quanto rappresentante dell'Imperatore, aveva dimostrato di tenere moltissimo all'equilibrio e alla tutela delle istituzioni romane: le magistrature risalenti alla Repubblica, il venerando Senato e, ovviamente, la Sede Apostolica, il cui Soglio, in mancanza di quello imperiale in Occidente, era il più alto che un latino potesse occupare. Questo equilibrio, sul quale ci siamo diffusi in precedenza, viene spezzato in questo periodo per la politica di grandezza di Costantinopoli. Senza rinnegare il modello di convivenza che aveva creato ma pensando piuttosto che i Romani stessi volessero sabotarlo, Teodorico scivolò, a scopo difensivo, verso un dispotismo sospettoso, cupo, crepuscolare. Da quel momento il Papato, per vocazione universale e per collocazione romano, deve oscillare, come un pendolo, tra Ravenna e Bisanzio, tra Ostrogoti e Bizantini. Deve tutelare la sua posizione in Italia e nel mondo, deve essere al di sopra delle parti, deve convivere con un potere ostile, che può essere quello goto o quello romano, in base a come vengono valutate le sue scelte. Questa situazione continuò anche alla morte di Teodorico, perché i suoi successori, sebbene filoromani, o forse proprio per questo, non poterono o non vollero garantire una vera indipendenza politica al Papato, del cui appoggio continuavano ad avere bisogno, spingendo, specularmente, Bisanzio a fare tutto quanto poteva per consolidare la propria influenza sul Soglio di Pietro. Fu così che i Papi filoromani e filogotici si alternarono e le loro vicende elettorali si movimentarono come mai prima. Colpisce anche che tra di essi cessa l'ininterrotta successione di personalità poi santificate, perché gli umori terreni abbassano la percezione di moralità e virtù che l'uomo comune ha nel Papa di turno. Tuttavia ancora quattro Pontefici sono aureolati dalla gloria dell'altare e due di essi, addirittura, di quella del martirio. Fatto significativo, sono il primo e l'ultimo della serie che esaminiamo. Giovanni I, caduto per mano di Teodorico, e Silverio, ucciso per ordine della Corte bizantina. Queste due morti sono il segno tangibile della lotta che si combatté attorno al Papato in questo quindicennio, lotta nella quale il Papato fu spesso poco più che inerme. Al termine di questo periodo, breve ma intenso e drammatico, il Papato esce dalla fase della sua storia che coincide con l'età della romanità cristiana occidentale, segnata da una forte indipendenza dell'istituzione dal potere civile, per entrare in quella bizantina, in cui l'autorità imperiale lo terrà costantemente sotto pressione, nelle forme cesaropapiste tipiche di quella cultura.