Quando Ezzelino III da Romano entra pacificamente in Padova il 25 febbraio 1237 insieme al nunzio imperiale Gaboardo di Arnstein bacia la porta della cinta muraria. Molti sperano che il gesto sia il segnale della fine di almeno un trentennio di scontri più o meno cruenti tra le grandi famiglie di domini loci fra di loro, con e tra i comuni della Marca Trevigiana. Il comune più ricco e più importante si è consegnato, non tanto al potente di una famiglia egemone che molte rocche e castelli possiede ai confini del districtus, quanto all'Impero e a Federico II. Ma le speranze altro non sono che illusioni: dapprima il più possibile mascherata con maliziosa cautela, poi spacciata come giusta punizione per i traditori dell'impero e infine esibita, enfatizzata ed applicata anche a quelli che erano un tempo sostenitori, la violenza cresce progressivamente fino ad un parossismo di terrore brutale e indiscriminato. Ezzelino morirà, sconfitto, nel 1259 e suo fratello Alberico verrà spazzato via l'anno successivo: sui potenti da Romano, eredi di Ecelo, miles ab uno equo 1 , cala il sipario. Quali sono state le tappe dall'inizio del secolo alla presa di Padova da parte dei crociati nel 1256 di questo progressivo incremento della violenza nella Marca? A quali logiche si ispira, con quali modalità e per quali scopi l'uso della violenza e del terrore si fa strumento nelle mani di Ezzelino? Quale è la reazione, anche ideologica, e quali le riflessioni il tiranno sanguinario susciterà ben oltre la sua morte?