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Werner Jaeger rivendicò a se stesso la scoperta di un'"evoluzione organica" all'interno delle opere di Aristotele, pubblicando i risultati delle sue ricerche in una celebre monografia del 1923. Il confronto tra le recensioni e gli studi che seguirono su questo libro epocale dimostra la non totale originalità delle posizioni di Jaeger e soprattutto la discutibilità di alcuni dei suoi principi di base.
Carmilla, 2021
Recensione del libro di Jean Ziegler "Il capitalismo spiegato a mia nipote", Meltemi 2021
Sommario: 1. «Quando scriverà un'etica?». 2. Le nuove basi testuali. 3. I temi del confronto con Aristotele. 4. L'Etica Nicomachea come "ontologia della vita umana". 5. Il Dasein come ontologizzazione della práxis. 6. L'avere-da-essere come determinazione pratica. 7. La cura come radice della struttura pratica dell'esserci. 8. Le quattro tesi che Heidegger ricava. 9. La filosofia pratica di Aristotele come filigrana dell'analisi dell'esistenza. 10. La trasfigurazione del problema. 11. Essere o agire? ■
in Actas das IV Jornadas Internacionais de Investigadores de Filosofia, (Coord.) I. Pinto Pardelha, I. Viparelli e M. Ferreira, Grupo Krisis, 2014. Disponível em: http://www.krisis.uevora.pt/edicao/actas4.pdf
DULCIS LABOR Studi in onore di Maria Luisa Chirico, 2022
The aim of this essay is to analyse the theoretical and ideological framework underlying Werner Jaeger's historiography from the 1920s onwards. The neo-humanistic model proposed by Jaeger is deconstructed in its methodological components and is analysed in its relationships to the contemporary isolating approaches to universal history of Spengler and Troeltsch. Finally, the author demonstrates that Jaeger’s ‘Humanismus’ turns into a contradiction between a concept of humanistic culture as community praxis und as inescapable historical destiny.
2019
Come condizione di possibilità dell'universalizzazione in senso ontologico dell'esperienza ermeneutica, oltre al riconoscimento del carattere di evento proprio del venirci incontro di una verità (tanto nell'espressione del dato storico o nella rappresentazione dell'opera d'arte quanto nel più ampio senso del «venire ad espressione»), sta il fondamentale fatto della legittimazione della pretesa di verità di una esperienza del mondo, e di una coerente maniera della formazione del concetto, che tenga presente, nell'impossibilità di prescinderne, la costituzione linguistica del mondo. Nella terza e ultima parte di Verità e metodo, emerge infatti chiaramente il punto dell'esigenza di legittimità per un'esperienza di questo tipo. Essa può in definitiva dirsi linguistica sulla base del fatto che il mondo, per come e dal momento che esso stesso si offre alla comprensione, si struttura nella parola: ha la sua verità nella struttura o totalità di senso in cui consiste ciò che si dà nel «venire all'espressione» proprio del linguaggio. Si comprende d'altronde in questa direzione anche l'excursus di Gadamer sulla storia della filosofia del linguaggio, in particolare sui momenti di essa in cui la riflessione segue il manifestarsi della forza creativa del nominare, la potenza ontologica del linguaggio. Attraverso la disamina del concetto greco di λόγος e della sua evoluzione (nel suo significato più vivo e altro dalla riduzione obiettivante operata dal logocentrismo moderno) con la possibilità di essere collegato al concetto del bello (καλόν), nel suo significare platonicamente la «parousia dell'eidos», la luminosità dell'apparire di ciò che è non-nascosto (ἀλήθεια), fino al congiungimento con la dottrina cristiana della Parola, appare non solo la caratteristica di mediazione per cui il linguaggio congiunge espropriandoli soggetto e oggetto (vale qui il richiamo alla speculatività del linguaggio per come essa è in opera ad esempio nella dialettica), ma anche la capacità di svelamento della parola.
"Ernst Junger", a cura di Luigi Iannone, 2015
Albert Hofmann: vi sono poche figure pubbliche del secolo scorso -nel campo intellettuale, scientifico o culturale, in senso lato -che sono risultate così controverse al punto da creare un netto spartiacque fra estimatori e detrattori; i primi al limite dell'esaltazione, i secondi della diffamazione. Forse proprio questa dislocazione su una rischiosa linea di confine (il "meridiano zero" di cui parla Jünger) ha costituito l'elemento simpatetico che ha fondato il lungo sodalizio tra Jünger e Hofmann. Ma chi è stato Albert Hofmann? Nato nel 1906 in Svizzera, si laureò in chimica all'università di Zurigo. Nel corso di una conversazione in cui ripercorreva la sua esperienza lavorativa e intellettuale, gettando uno sguardo retrospettivo al proprio percorso (anch'egli, come Jünger, raggiungerà un'età patriarcale), definirà la chimica «una sorta di contemplazione della natura e della sua struttura elementare: essa non ci allontana dalla natura ma ci aiuta a capirne le meraviglie. Ciò che mi spinse a diventare chimico fu un interesse puramente contemplativo, il desiderio di osservare e capire la natura, specialmente il mondo delle piante». Dal 1929 al 1971, anno del pensionamento, lavorerà presso i laboratori della società farmaceutica Sandoz a Basilea, svolgendo ricerche nel settore chimico-farmaceutico. In particolare Hofmann diverrà celebre per una scoperta: nel corso dei suoi studi sugli effetti cardioattivi delle piante officinali, concentra il suo lavoro su un fungo inferiore che cresce sulle spighe della segale e su altri cereali, finché nel 1938 riesce a sintetizzare la dietilamide dell'acido lisergico: la sigla Lsd non è altro che l'acronimo tedesco di questa sostanza (lysergsäurediäthylamid). Ma la sostanza non rivela di possedere qualità cardiotoniche e la ricerca viene archiviata per alcuni anni. Nel 1943 Hofmann riprende il lavoro su questa sostanza e, del tutto casualmente, finisce per assumere una dose infinitesimale del prodotto, che provoca in lui un insolito stato di coscienza, caratterizzato da irrequietezza e dalla presenza insistente di immagini caleidoscopiche. In seguito a questa esperienza decide di sperimentare nuovamente su se stesso l'Lsd, sottovalutandone però la potenza. Si verifica un indicibile horror trip. Inizialmente è solo un leggero stordimento, seguito da disturbi visivi e riso incontrollabile. Hofmann decide allora di rientrare a casa, accompagnato da un assistente. Ecco una parte della descrizione fornita dallo stesso Hofmann e riportata dagli «Archives suisses de neurologie» del 1947: «Stordimento, distorsioni della vista (i volti degli astanti somigliavano a delle maschere dipinte in forme grottesche), viva agitazione alternata con paresi, freddo, intorpidimento, a intermittenza, della testa, del corpo e delle estremità; sensazione metallica in bocca; gola secca; sensazione di soffocamento; valutazione a tratti chiara, a tratti confusa della situazione, a volte adottavo verso me stesso un atteggiamento da osservatore e mi ascoltavo mormorare parole incomprensibili o urlare come un pazzo». E più oltre: «Tutto mi sembrava ondulare e le proporzioni degli oggetti erano deformate, come riflessi su un'acqua agitata. Tutto prendeva una tinta sgradevole con predominanze del blu e del verdastro. Quando chiudevo gli occhi ero assalito da immagini fantastiche, cangianti e multicolori. Il fenomeno più rimarchevole era che i suoni si trasformavano in sensazioni visive, cosicché ogni rumore suscitava un'immagine colorata che gli corrispondeva e che si trasformava come un caleidoscopio». Trascorsa una notte di riposo, Hofmann si risveglia stanco, ma del tutto normale. Senza essere stata annunciata aveva fatto irruzione l'era psichedelica (l'aggettivo vuole indicare «ciò che manifesta la psiche», «ciò che dilata la coscienza»; da psyché "anima, psiche" e delóun "mostrare, manifestare"), che tanto avrebbe fatto parlare di sé nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Superato l'iniziale turbamento Hofmann, comprende di avere scoperto una sostanza potente, che poteva avere diverse applicazioni nell'indagare i meandri della psiche umana; aveva portato alla * In Ernst Junger, a cura di Luigi Iannone, Chieti, Solfanelli, 2015, pp. 299-310.
il Manifesto - Alias, 7 aprile, 2024
Review of Paul K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (edizione definitiva), Feltrinelli, Milano 2024
Ca' de Sass - giugno 1992, n. 118, 1992
Pierpaolo Naso's review of "La Grande Madre. Meditazioni mediterranee" by Ernst Jünger
Etica & Politica, XXIV, 2, 2022
Fabio Ciaramelli’s book L’ordine simbolico della legge e il problema del metodo proposes a convincing methodological perspective for legal knowledge in contemporary constitutional democracies. The central claim is that a middle path between strong objectivism and absolute discretion exists. Ciaramelli thinks that the key concept for legal methodology is that of “symbolic order”. In this paper I deal with this notion and try to emphasize some features of it from a perspective slightly different from Ciaramelli’s one.
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1913/2013 Pier Giacomo 100 volte Castiglioni, 2013
L’umano e le sfide della tecnica, 2019
SEMINARIOS COMPLUTENSES DE DERECHO ROMANO XXXIV, 2021
Quaderni ACP, 2022
IL METODO E IL TRATTATO. Saggio sull'Etica Nicomachea, 2017
Applicazione pratica degli insegnamenti di Amoris Laetitia: Il caso di Giulia, 2019
Nouvelle Méthode di Jean-Jacques Lequeu. Ridisegno, analisi grafica e rilettura critica, 2021
“Palazzo Madama. Studi e notizie”, anno III, n. 2, pp. 178-191., 2014
Ri-pensare la soggettività, 2024
Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
astrid-online.it