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2012, Multiverso
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Balthazar, 2023
Usando come bussola l'acqua, il rispecchiamento e il concetto di superficie, il saggio intende mettere in luce i punti di contatto fra la poetica di Iosif Brodskij, J. M. W. Turner, John Ruskin e Venezia, la città che accolse il loro sguardo. Using water, mirroring and the concept of surface as a compass, the essay aims to highlight the points of contact between the words and works of Iosif Brodskij, J. M. W. Turner, John Ruskin and Venice, the city that embraced their gaze.
Mente e luoghi. Un approccio multidisciplinare al design della città contemporanea, 2020
"Mente e luoghi. Un approccio multidisciplinare al design della città contemporanea" a cura di Anna Anzani postmedia books 2020 Con saggi di: Giuseppe Amoruso, Anna Anzani, Fabio Bailo, Valentina Battista, Luca Bonardi, Paola Briata, Nicola Bruno, Claudia Caramel, Alfonso Chielli, Luciano Crespi, Davide Crippa, Barbara Di Prete, Elena Elgani, Massimo Giuliani, Eugenio Guglielmi, Fiamma Colette Invernizzi, Federico Leoni, Emilio Lonardo, Andrea Marini, Ada Piselli, Massimo Schinco, Francesco Scullica, Michele Sinico
Prospettive sul luogo. Discussione di un oggetto sociale (a cura di A. Givigliano e C. Stancati), Roma, Aracne, 2015
Istituzioni e luoghi L'idea che sta alla base di questo contributo è tratta tanto dall'esperienza comune che da quella di studio, giacché in entrambe ho potuto ritrovare un'opposizione tra due concezioni delle istituzioni diverse, e persino opposte, tra loro. Partiamo dall'esperienza comune. Non è raro sentire nominare istituzioni a partire dal luogo in cui sorgono i palazzi che le rappresentano: così via Arenula sta per il Ministero della Giustizia, viale Trastevere per quello dell'Istruzione, e così via. Naturalmente, non tutti i tribunali si trovano in via Arenula, né tutte le scuole in viale Trastevere -ma nominando quelle vie (e, per sineddoche, quegli edifici) si allude, per esempio, a un sistema di potere -a un luogo dove le cose si decidono. Il riferimento può essere anche incrociato, e costruito per opposizione: così, "oltre Tevere" denomina il Vaticano, facendo riferimento al fatto che i palazzi che rappresentano le nostre istituzioni repubblicane si trovano (per lo più) sull'altra sponda del fiume. Ma nessuno riterrebbe che passando il ponte, e arrivando da Corso Vittorio Emanuele a via S. Pio X, si entra in un altro mondo. Oppure forse, in un certo senso, si potrebbe dire di sì. Sbaglierebbe chi volesse liquidare come semplice metonimia questo tipo di usi linguistici -come quando parliamo di "primo" o "secondo" (piatto), e intendiamo ciò che ci sta dentro.
2019
La riflessione che segue è l'esito di un confronto prolungato con gli studenti di progettazione architettonica e di urbanistica dell'Institut Supérieur d'Architecture et Urbanisme di Kinshasa (RDC) e tenta di rispondere, almeno in parte, ai loro quesiti sul senso del mestiere che stanno imparando e sul modo migliore di svolgerlo. Ho l'impressione che, pur dissimulati dall'abilità ad auto-ingannarsi con le retoriche che l'esperienza ci ha insegnato, la nostra vita professionale (di progettisti, di analisti, di insegnanti, …) ci riproponga gli stessi 'banali' interrogativi. Così, quando ce ne concediamo il tempo, ci scopriamo a chiederci non solo cosa dovremmo 'eticamente' fare, ma anche, proprio come gli studenti di Kinshasa, come lo si fa. Questo scritto ragiona attorno ad una serie di testi molto noti (gli stessi discussi con gli studenti) cercando di abbozzare delle indicazioni operative rispetto al 'problema della progettazione', ovvero all'apparente vanità di spendersi per dar forma ad un futuro la cui realizzazione dovrà confrontarsi con la casualità imprevedibile di un mondo plurale.
Definire le modalità con le quali, nella storia della filosofia, si è indagato il concetto del vero è complicato, e richiederebbe notevoli capacità interpretative. Pare opportuno cominciare la trattazione partendo da due criteri che possono valere, tematicamente, ad evidenziare la rilevanza del concetto di verità: il primo è quello che, mettendo al centro il momento conoscitivo del verofatto, lo ricerca nei vari ambiti della conoscenza, l'altro è quello che dal concreto arriva al processo della conoscenza, dando luogo alle concezioni pragmatistiche, utilitaristiche, realistiche, legate ai temi della filosofia della storia. Ciò dovrebbe evidenziare come a fondamento di quel concetto ci siano i tentativi che hanno criticato o negato i principi divini agenti come forza metafisica della totalità, per volgersi alla capacità umana dell'agire, al modo del plasmare il mondo, alla possibilità della creazione e della conoscenza della storia e della cultura: al vero conoscibile nella storia. Dopo un breve accenno alla filosofia platonica, aristotelica e neoplatonica, va messo in evidenza che il principio della convertibilità richiama un presupposto del pensiero cristiano, il principio che la verità sia legata alla creazione divina. Ciò lega il vero-fatto al costruttivismo nel quale, soprattutto sulla base dell'agostinismo, il concetto di conoscenza è stato accentuato fino al volontarismo. Quindi, ad una concezione della verità come disvelamento dell'ordine immutabile della natura, com'è concepito nella filosofia greca, si sovrappone quella medievale, che la considera come intrinseca alla mente ed alla volontà divine, e a cui ci si deve adeguare. Tuttavia sarà la modernità ad individuare una originale concezione della verità, a ritenere di poter conoscere la propria creazione. E qui il concetto di verità segue il complicato rovesciamento del rapporto tra la conoscenza ed il suo oggetto che si presenta dall'Umanesimo e dal Rinascimento. Concepire la vita come data dall'azione formatrice del soggetto vuol dire indagare la tendenza del vero a darsi come esistente nella realtà, scorgere la verità nelle azioni. Si oltrepassa così la distinzione tra la ricerca attiva e quella tesa all'indagine dei principi, poiché la creatività può essere accertata in relazione alla verità, ad una categorizzazione che non è mai fissa, ma sempre contingente. Infatti, se concepita dal suo interno, la concezione della verità mostra come non ci sia alcuna certezza immutabile, ma che i termini siano in continuo movimento, che comporta l'idea di un'apertura ad ogni possibilità, sempre in divenire, nella storia, definibile solo in termini di rapporti, creazioni ed azioni. Posto in questi termini, e superando sia la questione della conoscenza oggettiva, sia quella soggettiva, il fulcro della problematica va individuato in tale concezione contingente della verità, ossia nel nesso tra verità e creatività umana, nell'idea che non si possa conoscere tutto ciò che si pensa, così come non si possa conoscere tutto ciò che provenga dal di fuori, ma che abbia senso e significato, ed abbia conoscibilità solo ciò che si è creato. Nella varietà delle concezioni sulla verità, delle diverse manifestazioni che stanno dietro la questione dell'espressione della verità nella creatività, importante è stato il contributo di Vico: si conosce ed è vero solo ciò che si è fatto. La verità della creazione è concepita come non difforme dalla storia, perciò Vico e il suo criterio di convertibilità sono il fondamento del trascendentalismo su cui si fonda molta parte della riflessione moderna, tesa a concepire la pensabilità e conoscibilità della storia, la pratica con cui l'uomo si crea e crea il proprio mondo culturale. E tuttavia qui la questione si complica, poiché, per Vico, il vero deve potersi accertare, deve cioè essere filtrato da un certo contingente, che deve a sua volta avverarsi. Basandoci sull'analisi del vero-fatto in Vico, e dopo averne riscontrato le premesse nella filosofia classica, si cercherà di mostrare come esso, dall'illuminismo, sia rilevabile in Kant e, seppur in forme diverse, nell'idealismo, nello storicismo e nel neokantismo, nell'intenzionalità husserliana e nell'ermeneutica gadameriana, in Habermas e nel costruttivismo. Infine, con riferimento all'homo creator, si accennerà alla relazione tra verità e fattualità nello storicismo critico-problematico di Piovani. Il piacere della ricostruzione sulla base dei documenti antichi non è una faccenda moderna: se si vogliono ritrovare i classici del genere si deve ritornare all'Ottocento; in questo caso specifico all'articolo di Desjardins del 1878. Dopo questa data ci sono stati commenti su questo genere di testi, o anche chiarificazioni su vari punti: ma dopo tutto si può sostenere che non c'è una sistematizzazione dell'insieme di tali testi, che adegui l'analisi storico-antiquaria e topografica al livello dell'analisi filologico-letteraria. L'esposizione più adeguata a tal fine è quella del Desjardins, un commento, pedissequo al testo, come una serie di note a margine per lettori attenti. La prima tappa porta Orazio, insieme al retore greco Eliodoro, da Roma ad Aricia, per un itinerario di 16 miglia. Fino a Forum Appi, dove termina la seconda tappa, ci sono 27 miglia: Orazio descrive la lentezza della marcia, che lo conduce a percorrere in due giorni la distanza che se ne compie in uno. Il canale di Forum Appi cominciava tre miglia prima, a Tripontium, e si dispiegava per 19 miglia: da ciò il nome Decennovius. Questa era ritenuta una successiva innovazione alla creazione della via da parte di Appio Claudio, ma la scoperta di un miliario a Posta di Mesa con doppia numerazione consente di correggere tale opinione: su di esso si leggono i nomi degli edili P. Claudio e C. Furio, il primo dei quali è il figlio dello stesso Appio Claudio, come si evince dall'antichità del cippo. Il Decennovius è menzionato anche dal geografo greco Stradone che afferma che presso Terracina, verso Roma, la Via Appia è costeggiata da un canale, alimentato da stagni e fiumi: vi si naviga di notte, imbarcandosi la sera per sbarcare la mattina e fare a piedi il resto del percorso, ma a volte anche di giorno. Il battello è trainato da un mulo. La fonte di Ferocia, a cui Orazio si lavò, alimentava l'acquedotto di Terracina, di cui sono stati ritrovati tratti di tubazione di piombo con l'iscrizione reipublicae Tarracinensium. Mecenate, Cocceio e Fonteio Capitone, come sostiene Desjardins, avevano scelto il viaggio via mare, per evitare la fatica, o perché alloggiavano in una villa costiera. Non si potrebbe altrimenti spiegare l'appuntamento a Terracina, dove cioè, come afferma Stradone, la Via Appia arriva al mare per la prima volta. Orazio e Eliodoro andarono al porto, che aveva assunto la forma e le dimensioni che conserverà nel periodo imperiale: infatti, è appurato che i lavori eseguiti si possano legare alla fondazione di una colonia triumvirale da parte di Cn. Domizio Calvino, il console del 40 a. C., che s'insediò nella pianura ai piedi dell'antica città volsca, e della quale si sono preservati svariati resti. Nella descrizione della marcia di tre miglia da Feronia alla città, Orazio usa il termine repimus, che vuol dire " ci arrampichiamo", suggestionato dalla posizione dominante di Terracina. Questo stride, tuttavia, con le specificità del percorso, che si dipana in piano, fino alle porte della città, e con il termine successivo subimus, dal quale si evince che la strada passava al di sotto di Terracina. Non c'è motivo di adattare repimus, che va tradotto, nell'accezione più comune del verbo, con " ci trasciniamo", per alludere alla fatica di una notte insonne. Dunque, Orazio non si dirige per l'antico itinerario della Via Appia, che si arrampica sul monte S. Angelo, ma quello più comodo che lo conduce al porto e da lì, passando sotto il Pisco Montano, all'imbocco della via dei censori del 184 a. C., la via Flacca. Orazio non dice dove trascorre la notte: forse in un albergo vicino alla città. A Fondi Orazio dedica un paio di versi per deridere il provincialismo del magistrato locale, premuroso di mostrare a Mecenate la sua toga pretesta, il suo laticlavio e le insegne del potere municipale, che celavano le sue origini modeste. Lo si può identificare con un parente del M. Aufidio Lurco di Fondi che, secondo Svetonio, era nonno materno di Livia, proprietario della villa di Sperlonga, passata forse a Tiberio mediante la madre. A Formia la comitiva è ospitata a cena da Fonteio Capitone, mentre dorme a casa di L. Licinio Marrone Murena: entrambi possedevano una villa a Formia, dove sei anni prima moriva Cicerone. Dopo 17 miglia, alla comitiva si aggregano M. Prozio Tucca, Vario e Virgilio, provenienti da Napoli. La giornata si chiude, dopo altre 10 miglia, in una stazione di posta presso il Pons Campanus, a 17 miglia da Capua. A Caudium due buffoni, Sarmento e Messio Cicirro, gareggiano in lazzi. Dopo Benevento si cambia strada; Orazio, infatti, prima di Canosa, menziona due tappe un po' oscure: Trivicus e un oppidulum non nominato. La Jannaccone ha dimostrato l'inesattezza dell'identificazione tra Trivicus e Trevico sia topograficamente, sia toponomasticamente: infatti, Trevico non può essere Trivicum, poiché il nome medievale è stato Vico della Baronia. Il percorso tradizionale perde consistenza, e così anche l'identificazione dell'oppidulum con Asculum. L'unica soluzione si può desumere da Stradone, laddove parla dei percorsi alternativi tra Brindisi e Benevento: due sono le vie, una mulattiera, lungo la quale ci sono Egnazia, Celia, Netion, Canosa e Herdonia, e un'altra via che passa da Taranto, che allunga di un giorno. Tale via si chiama Appia ed è adatta ai carri. Anche se Stradone non spiega l'itinerario tra Canosa e Benevento, è evidente che la via percorsa da Orazio sia la prima, la via Traiana. Quindi, si deve cercare l'oppidulum altrove, e in ogni caso ad una distanza molto maggiore da Benevento, diciamo due tappe,...
È dalla persistenza dei luoghi che la memoria viene trattenuta nella forma paradossalmente conservativa dell'oblio, come in una sorta di deposito da cui, in varia misura, possono essere tratti successivamente. Che un luogo o un oggetto perdano il proprio contesto funzionale o simbolico diventa così la condizione di possibilità di una nuova semiotizzazione: è quanto, con intensità alquanto sorprendente, mostra il nostro tempo, su resti archeologici, paesaggi, oggetti, edifici, esercitando un'azione di rilettura e ricontestualizzazione: proprio perché i luoghi sono oggettivamente mediatori tra passato e presente, custodi della memoria, fanno segno verso un passato in gran parte invisibile e alcune possibilità di riattivazione. È nella natura duplice del resto, che esibisce l'oblio trattenendo la memoria, che va individuata la possibilità di decrittare nelle tracce del passato forme di rigenerazione valide per il presente, e non solo la deriva musealizzante di una conservazione statica. Costituendosi, sotto certi rispetti, in modo simile a un deposito memoriale 1 , il paesaggio conserva "l'inutilizzabile, il diverso, il sorpassato […] ma anche il repertorio delle occasioni perdute e delle opzioni alternative e delle opportunità non utilizzate" 2 .
Diogene Filosofare Oggi, 2006
Articolo sulla filosofia giapponese pubblicato dalla rivista "Diogene Filosofare Oggi". Cfr. Cristiano Martorella, La Verità e il Luogo. Convergenze e divergenze fra la filosofia occidentale e giapponese, in "Diogene Filosofare Oggi", n.4, anno 2, giugno-agosto 2006, pp.14-19. La Verità e il Luogo. Convergenze e divergenze fra la filosofia occidentale e giapponese. di Cristiano Martorella Occuparsi di filosofia giapponese in Europa e America presenta due difficoltà peculiari. La prima consiste nella distanza sia fisica sia culturale della società giapponese, con delle evidenti ricadute nell'ignoranza dei testi che costituiscono la base delle argomentazioni filosofiche orientali. La seconda difficoltà, molto più profonda e ostica, è di genere filosofico, e consiste nel rifiuto della diversità culturale. L'apice di questo rifiuto è stato raggiunto da Donald Davidson in Verità e interpretazione. Nel cap.13 intitolato Sull'idea stessa di schema concettuale, Davidson sostiene che non possono esistere schemi concettuali completamente diversi perché altrimenti sarebbero inintelligibili e incomunicabili. L'argomentazione sembra quindi ridimensionare il concetto di diversità che potrebbe essere solo parziale. Ma è una argomentazione basata sull'equivoco del concetto della diversità considerata come opposizione e contrarietà, e soprattutto sul fraintendimento operato nell'identificazione generica di comunicazione e significato. In Rinnovare la filosofia, Hilary Putnam smaschera l'errore di Donald Davidson, ed evidenzia l'arbitrio e la forzatura operati nei confronti della nozione di significato. La concezione formalista di Donald Davidson che lega il significato al valore di verità (attraverso la convenzione v e la teoria tarskiana) mal si adegua a comprendere il relativismo concettuale che ci viene presentato dalla filosofia giapponese e dalle altre filosofie orientali. Ovviamente l'influenza della filosofia analitica, di cui Davidson è il più degno esponente, si ripercuote sulla considerazione dei sistemi filosofici orientali considerati banalmente come rappresentazioni esotiche completamente irrazionali. Se invece accettiamo di mettere da parte l'idea della diversità come opposizione e contrarietà, e ammettiamo piuttosto che la diversità include anche la condivisione dei differenti significati del mondo (pluralismo epistemico), possiamo procedere nella riflessione senza cadere nella semplificazione e strumentalizzazione dello scontro di civiltà (clash of civilizations) tanto di moda. Tenteremo quindi di comprendere la filosofia giapponese con uno studio comparato che non escluda le somiglianze e nemmeno le differenze, tutto ciò per il vantaggio che la conoscenza dell'altro può apportare. La diversità epistemica della filosofia giapponese ha origine dai princìpi e fondamenti di carattere buddhista che ne sono alla base. Innanzitutto l'ontologia giapponese concepisce l'esistenza come un continuo cambiamento. Il divenire è possibile perché i fenomeni non avrebbero una sostanzialità. Secondo un celebre detto buddhista, il nulla costituisce la realtà fenomenica. Il fenomeno è ciò che è vuoto, il vuoto è ciò che è fenomeno (shiki
2012
Tra gli studiosi che hanno rivolto la loro attenzione ai nomi dei luoghi vi è chi, molto opportunamente, ha sottolineato il legame tra questi e la dimensione sociale e storica delle comunità che li hanno attribuiti e usati. Di essi voglio ricordare in particolare Arturo Genre, ideatore dell'Atlante Toponomastico del Piemonte Montano, progetto di ricerca di cui dirò in seguito, che in un saggio della metà degli anni '80 scrisse: «La toponimia di una località viene a configurarsi di fatto come l'espressione di un complesso sistema di relazioni dell'uomo con l'ambiente e dell'uomo con l'uomo» (Genre 2002 [1986]: 346).
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Tra Cultura, Diritto e Religione. Sinagoghe e cimiteri ebraici in Lombardia, a cura di Stefania T. Salvi, pp. 315-351, per le parti da me redatte relative alle provincie di Milano, Bergamo, Como e Varese pp. 317-328, 330 e 351, 2013
Pondera. Pesi e misure nell’antichità, 2001
Genere e progetto dei luoghi, 2023
LEZIONI MARCIANE 2013-2014. Venetia / Venezia 1 a cura di Maddalena Bassani e Marco Molin
I mondi del Professor Challenger (Orthotes), 2025