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Ecologia della vita come corrispondenza

2017, Mimesis

Abstract

Questo saggio è un esperimento. Vuole essere una cornice che restituisce alcuni frammenti, i “miei”, in parte inediti e “nuovi”, in parte già condivisi nel tempo e nello spazio di tutti, nello spazio comune, lo spazio sociale, al movimento di una coerenza attraverso la spoliazione del senso. Spogliare il senso significa denudarlo, metterlo a terra senza trampoli e orpelli. E quale sarebbe la consistenza di questa coerenza? Forse il fatto di essere la “mia”? Se ci fosse qualcosa del genere, l’operazione risulterebbe sbiadita. Non c’è proprietà, tutto entra in un flusso di corrispondenze, in una spirale continua. Questa coerenza è da intendersi come comprensione di un fluire nel quale tutto è legato, come un albero genealogico le cui radici si perdono nell’infinito del cosmo. Un’idea simile, forse con diversi intenti, era già per esempio quella di Spoerri coi suoi quadri trappola: prendere i resti e gli avanzi dei pasti consumati ed esperiti per fissarli poi su tela e renderli così fissi, in un’illusione di eterno. In realtà, si può vedere la cosa anche a rovescio: questa fissità si origina dall’astrazione che prende il flusso e lo osserva bloccandolo. Di fatto, tutto questo è qualcosa di ovvio, nel pensiero taoista e anche in Eraclito. E il pensiero frammentato e inframezzato al biografico – in ogni ambito, anche quello saggistico e filosofico, da Montaigne a Wittgenstein, per ricordare solo due autori su cui mi sono formato e a cui sono stato particolarmente intrecciato – non è certo qualcosa di inedito. Il punto, però, è se ci è utile, adesso, vederla così: mi pare che la frammentazione sia la cifra di questa realtà così collegata, e che sia possibile e fecondo attraversarla tentando di tracciare – costruendone e ricostruendone – linee intrecciate e coerenti dove il senso si spoglia di ogni irrigidimento. Scrivere appunti sul mezzo più triviale che c’è – secondo l’estetica intellettuale delle idee da piazzare sul trono – e poi distribuirli, come su tela, sul supporto cartaceo, qualcosa che “dura” (naturalmente non dura, forse dura meno di Internet). La scommessa che faccio, che facciamo – giacché le immagini qui proposte sono frutto di processi comuni – è che questa inversione di prospettiva sia utile. E che qualcosa possa arrivare, fornendo un piccolo contributo alla coltivazione di sé come compito, come responsabilità, al fine di una consapevolezza più alta del nostro abitare il mondo che percepiamo. L’obiettivo è quello di diventare più umani. Non: restare umani, ma diventarlo, come compito, a ogni tratto di più.