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Politica e estetica: la questione irrisolta della critica marxista

Abstract

Nel momento in cui si torna a parlare di "impegno" e appare giusto porre alla letteratura una domanda "politica", mi sembra necessario andare a rivedere il dibattito là dove si era fermato, prima che il postmodernismo nelle sue varie forme e diramazioni mettesse in non cale quel tipo di problemi. E dunque tornare a riflettere sui nodi che la critica marxista, anche nei suoi punti più alti, aveva lasciato irrisolti per arrivare adesso a focalizzare meglio quanto di quelle indicazioni possano circolare ancora utilmente nel dibattito di una tendenza "impegnata" dentro la corrente che potremmo definire, in generale "culturalista". Il punto che proverò ad affrontare, nel breve tempo della comunicazione, è questo: con tutta la buona volontà di valutare politicamente la letteratura-in qualche modo la missione consustanziale alla sua propria logica-la critica marxista non è mai riuscita a trattare materialisticamente l'estetica; per meglio dire, o...

Key takeaways

  • Però il giudizio estetico non è completamente ricondotto in quello culturale; lo si vede negli interventi su Pirandello, dove comunque permane un gusto per l'arte non contaminata da troppo ragionamento: nelle cronache teatrali appare costantemente questa remora che addebita la non vivezza dei personaggi ridotti a «pedine della dimostrazione logica», l'esteriorità e non la profondità, il paradossismo troppo meccanico, l'intento dimostrativo; tutti aspetti che potevano cadere sotto i diktat crociani, sebbene fossero poi temperati dai riconoscimenti culturali piuttosto forti, ad esempio: «le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensiero» (Gramsci 1966: 307), che suona alquanto simile al volantino di Marinetti su Palazzeschi... Anche nella riflessione dei Quaderni, la conclusione che «l'importanza di Pirandello mi pare di carattere intellettuale e morale, cioè culturale, più che artistica» (Gramsci 1975: 705); e «l'efficacia del Pirandello è stata più grande come "innovatore" del clima culturale che come creatore di opere artistiche» (ibid.
  • Una volta riunificato il giudizio, il rischio, però, è quello di mettersi in mano a un impegno preordinato dall'esterno o decretato dai contenuti (all'epoca: cadere sotto la dittatura di partito); Benjamin scarta verso le responsabilità dello specifico sostenendo che la tendenza in questione è la "tendenza letteraria": «La giusta tendenza politica di un'opera include dunque la sua qualità letteraria in quanto include la sua tendenza letteraria» (ibid.
  • Mentre la critica "impegnata" di ieri e di oggi fa fatica ad uscire dalle secche del contenutismo, qui l'assunzione del gioco dialettico (alla dialettica l'autore ha dedicato di recente un grosso libro, zeppo di spunti teorici) porta a vedere forma e contenuto uno nell'altra; il contenuto è sempre formato (cioè costruito ad hoc) e altrettanto la forma ha un suo contenuto, quella che Jameson chiama l'"ideologia della forma".
  • Terry Eagleton è forse, rispetto a Jameson, legato a una impostazione più tradizionale della critica, ma proprio per questo interessante in quanto gli ha consentito - unitamente alla straordinaria ironia che contraddistingue il suo stile (e che egli stesso collega alle origini irlandesi) -di non subire le mode e di resistere alle sirene del postmodernismo (le illusioni del postmodernismo, per dirla con il suo titolo del '98, dove argomenta che anche la "fine dei grandi racconti" è al dunque un grande racconto).
  • Non sono certo tempi di grandi proposte; dopo un saluto elegiaco alla teoria, non privo però della consueta ironia, vedi After Theory, che si apre con un elenco di grandi nomi ormai defunti e con l'appunto: «It seemed that God was not a structuralist» (Eagleton 2003: 1), Eagleton ha pubblicato due libri di palese intento divulgativo dedicati rispettivamente alla poesia e alla prosa (How to Read a Poem, 2007; e How to Read Literature, 2013), quasi a dire che ormai l'unico compito del critico è quello di "alfabetizzare" un pubblico che non è più in grado di comprendere il linguaggio che abbiamo sempre inteso per letterario.