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2013, Monstra. Costruzione e Percezione delle Entità Ibride e Mostruose nel Mediterraneo Antico
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Antropomorfismo e teriomorfismo hanno dato vita a forme ibride uomo-animale che giocano un ruolo centrale nell'iconografia divina egizia. L'animalità è solo una delle forme che la divinità assume per manifestarsi sulla terra all'umanità poiché solo la molteplicità delle rappresentazioni e delle combinazioni consente di determinare meglio la natura di un'entità divina altrimenti nascosta e sfuggente. Nella conseguente costruzione del carattere teratomorfo della divinità egizia l'animale era considerato dunque una vera e propria epifania delle divinità e non una sua semplice rappresentazione. Gli animali considerati sacri e oggetti di culto erano di conseguenza manifestazioni degli dei. Partendo da queste considerazioni ciò che la natura ha voluto esprimere in esseri umani caratterizzati da particolari patologie considerate “mostruose” e dunque pericolose in contesti diversi, nell'antico Egitto non solo era accettato, ma veniva interpretato in senso positivo. I casi di malformazioni non erano rari nell'antichità, il ritrovamento di alcune mummie e le rappresentazioni artistiche confermano la presenza di casi del genere ma questi non venivano nascosti o ignorati, il deforme era considerato degno di rispetto e schernirlo non era visto di buon occhio. Questo perché la deformità era vista come un marchio lasciato dalla divinità che poteva elevare chi ne era affetto fino ai più alti gradi della sfera sociale e dei contesti magico-ritualistici. L'associazione con divinità come Ptah e Bes, e la convinzione che il deforme avesse poteri apotropaici e garantisse fertilità spiega perché all'interno delle tombe la presenza di amuleti dalle forme ibride e mostruose fosse così frequente. Attraverso l'analisi di testi e rappresentazioni è possibile evidenziare i punti comuni che la mostruosità umana aveva con quella divina e il suo conseguente simbolismo nella religione egizia.
Atti del workshop "Medicina e dintorni", Università di Bologna, 11-12 maggio 2012, pp. 22-3, in «Janus», 6, 2012
Per gli antichi egizi l’uomo non soltanto “aveva un corpo”, ma, al contempo, “era un corpo”.
2015
This was my bachelor thesis (2015) and it has to do with the religion under the Roman Empire, seen from Diodoro's and Plutarch's points of view.
L'Antico Egitto si sviluppò lungo le rive ed il delta del Nilo fra il 3300 a.C. circa ed il 343 a.C., anno in cui perse la propria indipendenza ad opera dei Persiani. Ma la cultura egiziana continuò a vivere, sino a dissolversi completamente col dominio romano. Ogni civiltà costruisce per se una particolare concezione della realtà, adattandola e modellandola ad esigenze ed interessi propri. Nel corso dei millenni gli egiziani si sono circondati di divinità. Il gran numero degli edifici di culto eretti nella Valle del Nilo, sono la testimonianza di una civiltà profondamente permeata di valori religiosi. Inizialmente molte divinità erano venerate in aree geografiche circoscritte, spesso soltanto villaggi. In seguito si diffusero per tutto il territorio imperiale, mutando, in alcuni casi, la loro originaria immagine. Nel 2400 a.C. circa il grande trattato di pace di Ramses II con gli Ittiti parla di "mille dei" dell'Egitto e di Hatti. È certamente un numero "enfatizzato". In termini reali sono state enumerate circa ottanta divinità. Nell'antichità usi, costumi e tradizioni egizie godevano di fama ed interesse in tutta l'area mediterranea. Plutarco, Strabone, Erodoto, Diodoro Siculo e Platone compirono una serie di viaggi in Egitto testimoniando con i loro scritti la singolarità di quella terra. Secondo Erodoto gli Egiziani "sono straordinariamente devoti, più di tutti gli uomini". La gestione degli Dèi e dei templi era affidata al clero, costituito da sacerdoti e sacerdotesse. Così come a Roma, riti e culti della religione politeista risultavano finalizzati al conseguimento ed alla conservazione della "pax deorum" ("pace degli Dèi" da intendere nel senso di "pace con gli Dèi"), anche in Egitto le funzioni sacre in onore degli Dèi, avevano lo scopo di attrarre la benevolenza divina sulle vicende umane.
Baglioni, I. (ed) Ascoltare gli Dei/Divos audire. Costruzione e percezione della dimensione sonora nelle religioni del Mediterraneo antico. Atti del III Convengo nazionale sulle religioni del Mediterraneo antico, Velletri 11-15 giugno 2013. Vol. I, Edizioni Quasar. Roma. 2015, pp. 23-36., 2015
Nell’antico Egitto la lamentazione è uno dei momenti fondamentali del rituale funebre, soprattutto perché è mirato alla rievocazione del pianto divino di Iside e Nefti (in alcuni casi ad esse si aggiungono altre divinità sia maschili che femminili) e dunque del mito di Osiride. Le due dee, protagoniste di veri e propri testi di lamentazioni, addolorate per la morte del fratello, lo piangono a gran voce. Le fonti raccontano di come esse, trasformatesi in due nibbi, si siano poggiate sul corpo di Osiride e lo abbiano pianto intonando una canzone lugubre. Per questo motivo spesso il verso dei due uccelli veniva ad evocare la voce delle dee al capezzale di Osiride. In particolare è la voce di Iside ad aver maggiore risalto all’interno delle varie versioni del mito. Il suo grido di dolore viene riportato in vari testi in termini più o meno drammatici, così forte da giungere fino in cielo. Anche Plutarco nella sua opera Iside e Osiride descrive il grido di Iside tanto straziante da uccidere uno dei figli del re di Biblo. La voce di Iside è evocata anche dal sistro, strumento musicale composto da lamelle metalliche che secondo l’immaginario egiziano riproducevano il lamento funebre. Lo stesso nome dato allo strumento, sSSt, è onomatopeico e rimanda al suo suono. Attraverso il sistro la voce di Iside riecheggia durante le celebrazioni funebri. Le lamentazioni divine segnano il momento di passaggio tra la morte e la resurrezione ed è per questo che esse vengono ritualizzate e interpretate all’interno dei templi per rievocare la morte di Osiride. Durante queste “recite” Iside e Nefti vengono incarnate da due sacerdotesse che, come fecero le due dee in tempi mitologici, si lamentano a gran voce. Lo stesso avviene durante i cortei funebri dove gruppi di lamentatrici interpretano ritualmente ‘il pianto’ per il defunto affinché esso risorga come Osiride. Attraverso l’analisi filologica dei testi letterari egizi e con l’ausilio della rappresentazione artistica si intende sottolineare come, partendo dalla sfera divina, il grido di dolore degli dei si inserisca all’interno del lamento funebre, momento di passaggio imprescindibile per la resurrezione e di conseguenza ritualizzato. La rievocazione delle voci delle divinità era volta non solo a ricordare il mito ma anche a beneficiare del loro potere.
2016
L’arte e la letteratura dell’antico Egitto esprimono la visione del mondo, fortemente idealizzata, propria della classe dominante ma, essendo quella quasi esclusivamente maschile, sessualmente connotata. L’idea di bellezza fisica coltivata dalle elite maschili presenta sin dalle origini le caratteristiche di una eterna perfezione giovanile e, insieme, una rigida differenziazione di genere: l’ideale di bellezza femminile e sensuale, erotico, connesso ad un modello biologico di fertilita e atto a suscitare il desiderio maschile; viceversa l’immagine che l’uomo vuole trasmettere di se irradia potere e capacita di soggiogare. I testi fanno da perfetta eco a questo ideale estetico. Solo con il regno della regina Hatshepsut (1479 -1458/57 a.C.), usurpatrice della carica regale, che la mitologia e l’ideologia faraonica assegnavano solo ad uomini, fa l’ingresso nell’arte egiziana un ideale di bellezza nuovo, improntato ad un modello di adolescenziale giovinezza in cui i tratti di genere son...
Figura 1: I figli di Ramesse II presentano al tempio bouquets di fiori di loto Tempio di Luxor, prima corte. XIX dinastia. (Foto di Costanza Ficorella)
Studi Cattolici 590 (2010)
The importance of oratory in ancient Egyptian literature
Name and Naming. Proceedings of the Fourth International Conference on Onomastics "Sacred and Profane in Onomastics" (Baia Mare, September 5-7, 2017), edited by Oliviu Felecan, Cluj Napoca: Editura Mega / Editura Argonaut, 2017
The papyri from Graeco-Roman Egypt provide, among numerous historical and social data, invaluable information about the linguistic context of a deeply multilingual society, where especially Egyptian (Demotic) and Greek (Hellenistic Koine of everyday use) intertwine to each other in a dialectic relationship rich of interesting causes for reflection. Papyrological sources offer indeed an interesting bulk of information related to local place names, which show sacred (connected to the Egyptian gods) and profane elements, often varying according to the Greek or Egyptian utterance of the same name. The paper outlines some general trends by presenting a selection of relevant cases.
2016
L´articolo tratta della bellezza nell’Antico Testamento e dei diversi termini in esso usati per descriverla, tanto in riferimento alla donna quanto all’uomo. Al centro dell’indagine non sta tanto la bellezza come qualita esteriore, ma la funzione che questa puo svolgere. Viene affrontata anche la problematica della pericolosita della bellezza – sia per quel che concerne gli uomini che, soprattutto, per quel che riguarda le donne. Ci si occupa infine di cosa si intenda nella Bibbia per vita bella: una vita in cui ci si senta appagati, anche materialmente, e al tempo stesso si possa godere appieno della bellezza divina.
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I grani duri siciliani, a cura di N. Nocilla e G. Silvestri, ed. Kalòs, Palermo, 2018
Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma cxxiv -n.s. XXXIII, pp. 53-63., 2023
MEDICO, MALATTIA E SOCIETÀ Testi e contesti tra mondo antico e mondo moderno, 2024
in I MUTEVOLI VOLTI DEL POTERE Essenza ed espressione del potere: Linguaggi, luoghi e spazi, funzioni, simboli e rappresentazioni a cura di Gian Maria Di Nocera, 2021
Il Futuro nell’Archeologia. Il Contributo dei Giovani Ricercatori: Atti del IV Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi, Tuscania (VT), 12-15 Maggio 2011, ed. G. Guarducci and S. Valentini. Rome: Scienze e Lettere, 2012