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L'ermeneutica barocca del lettore: ricordando Ezio Raimondi

2015, Cuadernos de Filología Italiana

Ci sono almeno tre aspetti dell'attività intellettuale di Raimondi che vanno presi in considerazione per circoscriverne la figura. Il primo è quello del professore universitario che faceva lezione davanti a un pubblico di studenti affollatissimo, e riusciva a trasmettere in modo ineguagliabile le idee portanti della sua ricerca. Il secondo è quello del saggista, la cui azione critica spaziava dal medioevo al Novecento, con affondi imprescindibili su alcune figure centrali: Petrarca, Dante, Machiavelli, Tasso, i secentisti, Alfieri, Manzoni, D'Annunzio, Renato Serra, Gadda, Longhi. Il terzo, che in qualche modo comprende anche gli altri due, è il lettore, cioè colui che si muove dentro la biblioteca universale senza limiti di curiosità e senza sponde, uscendo dal campo specificamente letterario e spaziando in tutti i territori confinanti (filosofia, storia, antropologia, sociologia). La maschera del lettore, la cui storia si potrebbe seguire attentamente attraverso i libri di Raimondi, e che da il titolo alla raccolta di saggi su Renato Serra (Il lettore di provincia) nasce soprattutto dall'esigenza di non restare dentro il ruolo tecnico del filologo (che caratterizza la primissima attività di Raimondi, grosso modo gli anni cinquanta) né in quello più universitario del critico-professore. A un certo punto, Raimondi comincia a dire che la filologia deve diventare interpretazione della parola del testo, ma che in quanto interpretazione deve anche fare i conti con la propria precarietà e fallibilità. È un'idea che gli viene dall'epistemologia (da Popper) ma che in un certo senso si innesta sulle letture dei suoi primi anni di studioso, in particolare su quella di Heidegger, e sugli esistenzialisti. Heidegger significa per lui (che sapeva perfettamente il tedesco) un pensiero non però astratto, ma anzi la concretezza delle parole nel loro rapporto diretto con le cose: la tonalità affettiva (un'espressione che ripeteva spesso) connessa alle parole e alla loro capacità di risuonare nel presente anche a distanza di secoli. E non è un caso allora che, dopo alcuni studi di ambito medievista e rinascimentale (in particolare Petrarca, poi l'umanesimo bolognese, e poi Machiavelli), Raimondi sia passato all'interesse per il barocco, e poi a quello per l'età romantica (prima Alfieri, e poi Manzoni). Il barocco infatti gli consentiva di sperimentare, soprattutto sui trattatisti, la forza della retorica come affermarsi di una struttura formale che doveva però subito trovar vita nel realizzarsi teatralmente sulla scena della comunicazione letteraria: la parola che si libera dalla forma da cui nasce e diventa vitale, vibrante, _____________