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Poliphilos Università Salonicco, 2013
Origini del racconto "Argon" (Il sistema periodico)
2019
Le celebrazioni commemorative del primo conflitto mondiale tenutesi lungo tutto il 2018 hanno suscitato vivaci dibattiti in vari paesi europei sul rapporto tra memoria e storia, così come tra memoria e propaganda politica. I temi di tale dibattito non furono estranei alla cultura politica antica e l’elaborazione di patrimoni memoriali in concorrenza con altri partecipò, in specie nella fase successiva alla guerra civile tra mariani e sillani, alla costruzione dell’immaginario storico-politico della nuova classe dirigente, impo-stasi dopo il conflitto, che avrebbe dovuto trarne motivo di stabilizzazione.
Πολύφιλος Poliphilos, 2013
Il mio intervento ha come titolo "Gli antenati di Levi". Spiegheremo adesso anche come mai usiamo non a caso la parola antenati. Ma prima di tutto voglio circoscrivere il mio intervento a una ristretta cerchia di scritti di Levi. In particolar modo mi soffermerò su Argon, il racconto con cui si apre Il Sistema periodico e su due più brevi racconti ad Argon correlati: Il fondaco del nonno e Leggere la vita, due brevi articoli per "La Stampa" raccolti ne L'altrui mestiere che appartengono in qualche modo alla geografia di Argon. Argon-e tutto ciò che attiene al mondo di Argon-è qualche cosa di molto diverso dal resto delle cose che Levi ha scritto. È anche il momento in cui la lunga partita con Italo Calvino arriva a un momento di svolta e forse anche di amichevole rottura. In due lettere, scritte da Calvino intorno a "Il sistema periodico", nonostante il tono amichevolissimo, troviamo un giudizio netto: Argon è assolutamente incompatibile con il resto del libro. Che non dovesse essere messo in posizione di preminenza, subito in apertura di libro, a Calvino pareva indispensabile;se proprio Levi lo voleva mettere, almeno lo mettesse a metà o ancora meglio in fondo, perché Calvino temeva moltissimo una trasformazione di Levi in un "Mario Soldati del positivismo". La definizione preoccupata di Calvino nel '73-'74-epoca alla quale risalgono queste lettere-è questa. In realtà la parola "antenati" che Levi usa nel racconto e negli altri piccoli articoli cui facevo riferimento, e soprattutto nelle lettere a Calvino di quegli anni, erano una sorta di captatio benevolentiae, perché in qualche modo a una sorta di fratello maggiore Levi cercava di spiegare che Argon è a suo modo, in forma concentrata, ristretta, in pochissime pagine-diciotto pagine o poco più-quello avrebbe dovuto essere il suo ciclo degli antenati, il suo modo di raccontare non le storie di baroni rampanti o di cavalieri inesistenti, ma, come dice in Argon, la storia di "savi patriarchi tabaccosi e domestiche regine della casa". Questa è la definizione che viene data e soprattutto in apertura viene ripresa da Calvino l'idea degli antenati-nobili, perché Levi dice in Argon che "ci sono, nell'aria che respiriamo, i cosiddetti gas inerti, e a un certo punto dice "si chiamano anche gas nobili, e qui ci sarebbe da discutere se veramente tutti i nobili siano inerti e tutti gli inerti siano nobili". Su questa raffinata definizione di una nobiltà decaduta si richiama poi l'intero racconto, che
Quaderni d'Italianistica, 2013
ridotti a brandelli, potrebbe di primo acchito sembrare improponibile, ma quando l'indagine si sposta sui territori di linguaggio, visualità e sonorità, il discorso sicuramente cambia: secondo Ferri, la poesia per mantenersi vitale può permettersi solo di giocare su due fronti, il primo, che si identifica con l'operazione di Spatola, "orizzontale, alla conquista di spazialità aperte e materialistiche, essenzialmente formali anche in senso puramente visivo-scritturale", il secondo "verticale, alla ricezione delle sonorità sommesse e sommosse dell'inconscio" del poetare di Porta (12). Due percorsi accomunati, sempre secondo Ferri, da una "cosciente ricerca e la profonda esaltazione della libertà della parola". (13) In complesso i saggi si caratterizzano per una certa brevità che comunque non penalizza il respiro della ricerca degli autori rappresentati. Seguono Testimonianze e Letture, due sezioni permeabili che completano nel loro porsi il percorso critico che le aveva precedute. Nella prima, infatti, non si scade mai nell'aneddoto personale e ogni voce (Gilberto Finzi, Francis Catalano, Stefano Salvi e Gianni Turchetta) recupera o presenta tracce di ricerca tuttora percorribili per un'indagine critica dell'esperienza poetica di Porta. Nella seconda, ritroviamo i testi portiani letti durante il convegno da Patrizia Valduga (Airone) e Maria Pia Quintavalla (Poemetto con la madre), preceduti però, per evitarne la possibile inerzia (è lapalissiano che la pagina non sia capace di rendere gli effetti di una lettura dal vivo, ma sarebbe stato difficile, inoltre, collegare queste poche pagine con il resto delle sezioni del volume), da noterelle critico-introduttive di Giovanni Raboni per L'airone, della stessa Quintavalla per il Poemetto. Il volume si chiude con una quinta sezione, Intervento musicale, che offre il programma sonoro della serata, i sei testi musicati (Galleria Monte lungo, poesia: vaso rotondo, agonia di una lucertola, lo specchio che hai fissato, brivido, piacere danzabile e Furto di Primavera) accompagnati dai nomi delle voci recitanti, lo spartito musicale per Agonia di una lucertola e un intervento finale di Giuliano zosi, musicista e compositore della serata: Note a margine di un'esperienza creativa. E proprio le considerazioni del musicista romano si rivelano la vera chicca di questo volume, capaci come sono di portarci all'interno del processo creativo che comporta il musicar poesie, le scelte da farsi e le ragioni dietro a quelle: per ogni testo un percorso preciso, comune nella scelta di fondo ("L'idea di base fu che ogni testo dovesse precedere la musica mantenendo la propria autonomia nella lettura, e che la musica dovesse rappresentare una continuazione delle parole del testo, una specie di coda," 69) ma allo stesso tempo differente, per riuscire a cogliere le sfumature e le suggestioni peculiari ad ognuno dei testi.
O. Piccolo, La collezione dispersa. La collezione Cagnola prima e dopo l'asta Geri del 1916, 2023
La collezione dispersa La ricerca ha avuto origine dal fortunato ritrovamento di alcuni esemplari postillati del catalogo della prima asta milanese (1916) di Alfredo Geri, l'antiquario fiorentino divenuto celebre per avere contribuito alla restituzione al Louvre della Gioconda di Leonardo, dopo il furto del 1911. L'incanto era relativo alla collezione di un «eminente patrizio bergamasco» che viene ora identificato in Costanzo Cagnola (1867-1925), cugino del più noto Guido (1861-1954), l'animatore della raccolta ancora oggi custodita nella Villa Cagnola di Gazzada (Varese). Avvocato-imprenditore, ricordato come «scapestrato, bugiardo e simpatico», Costanzo fu costretto a vendere la collezione che aveva raccolto dalla famiglia e dai Lattuada di Casatenovo (Lecco), parenti da parte della moglie. La dispersione inizia con l'alienazione, nel 1912, al banchiere e filantropo americano John Pierpont Morgan di quasi tutti i rilievi della bottega degli Embriachi provenienti dalla Certosa di Pavia e ora al Metropolitan Museum di New York. Nel volume si seguono le tracce di alcune delle opere più rilevanti della collezione, quasi tutte conservate nella dimora milanese di Costanzo, il Palazzo Stampa di Soncino Borgazzi, e-in seguito all'asta e passaggi successivi-confluite in raccolte private o musei internazionali. Tasselli per riannodare le fila di un considerevole episodio di collezionismo lombardo tra Otto-Novecento, rimasto sino ad oggi inesplorato.
in den Historien Herodots (Classica et Orientalia). Wiesbaden: Harrassowitz, . Pp. xiv + . Hardcover, € . . ISBN ----.
Pittori ad Ancona nel Quattrocento, 2008
Se il panorama del Quattrocento ad Ancona si presenta per larghi tratti lacunoso, dei decenni che immediatamente precedettero gli esordi, intorno al 1390, di Olivuccio di Ceccarello, si può dire che quasi non rimanga traccia. Rari documenti ci tramandano la memoria della presenza di pittori forestieri. Il 13 novembre 1377, a Bologna, ser Francesco del fu Deolao de' Bruni agisce come procuratore di suo fratello, il pittore Andrea allora abitante ad Ancona 1 . Andrea de' Bruni, che Roberto Longhi per primo distinse dall'Andrea da Bologna (Andrea de' Bartoli) autore degli affreschi della cappella Albornoz nella Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi 2 , firmò due opere tuttora conservate nelle Marche, a sud di Ancona. La più antica è un polittico per le monache benedettine di Santa Caterina a Fermo, oggi nella Pinacoteca Civica, datato 1369 3 ( ), caratterizzato dalla singolare presenza -intorno alla Madonna, alla santa titolare e alle monache presentate da san Benedetto e da un altro benedettino (Bruno?) 4 -di due cicli dedicati ai due Giovanni, il battista e l'evangelista, forse in omaggio a Bongiovanni da Piacenza, accolito del cardinale Albornoz che fu vescovo di Fermo dal 1349 al 1363 e nel 1359 fece testamento "in favorem monialium S. Catharinae" 5 . La seconda opera è una Madonna dell'Umiltà per la chiesa di Sant'Agostino di Corridonia, ora nella Pinacoteca parrocchiale, che reca la data 1372 6 ( ). Attestato nella sua città nel 1357, quando fa da testimone in un atto riguardante il suo probabile maestro Vitale da Bologna 7 , Andrea potrebbe essersi trasferito nelle Marche al seguito del cardinale Albornoz intorno al 1360 8 . Da Ancona avrà spedito le opere di Corridonia e Fermo, da Ancona si sarà spostato verso la vicina Osimo, dove rimangono i bellissimi frammenti di affreschi con l'Incoronazione della Vergine ( ) e il Giudizio Universale (figg. 4-5) staccati dal monastero all'epoca benedettino di San Niccolò e conservati nel Museo Civico, che Daniele Benati ha datato agli anni successivi alla tavola di Corridonia 9 . In assenza di qualsiasi traccia delle pitture che Andrea possa aver lasciato in Ancona, si può segnalare che esisteva in questa città la sottoscrizione d'un altro artista probabilmente derivata dalla formula metrica che il bolognese amava usare, "De Bononia natus Andreas fuit hic operatus". In San Ciriaco si trovava infatti, secondo la testimonianza del Pichi Tancredi, quest'epigrafe:
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Scienze dell’antichità. Storia archeologia antropologia , 2008
Atti del XX convegno di studi Scienza e beni culturali Architettura e materiali del Novecento, 2004
Alessandro Anselmi Frammenti di Futuro, 2015
Letteratura e conflitti generazionali Dall'antichità classica a oggi A cura di Davide Susanetti e Nuala Distilo, 2013
P.O. Rossi, "Frammenti del mantello di Gea", in: Marini S., Bertagna A., Menzietti G. (a cura), "Memorabilia. Nel paese delle ultime cose", Aracne, Roma 2015, pp. 239-246
Questione giustizia FAMIGLIE E INDIVIDUI. , 2019
Frammenti di Storia.Materiali lapidei dell'età moderna nelle collezioni dell'ex museo civico, 2016