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Sicché dal fatto il dir non sia diverso (Dante) La Religione per la terra natale in me crebbe cogli anni, attraversò le sventure, superò gli ostacoli della mia vita travagliata, e sempre, invariabilmente, si assise al mio fianco, nei rosei sogni della gioventù, nelle lunghe veglie della virilità.
Vista la deliberazione dell'Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana; Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione; PROMULGA La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo: PRINCIPÎ FONDAMENTALI Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2.
Storia dea Massoneria e delle società segrete di Clavel pubblicato nel 1873
Comunemente si ritiene che la guerra di guerriglia sia nata nel nostro secolo e particolarmente con le tecniche di Mao Tse-tung; ma questo non risponde
Avevamo vissuto la guerra [...] non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, "bruciati", ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi di una sua eredità» 1 . È con queste semplici parole piene di rara consapevolezza, che nel giugno 1964 Italo Calvino dà inizio alla prefazione del suo primo romanzo dedicato alla guerra partigiana.
Melanges De L Ecole Francaise De Rome Antiquite, 2002
prima dell'età triumvirale, al massimo alla metà del I sec. a.C. (un problema resta comunque la menzione della censura in un tempo in cui si ritiene non fosse stata ancora istituita come carica indipendente: R. Meiggs, Roman Ostia, cit., 175). Bisognerà ben ammettere un intervallo, pur ridotto, tra l'apprestamento della iscrizione e la sua distruzione e conseguente riuso: perciò, a meno che il blocco non appartenga ad un restauro più tardo, sembra dif cile che il tempio possa datarsi prima del 40/30 a.C. L'iscrizione predetta appartiene a un [L.?Co]rnelius L(uci) [f(ilius)] duo vir iter (um), cens(or), che il R. Meiggs, Roman Ostia, cit., 512 considera "Augustan". In effetti si tratta di una famiglia che non ha altro spazio nella prosopogra a ostiense, e che perciò deve essersi presto estinta o avere abbandonato la città. Il personaggio deve certamente venir messo in relazione con il P. Cornelius, arcitectus Catuli, per il quale anni fa (F. Zevi, Monumenti e aspetti culturali di Ostia repubblicana, in P. Zanker (ed.), Hellenismus in Mittelitalien (Kolloquium in Göttingen 1974), Göttingen 1976, 52-83, spec. 62) ho supposto una probabile origine ostiense in virtù della tribù Voturia, e di una iscrizione di Ostia con il nome di Lutazio Catulo in genitivo, che penso riferibile ad una espressione come architectus Q. Lutati Catuli o simili: forse una statua erettagli a Ostia (post mortem?) da un discendente. Alla famiglia potrebbe appartenere, sempre in età tardorepubblicana, il P. Cornelius P. f. Trupo (sic), di CIL, XIV 23 = I 2 1423, cfr. p. 981, la cui attività di mensor ben si aggancerebbe a quella dell'architetto; e in una tabella de xionis, compare una Chreste serva ornatrix di una Cornelia (CIL, XIV 5306 = I 2 3036), la cui domina per avere una propria parrucchiera doveva contare tra le grandi dame della colonia. Ma, nella ristabilita sua cronologia repubblicana, è soprattutto l'iscrizione dal foro che mostra, nella generazione dopo l'architetto, il rango del ramo della famiglia rimasto ad Ostia, e la cui origine, ritengo, non sarà azzardato riportare a clientes del dittatore, installati nella colonia forse con le proscrizioni antimariane, probabilmente segnalati per qualità di tecnici anche militari, e rimasti legati agli ambienti sillani (Q. Lutazio Catulo): cfr. Zevi 2002, p. 56. Forse è solo una coincidenza la presenza a Ostia, secoli più tardi, di un P. Cornelius Architectianus di età severiana, probabile discendente di liberti (CIL, XIV 5), che potrebbe aver voluto riecheggiare nel cognome l'attività di un personaggio celebre. Diversa e più complessa la ricostruzione proposta da S. Panciera (Fabri tignarii, in Epigra , epigra a, epigra sti, 1, Roma 2006, 449-52) sulla base di un frammento epigra co urbano: P. Cornelius Architectus sarebbe stato fabro tignario a Roma, tra gli honorati degli anni 159-168, mentre suo glio P. Cornelius Thallus sarebbe stato mag. qq. dei fabri a Ostia, e quivi avrebbe posto la dedica a Fides di CIL XIV 5 nel lustro XXVII del collegio (tra 190 e 194), in nome del glio Architectianus adlectus tra i decurioni. I Corneli ostiensi repubblicani, che si presentano con posizioni di grande prestigio, presto scompaiono, per una o altra ragione, dalla vita pubblica della città: quanto meno l'architectus Catuli, evidentemente in virtù della sua attività professionale, non risiedeva più in Ostia ed è stato sepolto a Roma. Quanto al nostro Cornelio, la congettura più probabile è, tutto considerato, che fosse il (o uno dei) magistrati costruttori dell'edi cio sottostante il capitolium, datato alla metà del I sec. a.C. (cfr. infra, note 9 e 10) e distrutto pochi anni dopo insieme con le iscrizioni che ne ricordavano la costruzione.
Questo libro propone una ricostruzione originale delle vicende italiane dalla Liberazione e dall’avvento della Repubblica a oggi. La sua particolarità deriva dal fatto che gli autori hanno dato spazio non soltanto alle vicende politiche ed economiche, ma anche alle trasformazioni della società e del costume, al fenomeno mafioso, all’impatto dei mass media, agli sviluppi del volontariato sociale, al ruolo della Chiesa. In queste pagine si ritrova così la storia di un popolo che dagli orrori di una guerra totale e da una condizione di diffusa povertà è riuscito a raggiungere inattesi livelli di benessere. Vi si legge pure la storia di un sistema politico perennemente in difficoltà, passato dal regime fascista a una fragile democrazia, attraversando le diverse fasi del centrismo, del centro-sinistra, della ‘solidarietà nazionale’, del ‘pentapartito’ ed entrato infine in una tumultuosa e mai conclusa nuova fase di trasformazione. Inoltre, non dimentichiamolo, in queste pagine si ritrova la storia delle vittime della violenza terroristica, delle mafie e delle tante tragedie ‘naturali’ che hanno segnato quasi settant’anni di vita italiana.
Il viaggiatore che sbarca con la nave a Livorno si trova innanzi, a "sbucare" da un complesso più recente, la struttura certamente più antica della città, quella che anche i pisani sconfitti dalla battaglia a largo della Meloria e imbarcati prigionieri sulle galee genovesi dovettero sognare di rivedere con nostalgia, ovvero il mastio di Matilde. Dal mare Livorno avvia la sua storia urbana, dal porto, e al porto purtroppo deve la distruzione delle sue zone di più antica edificazione. I bombardamenti della seconda guerra mondiale sulle strutture portuali hanno falcidiato, spesso in modo irreparabile, gran parte della città granducale, aprendo la strada a disastri architettonici e urbanistici cui si cerca solo oggi di porre rimedio. Livorno deve la sua origine al porto e a questo non deve solo tutta la sua storia, nella buona e nella cattiva sorte, ma anche la sua cultura, e non solo quella con la C maiuscola, della tolleranza delle Livornine, della tipografia che stampò, seconda in Europa, l'Enciclopedie 1 , di un poeta della grandezza di Caproni, ma anche quella con la c minuscola (ma siamo così sicuri?) del vernacolo, quella del cibo povero ma superlativo, dei bagni di mare da aprile a ottobre e di sole in tutte le stagioni. Livorno, anzi "Livorna", si trova per la prima volta nel 1017 2 in relazione alla parola "Castellum", e dunque avamposto fortificato della costa a sud del Porto Pisano, situato sul mare nella zona della attuale Fortezza Vecchia. Il porto pisano era all'interno di una insenatura naturale il "Sinus Pisanus", poi interratasi, situata a circa tre chilometri dalla stessa fortificazione. All'interno del castello vi erano abitazioni, di cui alcune in muratura e coperte da tegole, altre poste a ridosso delle mura o allineate lungo la via principale. La struttura del castello era unicamente in pietra, mentre il borgo adiacente doveva essere difeso quasi esclusivamente da steccati difensivi esterni. L'abitato del borgo, di cui purtroppo risulta assai difficile una ricostruzione esatta, sorse a partire dal XI-XII secolo sulla strada che da Porto Pisano portava al "Castrum Liburni", ovvero lungo la via carraia, corrispondente almeno per l'ultimo tratto all'attuale via San Giovanni. Intorno alla metà del XII secolo, Pisa rafforzò gli apparati difensivi di Porto Pisano e di "Livorna": venne edificata la torre della Meloria, a indicare l'accesso al porto, due torri all'imboccatura del porto "Magnali"che nel 1162 sarebbero state congiunte da una catena di ferro a chiudere l'imboccatura del porto. In quegli stessi anni venne costruita una fonte a Santo Stefano ai Lupi, che doveva garantire l'approvvigionamento idrico del porto, e una "domus" sulla riva del mare che dovette servire da abitazione per i marinai e di un fondaco per le merci. Le strutture portuali e anche quelle presenti nel castello di Livorno dovettero essere danneggiate dai nemici di Pisa nel corso del XII secolo, soprattutto dopo la sconfitta della Meloria, inflitta alla Repubblica di Pisa da quella genovese. Una leggenda attribuisce a quella sconfitta, che determinò l'irrevocabile tramonto della potenza marinara di Pisa, l'origine di un piatto che garantì la sopravvivenza di generazioni di livornesi e la soddisfazione gastronomica di altrettante: la torta di ceci, più famosa nel suo connubio con la focaccia e detto cinque e cinque (da cinque centesimi di torta e cinque di focaccia, nella valuta del 1930). Proprio le galee sovraccariche di prigionieri dovettero subire le ingiurie del mare, tanto che, nelle stive, barili di farina di ceci e botticelle d'olio si rovesciarono, mescolandosi con l'acqua di mare. Quando i cambusieri si accorsero del fatto, non potendo tra l'altro "scialare" con le provviste, propinarono la poltiglia ai prigionieri. Alcuni di questi, si dice, non osarono assaggiare la sbobba, lasciandola sul ponte per un giorno. L'effetto del sole fu un toccasana, asciugando la poltiglia e trasformandola in una frittella commestibile, anzi! Comunque, tanto per rassicurare il lettore, a parte l'episodio della sua casuale scoperta la torta di ceci è cotta in forno a legna senza acqua di mare. Intanto l'interramento progressivo del Porto Pisano lavorava a favore dello sviluppo di Livorno, dove vennero progressivamente traslate le strutture portuali. In quest'ottica sembra dunque collocarsi la concessione dell'ampia autonomia amministrativa al borgo di Livorno, nonché la sua elevazione a Capitania e l'emanazione di privilegi ed esenzioni fiscali a quanti venissero qui a stabilirsi, che sembra precorrere la politica delle leggi Livornine. 1 Le uniche due edizioni europee del settecento dell'Encyclopédie furono pubblicate a Lucca (1758-1776) e a Livorno (1770-1778). I tipografi livornesi furono Giuseppe Aubert, Pier Gaetano Bicchierai, Filippo Gonnella e Michelangiolo Serafini, riuniti dal 1767 una società denominata Stamperia dell'Enciclopedia. 2 Olimpia Vaccari, Il lento cammino verso il mare, in O. Vaccari, G. Panessa, Livorno, il primato dell'immagine, Pacini editore, Pisa, 1992
BOMPIANI 12 paio di corna, quattro zampe a grinfia, e una coda". Hegel, nella sua Estetica, annoterà che "avviene che, se non ogni marito la propria moglie, per lo meno ogni fidanzato trovi bella, anzi esclusivamente bella, la propria fidanzata; e se il gusto soggettivo per questa Bellezza non ha alcuna regola fissa, questo si può chiamare una fortuna per entrambe le parti… Si ode così spesso dire che una Bellezza europea dispiacerebbe a un cinese o addirittura a un ottentotto, in quanto il cinese ha un concetto della Bellezza interamente diverso dal negro... Ed invero, se consideriamo le opere d'arte di quei popoli extra-europei, per esempio le immagini dei loro dèi, che sono scaturite dalla loro fantasia come degne di venerazione e sublimi, esse possono apparirci come i più mostruosi idoli, così come la loro musica può risuonare alle nostre orecchie nel modo più detestabile. A loro volta quei popoli considereranno le nostre sculture, pitture e musiche come insignificanti o brutte". Sovente le attribuzioni di bellezza o di bruttezza sono state dovute non a criteri estetici ma a criteri politici e sociali. C'è un passo di Marx (Manoscritti economico-filosofici del '44) dove si ricorda come il possesso del denaro possa supplire alla bruttezza: "Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l' oggetto in senso eminente… Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro… Ciò ch'io sono e posso non è dunque affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Dunque non sono brutto, in quanto l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro. Io sono, come individuo, storpio, ma il denaro mi dà ventiquattro gambe: non sono dunque storpio… Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario?" Ora, basta estendere questa riflessione sul denaro al potere in generale e si capiranno alcuni ritratti di monarchi dei secoli passati, devotamente eternati nelle loro fattezze da pittori cortigiani che certamente non intendevano metterne troppo in risalto i difetti, e forse hanno fatto persino del loro meglio per ingentilirne i tratti. Questi personaggi ci appaiono senza ombra di dubbio assai brutti (e probabilmente lo erano anche ai tempi loro) ma erano portatori di un tale carisma, di un tale fascino dovuto alla loro onnipotenza, da essere visti dai loro sudditi con occhi adoranti. Infine, si legga uno dei più bei racconti della fantascienza contemporanea, La sentinella di Fredric Brown, per vedere come il rapporto tra normale e mostruoso, accettabile e orripilante, possa essere rovesciato a seconda che lo sguardo vada da noi al mostro spaziale o dal mostro spaziale a noi: "Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva d'ogni movimento un'agonia di fatica… Era comodo per quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la STORIA DELLA BRUTTEZZA da sinistra a destra: Anonimo, Giovanni senza paura, duca di Borgogna. Primo quarto del XV sec. Parigi, Musée du Louvre
La storia troppo spesso è scritta dai vincitori, ma l’errore più comune è pensare che la verità sia nelle mani dei perdenti. Dalla nascita degli Stati Uniti, questo paese è stato praticamente quasi sempre in guerra, e raccontarlo, con dati alla mano, significa rischiare di dare un’esposizione storica brutale ed arrivare a delle conclusioni che questa monografia non intende fare sua. Questa pubblicazione cercherà di far comprendere l’importanza della storia militare degli Stati Uniti, poiché solo non isolando questo aspetto si può comprendere il pianeta americano e studiare il nostro futuro prossimo. Dal 1776 e nel corso dell’intera loro esistenza, gli Stati uniti d’America sono stati in guerra il 93% del tempo, e gli anni di pace sono stati solo una ventina e forse anche meno se teniamo conto delle operazioni segrete della CIA (il servizio di spionaggio statunitense) e gli interventi effettuati negli stati esteri prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Quali sono le nostre fonti? Non ci siamo basati su teorie o studiosi, in realtà abbiamo solo consultato i libri di storia, infatti, è la storia, che guerra dopo guerra, battaglia dopo battaglia, operazione di pace dopo colpo di stato, strategia della tensione dopo guerra fredda, ci porta a contabilizzare pochi anni di pace e oltre duecentoventi anni di guerra infinita, attraverso una cronologia, anno per anno, delle lotte armate degli Stati Uniti. Per comprendere questa strana vicenda, si deve tenere presente che il primo presidente (Washington) era un militare e che tutti i presidenti che gli si sono succeduti hanno dovuto affrontare, nel corso del loro mandato, almeno una guerra. Si racconta che l’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti cinque anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione . In realtà, le sole forze dell'esercito americano di stanza in terra straniera, in questo periodo, sembrano siano state il presidio di circa mille soldati mantenuti a Tientsin in Cina, fino al 1938. Inizia così la nostra avventura.
La storia dell’arcobaleno è antica quanto la storia della scienza. Già Alessandro di Afrodisia (III sec. – II sec a.C.) aveva cercato di descrivere l’arcobaleno come fenomeno di luce e colori e a lui si assegna la paternità della scoperta della zona scura tra l’arcobaleno primario e quello secondario. Si deve invece ad Aristotele (384 o 383 – 322 a.C.) una prima completa descrizione del fenomeno ottico: «L’arcobaleno non forma mai un’intera circonferenza e nemmeno un arco maggiore di una semicirconferenza. Al tramonto e all’alba lo spessore dell’arco è stretto e l’arco ha la massima estensione. Quando il sole si alza maggiormente nel cielo lo spessore si allarga e la lunghezza dell’arco si riduce. Dopo l’equinozio d’autunno, nei giorni più corti, può essere visto a qualunque ora del giorno; in estate non può essere visto nelle ore del mezzogiorno. Non ci sono mai più di due arcobaleni nello stesso tempo. Ognuno di essi ha tre colori. I colori sono gli stessi in entrambi e il loro numero è identico, ma nell’arcobaleno esterno sono più deboli e la loro posizione è invertita. Nell’arcobaleno interno la prima e più larga striscia è rossa; in quello esterno la striscia più vicina a quello interno è dello stesso colore ma più stretta. Per le altre strisce vale lo stesso principio. Queste hanno gli unici colori che i pittori non possono fabbricarsi, dato che ci sono colori da essi creati con misture, ma nessuna mistura può dare il rosso, il verde e il blu. Questi sono i colori dell’arcobaleno, per quanto talora tra il rosso e il verde si possa vedere il giallo » [Aristotele, Meteorologia: Libro III]. In questo modo, l’arcobaleno entra a pieno titolo tra i fenomeni oggetto di studio da parte dei fisici anche se, secondo Lee e Fraser: « Despite its many flaws and its appeal to Pythagorean numerology, Aristotle’s qualitative explanation showed an inventiveness and relative consistency that was unmatched for centuries. After Aristotle’s death, much rainbow theory consisted of reaction to his work, although not all of this was uncritical » [ Raymond L. Lee, Alistair B. Fraser. The rainbow bridge: rainbows in art, myth, and science. Penn State Press, 2001 p. 109]. La descrizione aristotelica dei colori dell’arcobaleno riduce a tre il loro numero e questa interpretazione fu accettata per molto tempo, con sottili differenze numerologiche associando i tre colori alla Trinità o altrimenti quattro colori associati ai quattro elementi della tradizione empedoclea. La riflessione della luce del sole tra le nuvole, lo studio dell’angolo di incidenza dei raggi luminosi, la spiegazione della forma circolare dell’arcobaleno, l’effetto ottico di profondità infinita rispetto all’origine del fenomeno luminoso sono tutte questioni che hanno incuriosito per secoli studiosi di differenti discipline. Nelle Naturales Quaestiones (ca. 65 d.C.), Lucius Annaeus Seneca (ca. 4 a.C. - 65 d.C.) dedica alcuni capitoli del libro I alla spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno ed espone la teoria secondo la quale l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua, così come dal riflesso dei raggi solari in una nuvola a forma di specchio concavo, e racconta come si possa vedere l’arcobaleno in un cilindro di vetro attraversato da un raggio luminoso, anticipando, di fatto, le esperienze di Isaac Newton (1642 - 1727) con il prisma ottico. Roger Bacon (1214 – 1294), Teodorico di Freiberg (Meister Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250 – ca. 1310) e René Descartes (1596 – 1650) - per non citarne che alcuni - affrontano per via speculativa lo studio del fenomeno visivo inframmezzando tra loro scienza e alchimia, ragione e sentimento: i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. Si deve, invece, a Willebrord Snell (Willebrordus Snellius, 1580 – 1626) la comprensione (1621) che l’arcobaleno è un fenomeno strettamente fisico e come tale deve diventare argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche della riflessione e della rifrazione. Successivamente Newton comprende (1666) che l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda, per cui ogni raggio di sole genera il proprio arcobaleno. In questa breve nota si vuole ripercorrere una storia spesso dimenticata che, attraverso le prime intuizioni dei filosofi greci fino ad arrivare alla scienza moderna, ha connotato la ricerca in un campo della Fisica dove il colore dell’arcobaleno appartiene sì al mondo della Fisica - nel 1803 Thomas Young (1773 – 1829), mostra attraverso un esperimento, tra conoscenza e speculazione teoretica, “so simple and so demonstrative a proof of the general law of the interference of two portions of light” [Thomas Young, “Bakerian Lecture: Experiments and Calculations relative to Physical Optics”. Philosophical Transactions of the Royal Society 94, 1804, 1–16: pag. 1 ], che due raggi luminosi emessi da una singola sorgente attraverso due fenditure possono interferire tra di loro producendo su uno schermo opaco bande scure e luminose alternate – e dunque al mondo speculativo, ma anche a quello dell’immaginazione [ Massimo Corradi, “La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe” in Colore e colorimetria. Contributi multidisciplinari Vol. XA, a cura di Rossi Maurizio, Marchiafava Veronica, pp. 401-712. S. Arcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore, 2014].
INTRODUZIONE. Ricordare la vicenda di Settimia Spizzichino (Roma, 15 aprile 1921-Roma, 3 luglio 2000) in occasione della Giornata della Memoria (Legge 211 del 20 luglio 2000) significa restituire la storia della sola donna sopravvissuta agli orrori del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e Bergen-Belsen dopo essere stata deportata insieme a 1024 ebrei romani tra cui 18 bambini deportati il 16 ottobre 1943 dal ghetto di Roma. Settimia Spizzichino prima ancora che fosse stabilita per legge la Giornata della Memoria andava nelle scuole non solo di Roma e provincia a narrare la brutalità nazista. In questa breve nota permettetemi anche un ricordo personale: Il tre marzo 2000 Settimia venne nella mia scuola d'allora. I ragazzi ascoltarono la sua testimonianza. Non vollero nemmeno fare la merenda. Fecero tante domande. Le chiesero se lei, dopo quell' esperienza, avesse mai più sorriso, dove avesse trovato la forza per sopravvivere quando era nel lager, che cosa successe in via della Reginella, che cosa successe nel Collegio militare di via della Lungara, che cosa successe alla Stazione Tiburtina. Ci parlò delle selezioni, dell' arrivo dei russi e di cosa fece dopo la Liberazione. Ricordare, ricordare affinché ciò che era accaduto nel lager fosse messo a conoscenza di più persone. Oggi siamo qui per ricordare la sua persona.
DIDATTICA DELLA STORIA E CONSAPEVOLEZZA DI CITTADINANZA, 2021
Il Tavolo tecnico-scientifico della didattica della Storia dell’USR Lombardia ha promosso, negli anni scolastici 2016-2019, un percorso di ricomprensione metodologica dell’insegnamento della Storia tradottosi in una proposta progettuale di carattere formativo e di ricerca che ha coinvolto un centinaio di scuole lombarde e molteplici soggetti tra enti, fondazioni, archivi, associazioni e centri di ricerca storica. Gli esiti del lavoro sono stati raccolti nel volume recentemente pubblicato “Didattica della storia e consapevolezza di Cittadinanza. Riflessioni e proposte per il curricolo verticale e per la definizione delle competenze”, uno strumento utile a dirigenti scolastici, docenti, istituti storici, archivi e associazioni interessati per avere una visione di sintesi sulla pratica dell’insegnamento della storia, per rilanciare nelle rispettive istituzioni la riflessione metodologica, per disporre di strumenti concreti ed immediatamente spendibili nella pratica didattica, anche in riferimento all’insegnamento dell’educazione civica e all'interno dei Patti di Comunità. Il volume propone alcune riflessioni teoriche e buona parte delle Unità di Apprendimento progettate e realizzate dagli insegnanti durante il percorso. Ne emerge l’impegno didattico verso alcuni generali, ma fondamentali, presupposti di metodo e vi si apprezza la volontà di condividere l’attenzione alla cura della relazione degli studenti con la disciplina, alla valorizzazione delle risorse territoriali e all’educazione al patrimonio come contributi essenziali della comunità scolastica per la formazione della consapevolezza storica e di cittadinanza. La Scuola opera in un paradigma formativo integrato, attribuendo un ruolo strategico alle competenze abilitanti, e deve ritenere “irrinunciabile il valore della memoria storica per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza e di educazione civica dei nostri giovani”. Per la scheda editoriale: https://www.ledizioni.it/prodotto/didattica-della-storia-e-consapevolezza-di-cittadinanza/
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