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La religione degli ebrei in Italia

Abstract

Partecipare a una funzione in una sinagoga in Italia nel 2011 costituisce di per sé un'esperienza formativa emozionante, ma anche particolarmente complessa da interpretare. Non è dato in effetti di assistere a rituali omologhi, standardizzati, se non nelle loro parti essenziali, mentre l'occasionale visitatore potrà facilmente notare differenze anche importanti su svariati livelli. Intanto il nome: in Italia si può andare a «Scola», ci si può recare in «Tempio», oppure al «Beth haKenesseth». Si tratta dello stesso luogo, ma lo si intende con diversi accenti e vi si entra con differenti aspettative. Si può poi assistere a una funzione asciutta, con canti e musicalità ridotte al minimo in un ambiente raccolto, oppure ci si può trovare in un ambiente monumentale, con cori solenni e rabbini vestiti di paramenti particolari, a rappresentare una coreografia di grande solennità; o ancora, ci si trova in un ambiente dove domina apparentemente la confusione, e dove ognuno sembra pregare un po' per conto suo senza un ordine definito e seguendo movimenti del tutto personali. C'è poi il caso, negli ultimi anni, di poter assistere a funzioni in cui alla dominante lingua ebraica si sono sostituiti alcuni brani in italiano, introdotti nelle funzioni riformate in cui si propone anche la compresenza delle donne (che tuttavia nei decenni scorsi in gran parte delle sinagoghe ortodosse era un dato acquisito nei momenti della solenne benedizione sacerdotale nelle grandi feste). In pratica, non c'è omogeneità.