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Un testo mostruoso. Il "Roman de la Rose"

Abstract

Ce monstre qui est le Roman de la Rose": la perentoria definizione di Joseph Bédier, certo non uno sprovveduto quanto a conoscenza delle letterature medievali, dà ragione della diffidenza che quest'opera in versi 1 -un tempo apprezzatissima, se si considerano gli oltre trecento manoscritti che ce la tramandano, le ventuno edizioni a stampa fino al Cinquecento, e ancor più l'interesse di rielaboratori illustri, dal Durante-Dante del Fiore a Geoffrey Chaucer a Clement Marot -incontra presso la critica di epoche successive. Testo mostruoso, senz'altro, se commisurato con i romanzi medievali che più si hanno presenti, quelli d'avventura cavalleresca (i versi e le prose del ciclo arturiano soprattutto), dei cui caratteri più vistosi (l'attualizzazione o riattualizzazione delle potenzialità innate dell'eroe attraverso il meccanismo della prova; la costruzione dei personaggi nella dialettica delle loro psicologie individuali; l'attenzione meticolosa rivolta ai dettagli del loro ambiente, finalizzata all'educazione sentimentale e materiale del pubblico) alcune sono praticamente assenti, altre stravolte dall'immersione in una scrittura come quella allegorica, che conferisce loro un valore specifico. Ma mostruoso appare il Rose anche da altri punti di vista: per il suo essere entità bicefala, uscita dalla penna di due autori , Guillaume de Lorris e Jean de Meung , i quali operano a distanza di una quarantina d'anni l'uno dall'altro, come da esplicita dichiarazione del