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1999, Articolo su rivista ("L'asino di B.")
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Carlo Cecchi: funambolo della scena italiana costituisce, anzitutto, l’unica monografia prodotta su l’attore fiorentino, regista e maestro d’arte drammatica del teatro italiano. Il libro ricostruisce la vicenda artistica dell’attore al fine di ritagliare due atteggiamenti caratterizzanti la sua relazione con la scena: il personale percorso di formazione e le modalità del lavoro di formatore: L’apprendistato e il magistero. Firenze si appropria, nelle maglie di questo studio, di una centralità particolare: da patria abbandonata e rinnegata a isola volutamente ritrovata, nella quale l’attore-regista vive una delle fasi più significative della propria maturità, dirigendo dal 1980 al 1995 il Teatro Niccolini, recentemente riaperto, scuola per una schiera di allievi, attori-protagonisti delle scene di oggi.
1. L’attore nel cinema italiano contemporaneo. Storia, performance, immagine, a cura di Andrea Minuz, Pedro Armocida, Marsilio, Venezia 2016, 2017
sua "identità frantumata, esplosa", per riprendere i termini impiegati da De Marinis nel suo scritto sull'attore postnovecentesco.
Contronarrazioni. Il racconto del potere nella modernità letteraria, 2023
L’articolo propone una riflessione sul rapporto di Emilio Cecchi con il regime fascista, attraverso l’analisi di tre reportage per il «Corriere della Sera». Il primo realizzato in Libia nel 1937 al seguito di Mussolini; il secondo negli Stati Uniti nel 1937-38 (edito successivamente in "America amara"); l’ultimo in visita ufficiale alle colonie portoghesi in Africa nel 1939 (poi in "Appunti per un periplo dell’Africa"). A differenza dei reportage dei viaggi precedenti (in Messico e in Grecia), gli articoli in questione furono scritti su precise indicazioni del direttore del «Corriere» Aldo Borelli, e attestano in tal senso l’adeguamento dell’autore fiorentino alle volontà del MinCulPop. Ci si propone di indagare gli elementi testuali dai quali emerge la scelta di integrazione ideologica al fascismo, specialmente nelle sue declinazioni razziste. Tale esame si concentrerà pertanto sulle principali strategie retoriche impiegate nella rappresentazione del diverso, dell’altro da sé.
Il saggio intende indagare i caratteri e le specificità dei percorsi della prima generazione del Nuovo Teatro italiano nel suo rapporto (complesso e spesso poco messo in luce) con le tradizioni del teatro. Nel momento in cui, come accade nel teatro italiano degli anni Sessanta, un certo progetto di modernità si incrina e altre progettualità (che assimilano anche il dato della crisi, ma non della fine del moderno) vengono elaborate, il concetto di tradizione viene ovviamente ridefinito e rifondato. Centrale è il ragionamento sul concetto di “riscrittura delle tradizioni” che nel Nuovo Teatro della prima generazione s’incontra con il ripensamento della scena e con l’innovazione che caratterizza la ricerca di questi anni. E in ciò l’eredità di teatri come quello del varietà o altre forme dialettali e popolari sono particolarmente significative, per quella modalità di porsi in relazione con le tradizioni del teatro, secondo un procedimento che prevede l’innesto e la contaminazione con culture diverse (popolari e non, italiane e non, teatrali e sempre anche musicali), la riattivazione di tradizioni moriture, il loro capovolgimento parodico . sono stati individuati quattro modelli formali d’attore che ci sono parsi più significativi nella prima fase del Nuovo Teatro, enucleati in rapporto alla funzione che l’attore assume all’interno della scrittura scenica: il (non)attore-artifex; l’attore lirico jazz; l’attore-joueur; l’attore epico-analitico. Ciascun modello è analizzato attraverso un taglio storico che affronta il particolare modus in cui quel modello si è realizzato (investendo così questioni di poetica e di stile) soprattutto in relazione all’eredità interrotta di cui si è detto e al rapporto con le tradizioni altre del teatro. Nell’epilogo, una riflessione sull’ossimoro delle tradizioni che Neiwiller incarna non individua un altro modello, bensì un territorio problematico di ricerca
assegna delle interpretazioni d'attore del Mercante di Venezia di W. Shakespeare a partire da Ernesto Rossi fino a Memo Benassi. Una particolare attenzione è dedicata alla regia di Max Reinhardt alla Biennale di Venezia, nel 1934, protagonisti Memo Benassi e Marta Abba
«Atti e Memorie dell'Accademia Nazionale Virgiliana», N.S., vol. LXXXVI (2018), pp. 323-341, 2019
o. GiArdi, I comici dell'arte perduta. Le compagnie comiche italiane alla fine del secolo XVIII, Roma, Bulzoni 1991, pp. 7-92. 2 Cfr. P. FerrAri, Goldoni e le sue sedici commedie nuove, commedia storica in quattro atti, Modena, Vincenzi 1854; S. Brunetti, Il metateatro in "Goldoni e le sue sedici commedie nuove", «Il Castello di Elsinore», vol. XV, n. 43, 2002, pp. 93-112. Sul tema della fortuna goldoniana nel diciannovesimo secolo si veda il fascicolo monografico di «Biblioteca Teatrale», n. 28, 1992 dedicato all'argomento; in particolare S. roMAGnoli, La fortuna del teatro goldoniano nella critica letteraria ottocentesca. Tracce per un'indagine (ivi, pp. 3-17) e C. AlBerti, Sublimi caratteri, veementi passioni. L'interpretazione goldoniana all'inizio del XIX secolo (ivi, pp. 37-58). Inoltre, cfr. n. MAnGini, La fortuna di Carlo Goldoni e altri saggi goldoniani, Firenze, Le Monnier 1965; S. Ferrone, Carlo Goldoni. Vita, opere, critica, messinscena, Firenze, Sansoni 1993 3 ; M. Pieri (a cura di), Il teatro di Goldoni, Bologna, Il Mulino 1993; S. Ferrone, Il personaggio Goldoni, «Il castello di Elsinore» , n. 17, 1993, pp. 5-12. 7 Cfr. A. BroFFerio, Il vampiro, commedia in cinque atti, manoscritto conservato a Roma, presso la Biblioteca Teatrale del Burcardo, collocazione C.152.05. 8 Per maggiori dettagli sull'argomento si rimanda a S. Brunetti, Il vampiro "domestico" di Angelo Brofferio, in La meraviglia e la paura. Il fantastico nel teatro europeo , a cura di N.
Rielabora ed estende il Begolardo dei Cuadernos e quello della Civetta
Intuizione e forma. André Jolles: vita, opere, posterità. Cahiers d’etudes Italiennes, Filigrana, , 2016
Nel suo saggio su La fiaba nella letteratura occidentale moderna (1922-1923), André Jolles si sofferma lungamente sulle Fiabe teatrali di Carlo Gozzi. La presenza del drammaturgo veneziano nella parabola della «forma» della novella analizzata da Jolles, che ha come punti di riferimento i nomi, certamente meno sorprendenti, di Basile, La Fontaine, Perrault o de Le mille e una notte, non è affatto scontata. Proprio per la natura intrinsecamente diversa di tali Fiabe, il loro autore sembra a prima vista del tutto estraneo alla riflessione sviluppata da Jolles. Quest’ultimo del resto informa il lettore che l’inserzione dell’elemento teatrale nel saggio sulla fiaba è solo in apparenza una deviazione dalla norma costituita da questa specifica «forma». Come spiega dunque il critico olandese il rapporto tra il teatro e la fiaba originariamente intesa? Anzitutto Jolles identifica proprio nel XVIII secolo un momento di svolta del racconto di fate, che inizia a mescolarsi con altri generi letterari. Il mio contributo si propone dunque di analizzare la sintesi concettuale a cui giunge Jolles riguardo al rapporto tra fiaba e teatro nel Settecento. Lo studio condotto da Jolles sulle dieci Fiabe di Gozzi mostra il tentativo di armonizzare dal punto di vista teorico le forze centrifughe rappresentate dall’esotismo dei contes de fées orientali, divenuti via via sempre più popolari e ben noti a Gozzi, con la volontà di quest’ultimo di ridare vita al teatro attraverso la riproposizione della Commedia dell’Arte, in polemica con l’Illuminismo. Il saggio di Jolles termina con un giudizio conciso sul problema della «morale», con cui probabilmente il critico risolve il dubbio iniziale sulla legittimità della contaminazione del racconto di fate, nella dialettica tra questa «forma» e il teatro. In seconda battuta, la mia riflessione cerca di riportare il discorso di Jolles all’ambito degli studi sulla figura e l’opera di Carlo Gozzi. L’interesse del critico olandese per il drammaturgo veneziano appare infatti piuttosto anomalo, soprattutto se si considera la grande fortuna del suo antagonista Carlo Goldoni, a cui si deve come è noto la riforma del teatro italiano del Settecento. Ci si può dunque chiedere se e quale influenza abbia avuto il saggio di Jolles sulla critica letteraria successiva interessata alla drammaturgia del XVIII secolo: un punto decisivo, questo, che costituisce il punto di partenza di uno studio successivo dedicato all’analisi della ricezione delle teorie di Jolles a proposito della dialettica fra teatro e fiaba.
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Storie interrotte. Riconoscere e valorizzare il patrimonio dimenticato, eds. Veronica Gallo, Marta Previti, Clelia Sbrolli, Gabriele Taschetti, Luca Zamparo, 2022
''Per Lodovico Dolce. Miscellanea di studi, I. Passioni e competenze del letterato', a cura di Paolo Marini e Paolo Procaccioli, Vecchiarelli, Manziana (2016), pp. 217-243
in «LO STATO DELLE COSE», a cura di Giorgio Tinazzi, Kaplan., 2012
La letteratura italiana del Settecento e dell'Ottocento. La ricerca delle giovani studiose e dei giovani studiosi , 2025
AA. VV., Paolo Portoghesi/Disegni, 1977
“Anglistica Pisana”, XIV, 1-2, Atti del convegno Conrad in Italia, 22-23 giugno 2017, a c. di R. Ambrosini e R. Capoferro, Roma, Università di Roma Tre (pubbl. 2019), pp. 71-78., 2019
Drammaturgia (Firenze University Press), 2023
in «Filosofia italiana» XIX (2024), n. 1, numero monografico: "Il pensiero tragico nel Novecento italiano", a cura di L. Boi ed E.C. Corriero, pp. 101-115; ISSN: 2611-3392; ISSN digitale: 2611-2892, 2024
Idee, 2009
Claudio Vicentini, La teoria della recitazione. Il distacco dell’attore dal personaggio, 2016
"Il castello di elsinore", 2010
Sovrimpressioni e intersezioni. Tra generi, intermedialità e transmedialità, a cura di Federica Barboni, Fatima El Matouni, Giulia Perosa, 2023
Il laudario Illuminati e la "costellazione assisiate", a cura di F. Santucci, G. Scentoni, D. Sini, 2017
Articolo su rivista ("Mimesis Journal"), 2014
Cuadernos de Filología Italiana, 2014