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IL PROBLEMA STORICO DELLE FOIBE1. Le foibe: di cosa stiamo parlando Era per fatti come questo che le foibe, piccole o grandi che fossero, emanavano un vapore sottile di pegola e di sventura, quasi che dal loro fondo continuasse a venir su un fumo di zolfo, come nelle fumarole vulcaniche. Con il calore grande dell'estate, quando l'aria tremava sulle rocce e sulle colline, anche adesso chiunque avrebbe giurato che dalla foiba grande uscisse un vapore. Qualcuno sosteneva che dall'inghiottitoio sortisse anche un lungo ansito, in qualche modo, prevalentemente nei mesi del freddo, quasi che le foibe fossero polmoni della terra, che generassero respiri emessi da un dinosauro antidiluviano, sepolto vivo lì sotto 1. Se ne è fatto un gran parlare ma senza sapere bene quale sia il vero oggetto storico sotteso al comune discorrere. In anni recenti una parola ha assunto un significato denso ed evocativo per una intera società, quella italiana e, pur tuttavia, non chiaro né condiviso. Intorno alla parola stessa, apparentemente oscura come i fatti che richiama, si è ingenerata una battaglia politica, ancora non conclusasi. Nell'intendimento, per parte di chi l'ha condotta, di recuperare alla cognizione collettiva una memoria che si voleva appannata; ma anche di usarla come strumento di lotta politica. Si è ripetutamente detto, in più sedi, che la storia è pubblica per definizione e il contestarne il suo uso collettivo è, in fondo, un non senso. Il problema, quindi, non è l'uso, il ricorso ad essa, ma il suo abuso. Ma fermiamoci a questa iniziale considerazione poiché bisogna prima di tutto dire, pronunciare la parola per poi definire quel che, intorno al fenomeno storico che essa esprime, si è articolato nel passato e si manifesta nel presente. Ovvero quanto è veramente successo e che cosa di ciò – e, soprattutto, come – oggi preserviamo ricordo. Il termine in questione è quello di «foiba», più comunemente e preferibilmente usato al suo plurale, «foibe» per l'appunto. Termine mutuato e recepito dal linguaggio, in sé asettico e neutro, delle scienze della terra. La parola deriva dal latino fověa, letteralmente «fossa». Si tratta di caverne a grande sviluppo verticale, presenti in tutto il territorio che va dal Carso goriziano e triestino alla Carniola Interna e all'Istria, con una disposizione a pozzo, alcune a imbuto rovesciato, altre ad imbuto regolare. Sono quindi insenature naturali, inghiottitoi che precipitano per decine di metri, se non più. All'apice si presentano come fenditure, frequentemente non visibili o identificabili ad occhio umano se non attraverso una attenta ricerca. L'ingresso è infatti coperto da vegetazione locale e, per certi aspetti, almeno da un punto di vista fenomenologico, sembra richiamare i crepacci che si formano nelle grosse agglomerazioni di ghiaccio in alta montagna. Anche se nulla hanno a che fare con questi ultimi, le foibe sembrano condividerne una nascosta pericolosità. Chi non si accerta della loro presenza rischia, in alcuni casi, di caderci dentro. Al fondo di esse si accumulano materiali rocciosi, si formano depositi di scarichi naturali e artificiali o scorrono ruscelli sotterranei. Geologicamente le foibe sono il prodotto di degradazioni, ovvero di trasformazioni del terreno dovute ad un insieme di fenomeni di decomposizione chimica, fisica e meccanica che provocano alterazione, disgregazione e disfacimento delle rocce e dei terreni dai quali deriva una facile erosione. Le foibe sono uno dei più appariscenti fenomeni carsici, voragini naturali di diverse dimensioni. Fin qui il dato nella sua fisicità, nella sua naturale manifestazione. Perché luoghi di tal genere sono divenuti oggetto di controversia politica? La risposta ci è sinteticamente fornita da Tristano Matta, ricercatore triestino: