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Rinvenimenti riferibili alle fortificazioni e note di urbanistica mutinense Mutina è ricordata nelle fonti letterarie antiche come città fortificata ben prima della sua deduzione come colonia di diritto romano. Infatti, già nel 218 a.C., ossia all'inizio della seconda guerra punica, la città era cinta da mura ed era controllata da un presidio dell'esercito romano. È ben noto il racconto di Polibio che, descrivendo la rivolta dei Galli Boi poco prima dell'arrivo di Annibale in Pianura Padana, ricorda che i triumviri che stavano completando l'assegnazione delle terre nelle colonie di Piacenza e Cremona si ritirarono dietro le mura di Mutina, che venne cinta d'assedioi(1). La città, dunque, fin dalle prime fasi della romanizzazione della pianura padana, costituì un importante polo strategico, trovandosi lungo la via Emilia, arteria stradale di primaria importanza, che univa Ariminum (Rimini) a Placentia (Piacenza), realizzata a partire dal 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido, verosimilmente seguendo un più antico tracciato.
2014
Il ruolo delle donne nelle città alla fine dell'età repubblicana: il caso di Mutina Gli studi sulla condizione femminile in età antica hanno da tempo evidenziato una sorta di dicotomia nella rappresentazione della vita delle donne romane 1 . Da un lato continua a essere operativo il modello cosiddetto ideale o idealizzato, che rappresenta la donna integralmente dedita alla vita domestica, al matrimonio e all'educazione dei figli 2 . Da un altro la documentazione soprattutto epigrafica e, con valutazione per lo più negativa, quella letteraria attestano che le donne, nel corso dell'età repubblicana, hanno notevolmente esteso il campo della loro azione e hanno valicato i confini strettamente domestici, soprattutto attraverso l'impiego della propria ricchezza.
Il saggio analizza la ricostruzione della topografia di Modena in età romana con particolare riferimento alle fortificazioni, ritrovate in seguito a scavi eseguiti tra 2006 e 2007
Le mura della Roma arcaica sono state per molti anni un argomento dibattuto e spesso oggetto di un accanito negazionismo, legato direttamente all'immagine primitiva della comunità di Roma nei primi secoli della sua storia, secondo la vulgata di una storiografia ipercritica sulle fonti letterarie dell'età regia ed alto repubblicana. Tuttavia le ricerche condotte in Italia centrale tirrenica negli ultimi quaranta anni hanno contribuito a modificare profondamente lo stato delle conoscenze sull'urbanistica tra Bronzo Finale ed età del Ferro, sottolineando il carattere difeso dei maggiori abitati fin dal X-IX secolo a.C. 1 ed ovviamente anche quello dei centri di epoca arcaica 2 . A livello archeologico non vi è ormai più ragione di dubitare che tra il VI e il I secolo a.C. Roma venne difesa da un perimetro di fortificazioni lungo circa 11 chilometri che includeva un'area stimabile intorno ai 400 ettari, corrispondente alla tradizionale città dei sette colli, dimensioni che la pongono tra i maggiori centri fortificati dell'epoca in area mediterranea 3 .
Piazza Domitilla, Semestrale della Fondazione Città di Terracina. ISSN: 2704-5552, 2022
The Acropolis of Monte Sant'Angelo in Terracina became such only around the first quarter of the 1st century BC. Indeed, the preceding acropolis, enclosed by the polygonal walls, must have been in the area of the former convent of San Francesco. This work analyze only the late republican walls in opra incerta, reinforced on the outside by circular towers. The study analyzes the topography of the place through the history of the studies, providing new interpretations and dating of the structures, through reconstructions and relative positioning on the map ISSN: 2704-5552
in Arquelogía de la Construcción IV. las canteras en el mundo antiguo: sistemas de explotación y procesos productivo. Convegno Internazionale di Studi (Padova, 22-24 novembre 2012) (Anejos de Archivo Espanol de Arqueologia LXIX), Madrid-Mérida 2014, pp. 61-71.
Much of what has been preserved of the ancient walls of Rome (known as Servian Walls) can be attributed to the reconstruction carried out in the early fourth century BC. The square blocks that constitute them, in fact , are of “yellow tuff of Grotta Oscura” (today technically called “yellow tuff of the via Tiberina” or TGVT, a tufa volcanic district pertaining to the Monti Sabatini, north of Rome), whose quarries were in the territory of influence of the Etruscan city of Veii, conquered in 396 BC. The aim of this study is to determine the reasons for the choice of this material, by calculating how much work and how much manpower can be served to extract such a quantity of blocks and put them in place; moreover, in what way and by what means it must have been organized the transfer of the blocks along the Tiber, and then within the city up to the various construction sites. Keeping this in mind, the signs engraved on the blocks before their setting up should perhaps be interpreted as distinguishing marks of a particular sector of quarrying, maybe accounting for the attribution of each fluvial load to a certain site. It is therefore proposed the hypothesis that the cultivation of these quarries was already active, although to a lesser extent, before the construction of the Walls, and that the choice of the material is then due to the existence of quarries already organized, able to provide huge amount of material, which could quickly come to Rome via the river.
Sino alla fine del Novecento ben poco resta-va delle poderose mura erette a difesa di Vulci: oltre a notizie delle fonti ottocenteschei(1) e a tracce presenti sul terreno o riconoscibili in foto aeree, rare erano infatti le emergenze, so-stanzialmente riconducibili a qualche breve tratto della cinta per lo più contiguo alle porte Ovest, Nord ed Est, interessate dagli scavi con-dotti dalla Soprintendenza negli anni Cin-quanta del secolo scorsoi(2). Una più appro-fondita conoscenza del sistema fortificato, utile a puntualizzarne la cronologiai(3), a definire la continuità o meno del tracciatoi(4) e a chia-rirne il rapporto con l'impianto urbanistico, è stata così assunta fra gli obbiettivi prioritari del progetto di valorizzazione messo a punto per la creazione del Parco archeologico di Vul-ci, istituito, a conclusione di una fase speri-mentale di circa quattro anni, nel luglio del 1999. Dopo un'accurata revisione delle fonti d'archivio e una mirata analisi delle tracce vi-sibili nelle foto aereei(5), hanno preso avvio le ricerche sul terreno, svoltesi fra il 2000 e il 2010i(6), che si sono concentrate sul tratto della cinta fortificata che cinge la porzione settentrionale del pianoro de La Città (fig. 1). Oltre a porre in luce diversi tratti delle mura, sono stati indagati anche quattro accessi pre-senti in questa parte del perimetro urbano, ov-vero le porte Ovest, Nord, Nord Esti(7) ed Est, accessi ai quali, come nel caso di quelli dei quartieri meridionalii(8), facevano capo im-portanti assi viari che, disponendosi con anda-mento radiale, collegavano Vulci alla costa e RIFLESSIONI SULLE MURA DI VULCI (1) CAMPANARI 1840, pp. 440-441; L. CANINA,
Fortificazioni e società nel Mediterraneo occidentale Fortifications and Societies in the Western Mediterranean Sicilia e Italia a cura di, 2020
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Editore Gruppo Studi Bassa Modenese, 2008
Raccolta e commento delle fonti letterarie di età romana relative a Mutina (Modena) e al suo territorio. Ruolo della città nella Cisalpina e sua immagine nel mondo romano, legata soprattutto al Bellum Mutinense (44-43 a. C.), che vide l'inizio della carriera pubblica di Ottaviano Augusto, ma anche all'economia della regione.
Epigraphica, 2019
We present here the edition of two new funerary inscriptions and an inscribed fragment coming from the Roman colony of Mutina; moreover, in the second part of the paper, a fresh commentary on five inscriptions already published (among them, a tablet with a consular dating by Pompey and Crassus and a carmen) coming from the same territory.
In Archeologia viva 2005
1. Due fregi di monumento funerario con elementi da parata da Mutina Modena, Musei Civici; inv. 282771 Pietra; alt. 48, largh. 47, spess. 6 cm Modena, via Emilia Est, località Fossalta Modena, Piazza Roma, in situ, in reimpiego nella porta muraria di età medievale Alcuni elementi utili alla storia dell'arma-mento nel territorio di Mutina si colgono dai contesti funerari. Un fregio di monumento funerario proveniente dalla necropoli di Fos-salta (Giordani-Gonzalez Muro 2009, p. 84; si veda supra, scheda di D. Labate), pur se fram-mentario, presenta uno scudo circolare (pro-babilmente una parma equestris) appesa ad un chiodo tramite un laccio intrecciato (Fig. 1). Sotto lo scudo è agganciato allo stesso chiodo un gladio, di cui è ben visibile la sola impugnatura, del tipo di solito attribuito ai gladi di tipo Mainz o Pompei (Bishop 2016, p. 26). Insolitamente, attraverso il pomo dell'elsa passa un corto laccio utilizzato per la so-spensione al chiodo; questa soluzione lasce-rebbe presumere un'elsa forata e la possibile utilizzazione in combattimento di una correg-gia di sicurezza per evitare la caduta dell'ar-ma. I dettagli sopra descritti collocano crono-logicamente il fregio tra la fine della repub-blica e il primo periodo imperiale. Nel corso degli scavi condotti recentemente (2015) in Piazza Roma a Modena sono state trovate, inserite nel rifacimento delle mura di età medievale (XI sec. d.C.), lastre a carattere funerario d'età romana, una delle quali con una serie di nove phalerae disposte su di un portafalere, in tre file (Fig. 2): la lastra romana di reimpiego era inserita nello stipite occi-dentale della porta urbica di Ganaceto (Laba-te-Malnati-Palazzini 2017, p. 375). Phalerae in bronzo sono state rinvenute nel-l'area della necropoli orientale a Fossalta, in quella occidentale in località Cognento, e a sud presso Formigine: quest'ultima reca, al centro, una testa di Gorgone mentre sull'ap-plique di Cognento vi è un muso leonino (Cer-chi 1988, p. 133). Le falere rientravano, nel mondo romano, nella categoria dei cosiddetti dona minora (premi minori) inferiori, nella scala delle ricompense militari, ai vari tipi di corone (trionfale, ossidionale, civica, murale, castrense, navale, ovale) che costituivano i dona maiora. Queste decorazioni erano asse-gnate come ricompensa ai soldati distintisi per prove di coraggio e di abilità; la consegna avveniva nel corso di pubbliche cerimonie al termine delle campagne o delle battaglie, e spesso all'assegnazione del premio si accom-pagnavano ricompense in denaro o in bottino. L'assegnazione del donum minor comportava, per il portatore, una condizione di prestigio all'interno del proprio reparto e della comu-nità militare; nel caso della cavalleria il console , dopo pubblico elogio, regalava una pha-lera a chi aveva ucciso un nemico in combat-timento. La falera (da phalera, cioè "orpello") era una vera e propria medaglia a forma di borchia metallica (bronzo, argento) cesellata o sbalzata, che veniva apposta quale decora-zione sulle armature. Derivava dai tipici me-daglioni ornamentali utilizzati nella bardatura dei cavalli o, quali elementi decorativi, nel-l'abbigliamento femminile. L'uso di questi pre-mi ci viene tramandato da Tacito e, a propo-sito di Ottaviano Augusto, da Svetonio (Sve-tonio, Augustus, 25): «Dona militaria, aliquan-to facilius phaleras et torques, quicquid auro argentoque constaret, quam vallares ac mu-rales coronas, quae honore praecellerent, da-bat; has quam parcissime et sine ambitione ac saepe etiam caligatis tribuit. M. Agrippam in Sicilia post navalem victoriam caeruleo ve-xillo donavit.» Dal territorio modenese provengono altri due monumenti funerari con raffigurazioni di ele-menti militari, inquadrabili fra la tarda re-pubblica e l'inizio dell'età imperiale. Il primo, di cui restano due lastre, è stato rinvenuto nei pressi della riva destra del Canale Minu-tara, in località Saliceto Panaro; si tratta di un monumento funerario a dado, databile nel-l'ambito della seconda metà del I secolo a.C. (Tarpini 2005a) che presenta alcuni elementi militari di sicuro interesse. Nella lastra di si-nistra, la corazza, a differenza del più diffuso modello anatomico, sembra essere caratte-rizzata da una struttura a listelli (Polito 1998) che la avvicinerebbe alla tipologia delle co-razze "lamellari" (Russell Robinson 1975), che troverà maggiore diffusione in oriente e in epoca più tarda. La corazza è completata da due strisce di pteryges e da un rinforzo pro-tettivo sulla spalla (humerale). Nella parte centrale, alla congiunzione tra le due lastre, si trova un portafalere (si veda Polito 1998 per una bibliografia completa) costituito da 11 X, 1 (Fig. 1) X, 1 (Fig. 2) 10 X Le guerre di Mutina (14)_Layout 1
Padova e il suo territorio, 2020
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Roma medio repubblicana, dalla conquista di Veio alla vittoria di Zama, Roma 2020, pp. 235-253.
Most of the remains of the ancient city walls of Rome, known as the Servian Walls, can be attributed to the reconstruction carried out at the beginning of the 4th century BC with large square blocks of “yellow tufa of Grotta Oscura” (today technically defined as “yellow tufa of the Via Tiberina” or TGVT), whose quarries were located in the territory of influence of the Etruscan city of Veio, conquered in 396 B.C. Almost ninety years after the masterly publication of Säflund, we try to take stock of the state of research today. We will therefore examine here the problems linked above all to the reasons that led to the decision to build a new city wall, the choice of material and route, and finally its specific characteristics, even if it is not possible to propose definitive solutions to the proposed questions.
in Alle origini del laterizio romano. Nascita e diffusione del mattone cotto nel Mediterraneo tra IV e I secolo a.C., Atti del II convegno internazionale “laterizio” Padova, 26-28 aprile 2016, ( a cura di Jacopo Bonetto, Evelyne Bukowiecki, Rita Volpe), Roma 2019, pp. 295-301.
Papers of the British School at Rome, 2008
In questo tratto di Mura, come negli altri gia pubblicati (Cozza, 1997: note 1 e 2), e pin in gcnerale in tutto il circuito, ci fu certamente la fase iniziale di Aureliano (271-5 d.C.) ed il grandioso innalzamento di Onorio (401-3 d.C.). Seguirono poi i restauri per difesa del tardo-antico, del Medioevo, del Rinascimento e del Settecento fino al 1869, e dal 1926 quelli di tipo archeologico per la conservazione del monumento (Cozza, 1983: 137) fatti dal Comune e proseguiti fino ad oggi. II testo che segue, mai pubblicato, e in sostanza una parte, corretta ed aggiornata, dclla monografia 'Mura di Roma' che presentai il 27 Aprile 1955 per il concorso indetto dalla Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Guida spirituale a condurre il lavoro fu allora Giuseppe Lugli mio caro maestro all'Universita di Roma. Si legga la sua recensione (1931) al The City Wall of Imperial Rome di Ian A. Richmond. Io credo di aver trasmesso l'amore per le Mura ad amiei e studiosi: a Robert Coates-Stephens per quattro torri altomedicvali (1995), per l'indagine su un crollo dellc Mura presso Porta Maggiore (1999) e per la Porta Maggiore (2004); a Giorgio Ortolani per le torri pentagonali del Castro Pretorio (1990); e a Rossana Mancini per il suo atlante di un palinsesto murario (2001). Infine sento l'obbligo di riferirmi con ammirazione a Pierluigi Romeo che ha pubblicato (1968) un commento analitico circa i 'criteri di restauro' da lui diretti nei grandi lavori svolti alle Mura per riparare i danni pro\'ocati dal clima particolarmcnte rigido dell'inverno 1962-3. I miei ringraziamenti vanno alia biblioteca della British School at Rome c precisamente a Valerie Scott, con Beatrice Gelosia, Francesca De Riso, Francesca Deli e per l'archivio ad Alessandra Giovenco. Ricordo con gratitudine Fabio Barry e Robert Coates-Stephens per le fotografie sul posto. Per le gentili concessioni a consultare e pubblicare i documenti di archivi e fototeche
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