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Introduzione e versione del Sefer Yetzirah.
Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli LIX (1999) [2001] pp. 401-404, 2001
mi è stato segnalato un foglio di pergamena scritto in caratteri ebraici (tavv. I-II), da sempre lì incorniciato ed esposto, ma la cui proven ienza è ignota, e che
Léopold Sédar Senghor nacque a Joal-la-Portugaise nel 1906. Il primo dei due nomi rientrava nella moda del tempo: fu un omaggio al principe ereditario del Belgio, il futuro Léopold III. Sédar era nome sérère; significava «colui che non può essere umiliato». Léopold era hellên; Sédar nègre.
Siamo abituati a considerare le parole, le immagini, i suoni come strumenti espressivi dell uomo e della sua cultura. Uno strumento è tale perché è un mezzo per raggiungere un fine, è subordinato a una meta, a qualcosa che va oltre lo strumento stesso. Anche nella nostra esistenza siamo abituati a subordinare il viaggio alla meta, il percorso alla stazione di arrivo, la gara al suo esito. E corretta o è limitata, riduttiva o sbagliata questa abitudine di pensiero e di vita? Credo che non tenga conto che le parole, le immagini, i suoni hanno un loro valore intrinseco così come il viaggio, il percorso, la gara sono momenti vitali in sé indipendentemente dalla meta prefissa. Spesso impieghiamo molto più tempo a viaggiare, a percorrere una strada che a fruire della meta, del traguardo, che possiamo, come a volte capita, anche non raggiungere. Le parole, le immagini, i suoni non sono semplici strumenti, ma sono avvenimenti essi stessi con un loro valore intrinseco. A un rabbi fu chiesto di raccontare una storia. «Una storia», disse il rabbi, «va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto». E raccontò: «Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie», riferisce Martin Buber ne I racconti di Chassidim.
Shejzat - Pleiades, 2021
The article examines the story of Franco Tagliarini’s archive dedicated to the promotion of Albanian cultural heritage. Witnessing to his father’s activity in Albania during the Fascist era, the archive treasures rather important documents. Photographic documentation forms an important part of the archive which is of particular interest to scholars of various disciplines. In the archive resides also documentation of legislation, displaying Tagliarini’s intense activity in the construction of a tourist network in Albania.
Analisi di alcuni commenti tradizionali alla sura XCIV
La chevrà qaddishà La chevrà qaddishà è una delle confraternite fondamentali all'interno della comunità ebraica, ed il suo compito è di inestimabile valore, trattandosi di una delle applicazioni più stimate del chesed weemet, la pietà esercitata nei confronti dei defunti, che non hanno modo di ricompensare coloro che li hanno beneficiati. Per questo un altro nome che le viene attribuito è "ghemilut chesed shel emet". La ghemilut chasadim è sotto vari aspetti superiore alla tzedaqàh: infatti la tzedaqàh si fa con i propri beni, mentre la ghemilut chasadim sia con i propri beni che con il proprio corpo; si fa tzedaqàh ai poveri, mentre si può fare ghemilut chasadim sia con i ricchi che con i poveri; si fa tzedaqàh ai vivi, mentre è possibile fare ghemilut chasadim anche nei confronti dei morti 1 . Troviamo attestazione dell'esistenza di tali confraternite già nel Talmud 2 : nelle città in cui esiste la chevrà qaddishà gli individui possono dedicarsi al proprio lavoro, perché c'è chi si occupa dei defunti. Occuparsi dei morti è considerata una forma di imitazione di H., che si era preoccupato in prima persona della sepoltura di Moshèh Rabbenu. Anticamente la chevrà qaddishà non si occupava solamente del funerale e della sepoltura, ma interveniva già in una fase precedente, che era quella della visita ai malati, procurando agli indigenti assistenza medica e medicinali, oltre ad assistere, dopo il decesso, i parenti in lutto, fornendo loro l'occorrente per la se'udat havraàh e sostenendo gli orfani 3 . Nei centri più piccoli la chevrà qaddishà, essendo l'unica confraternita esistenza, si occupava di ogni forma di assistenza. Far parte della chevrà qaddishà era considerato un grande privilegio, ed il disprezzo dei membri della chevrà viene paragonato da alcuni a quello di un talmid chakham 4 . Vari usi sono volti ad onorare i membri della chevrà: ad esempio alcuni assegnano al capo della chevrà la lettura della haftaràh di chol ha-mo'ed di Pesach, o assegnano ai membri della chevrà delle chiamate a sefer nei giorni di mo'ed, nei quali secondo molti usi vengono ricordati i defunti 5 . Molti famosi rabbanim, già in tenerà età, entrarono nelle confraternite. In moltissimi casi il rabbino della comunità era anche a capo della chevrà qaddishà. E' bene in ogni caso accogliere nella chevrà solamente coloro che mostrano di avere un buon carattere 6 . Il Maghen Avraham 7 scrive di un misheberakh particolare che si recitava per benedire i membri della confraternita. I registri della chevrà qaddishà delle varie comunità sono un'importante documento storico, perché oltre agli incarichi interni alla chevrà, spesso erano contenute le disposizioni generali delle comunità. Da questi testi apprendiamo poi gli usi di ciascuna Chevrà qaddishà, ed è quanto mai opportuno ricordare che si deve evitare di modificare gli usi di una determinata chevrà, anche se possono sembrare singolari, perché potrebbe sembrare una forma di disprezzo dei defunti che sono stati sepolti in precedenza, seguendo altre usanze 8 . Fra le regole che compaiono più spesso vi sono: a) i capi della comunità non possono intervenire per modificare le decisioni della chevrà qaddishà; b) la chevrà può pretendere di operare a pagamento, qualora chi l'ha chiamata avesse la possibilità di sostenere economicamente la chevràh e non lo aveva fatto precedentemente; c) che la
Viene riportato l'elenco faunistico della coleotterofauna saproxilobionte monitorata nell'ambito del Progetto di ricerca "Misure di conservazione dei Siti Natura 2000" del Parco Nazionale della Sila, avviato dall'Ente Parco nel 2009, in collaborazione con l'Università della Calabria. Sono state censite 35 specie di coleotteri, alcune delle quale di particolare pregio naturalistico e conservazionistico, protette da normative a livello europeo. Tra gli elementi di particolare interesse ecologico, si segnala la presenza di Cucujus spp le cui ultime segnalazioni in Calabria risalgono all'inizio del ventesimo secolo. I dati di raccolta, sottoposti ad analisi statistica qualitativa, forniscono una chiara correlazione tra la distribuzione spaziale e temporale delle popolazioni di coleotteri saproxilobionti e la struttura del soprassuolo forestale assoggettato a differenti gestioni selvicolturali nel corso dell'ultimo secolo in Sila.
Sefer Yuhasin, 2013
Starting from the translation of a piyyut by Zevadyah, “A Groom’s Yozer”, this paper aims to provide some background informations about this otherwise unknown paytan. Linguistic and thematic clues suggest that Zevadyah was a paytan from southern Italy, because his piyyutim show similar features to those by Amittay ben Shefatyah. Moreover, it seems that Zevadyah’s work was used by Amittay as a source for his own piyyutim. The author then suggests that the former lived in Oria in the first half of the 9th century.
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Giorgio Agamben (ed.), "Angeli. Ebraismo, Cristianesimo, Islam"
Ashtar Sheran - IL DECALOGO ORIGINALE