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2008
Come la provincia di Pesaro e Urbino visse l'adesione alla prima guerra mondiale
La Grande Guerra coinvolse, come mai nella storia, l'intero fronte interno. La popolazione italiana si trovò immersa nel racconto della guerra attraverso la narrazione dei giornali. Questi divennero gli assoluti protagonisti, in un'epoca in cui la crescente richiesta di informazioni si sposò con l'esigenza dei governi di controllare le notizie attraverso la censura. Agli inizi del '900 l'industria della carta era assai fiorente, non stupisce quindi che prima dell'ingresso in guerra erano numerose le testate giornalistiche locali. Attraverso l'analisi del "Corriere Valsesiano" si può leggere come le problematiche locali fossero simili e strettamente legate a quelle nazionali. Interessante il caso del "Corriere Valsesiano" perché fu l'unico a non dover chiudere i battenti e che a differenza dei giornali concorrenti subì una censura minore.
CSA - Casa Editrice Università La Sapienza, 2017
A summary of the items published by the magazine "Nyugat" about pangermanism, panlsavism and turanism during the first year of WWI (1914-1915
2021
Nunziatella Military School of Naples is the most ancient and prestigious institute of military training in Italy. Among its alumni, there are hundreds of highest ranks of Italian Armed Forces and even a King of Italy. During the Great War, it gave to Italian Royal Army 76 generals, some of which - Antonino Di Giorgio, Giuseppe Pennella, Federico Baistrocchi, Alberto Pollio - had prominent roles in the preparation and in the aftermath of the war. This is the first and most detailed study about them, covering an important part of the biographical profile of Italian military leadership.
Calicesi alla Grande Guerra , 2018
Estratto con elenco dei partecipanti alla Grande Guerra
Episodi della guerra di mine sulla fronte italiana. La storia delle grandi mine terrestri narrata per la prima volta - Di Amedeo Tosti, A. Mondadori 1935
Il servizio religioso nell'esercito italiano alla vigilia della guerra I cappellani tra il 1865 e il 1878 erano stati gradualmente esentati dal servizio, con la motivazione delle necessità di economie di bilancio. Il servizio religioso venne mantenuto solo negli ospedali territoriali e in caso di mobilitazione si prevedeva un diffuso impiego di cappellani militari come ecclesiastici nelle sezioni di sanità,negli ospedali di campo e ospedali militari in genere. Il clero secolare in più doveva adempiere alla leva militare come prescritto da ogni cittadino senza distinzioni di trattamento. Nel 1911 dopo la decisione di intraprendere l'avventura coloniale libica molti sacerdoti chiesero la nomina a cappellani, conformemente al regolamento per la mobilitazione i cappellani militari non furono che una ventina. L'episodio fu però salutato con favore dalla Chiesa cattolica la quale era stata critica per l'assenza di cappellani nell'avventura coloniale precedente alla fine del XIX secolo . Ma nella circolare di Cadorna, sull'argomento del 12 aprile 1915, si può leggere anche il consapevole primo atto del Comando supremo, tendente a privilegiare e favorire l'attività dei cappellani, in quanto fattore morale sulla comune base religiosa e spirito di disciplinamento tra le truppe, oltre al rafforzamento del senso del dovere nei soldati. Molti ufficiali superiori infatti, a differenza di quelli inferiori, durante la guerra, accolsero con favore i cappellani, probabilmente proprio per diffondere nei soldati, attraverso il servizio religioso, uno spirito disciplinato e docile al compimento del dovere più che a un intimo convincimento della loro utilità; inoltre lo testimoniano le innumerevoli celebrazioni religioso-patriottico-militari. Proprio per questo motivo non furono ammessi solo sacerdoti cattolici ma anche evangelici valdesi, battisti e rabbini. Mentre si provvedeva alla prima organizzazione del servizio religioso nell'esercito sulla base delle direttive di Cadorna, la Santa Sede si preoccupava di intervenire perché il corpo dei cappellani potesse inscriversi all'interno di un ordinamento preciso, frutto della collaborazione tra Chiesa e Stato italiano. Con un decreto della Congregazione Concistoriale del 1 giugno 1915 veniva istituita la figura di vescovo di campo, con giurisdizione su tutti i cappellani allora esistenti nell'esercito italiano, inoltre si ponevano le basi canoniche relative ad un riconoscimento ecclesiastico dei cappellani militari. L'esercito italiano poi riconobbe la figura del vescovo di campo poco dopo, attraverso un decreto del 27 giugno 1915 sull'autorità disciplinare ecclesiastica, decretando che fosse assimilato al grado e al trattamento economico di un maggiore generale e i cappellani a quello di tenente. Il decreto poi definiva con precisione le unità cui dovevano assegnarsi i cappellani militari: ogni reggimento ( in media 3.000 uomini) di fanteria, granatieri, bersaglieri, artiglieria di campagna, ogni reggimento di alpini, di guardie di finanza e dopo la loro creazione anche ogni reggimento di arditi. Il servizio religioso venne pure assicurato agli ospedali di campo, nelle sezioni della sanità, sui treni sanitari, e negli ospedali di riserva nella misura di un cappellano ogni 400 letti. La scelta dei cappellani spettava al vescovo di campo che poi li proponeva per la nomina al ministero della guerra, la scelta non era semplice: si trattava di esaminare una grande quantità di domande che buona parte del clero avente obblighi militari aveva cominciato a inoltrare dall'aprile del 1915, chiaramente veniva esaminata anche condotta, sia ecclesiastica che morale. Gli ecclesiastici militari durante la guerra furono 24.446, di cui circa 15.000 sacerdoti, secondo la stima della Congregazione Concistoriale. Le richieste furono moltissime, sia per sfuggire alla condizione, ritenuta poco consona al sacerdozio, del prete-soldato, sia per il buon trattamento economico che il grado. Le motivazioni delle domande indirizzate agli uffici del vescovo di campo insistevano, da un lato, sul desidero
“L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 4, Maggio-Giugno 2023, 2023
Un crimine partigiano rimasto impunito Molti conoscono l'eccidio di Schio (Vicenza) avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 Luglio 1945, quando una banda di partigiani penetrò nel locale carcere e sfogò il suo odio massacrando barbaramente cinquantaquattro fascisti, "colpevoli" di aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Se, oggi, è possibile parlare di questo crimine contro l'umanità compiuto dagli antifascisti è solo grazie a tutti coloro che, nel corso degli anni, non si sono fatti intimidire ed hanno cercato sempre di ricordare i caduti per mano partigiana. Divieti, provocazioni, aggressioni, minacce, non li hanno mai fermati. Purtroppo, in molti altri luoghi non è stato così e di tante stragi commesse dai partigiani dopo la fine della guerra, contro innocenti inermi, "colpevoli" solo di essere fascisti o presunti tali, si è persa la memoria storia. Oggi, narreremo della strage del carcere di Cesena, avvenuta nella notte dell'8 Maggio 1945, che anticipa per modalità ed azioni quella tragica di Schio. Quella notte vennero assassinati dagli antifascisti diciassette detenuti politici cui nulla poteva essere addebitato, se non il professare una idea assurta a simbolo del "male assoluto". La guerra a Cesena era finita il 20 Ottobre 1944, quando la città era stata occupata dagli Alleati che avanzavano lungo la dorsale adriatica. Da allora, l'autorità politico-militare della zona era stata assunta dai Britannici, mentre gli antifascisti si preparava-no all'"assalto del potere" e gli ormai onnipresenti partigiani imponevano con la violenza il nuovo ordine "libertario". Molti fascisti cesenati avevano seguito la ritirata al Nord delle truppe italo-tedesche e quelli rimasti in zona vivano il triste periodo della vendetta ingiustificata, dell'odio politico eretto a sistema, della violenza contro gli inermi e gli innocenti. La fine della guerra (2 Maggio 1945) fece affilare agli antifascisti i "coltelli della rivincita" contro tutti coloro che avevano seguito le truppe della RSI al Nord ed ora, alla spicciolata, tornavano a casa, convinti che nessuno, comunque, avrebbe potuto imputargli nulla. Ma non era così. Per il solo fatto di esistere avrebbero dovuto pagare. E avrebbero pagato amaramente quella loro fede, simbolo della cattiva coscienza di tanti cesenati che per un ventennio avevano esaltato il Regime e, nel momento della sconfitta, si erano affrettati a riporre la camicia nera e salire sul "carro del vincitore", cercando nell'odio contro i camerati dei "bei tempi" di rifarsi una verginità politica. L'odio coltivato in mesi e mesi di guerra civile esigeva ora il suo "olocausto".
Il Vercellese e la Grande Guerra
"Il Vercellese e la Grande Guerra", editor Giovanni Ferraris. is published by the Società Storica Vercellese. Here the Preface, that summarizes the contributions of 18 authors, and the Summary is reported. For further information please contact [email protected]
storia di un monumento ad una storia che non ci fu...
2019
En F.A. D'Amelio and G. De Dominicis were the 'tutelary deities' in Salento area and their dialectal poetry was enriched by the poet's creations Silvio G. Vacca (1893-1937) from Surbo, near Lecce the capital of Terra d'Otranto. Vacca thought it was necessary to redesign ideological solicitations, collective emotions and lyrical suggestions, between village and nation, between his Terra d'Otranto and the young Italy. On the eve of the first World War, he wrote an extraordinary little poem, La Uerra noscia (Our War, 1915). In this poem he tried to awaken sentimental memories and love for his country, blocked by the general disappointment of political scandals; he considered the war as the final act of the Risorgimento: the first World War was a 'Great' War, because it was the fourth War of Independence. So the wealthy of his cultural background, his young enthusiasm and his civil and 'national' engagement brought Vacca to a powerful poetry, with...
Domenico Vitale, Alessandra Mastodonato, 2022
A seguito dell' entrata in guerra dell'Italia (1915), le operazioni militari sul confine orientale portarono allo sfollamento di diverse migliaia di civili, un fenomeno che si trasformò in un vero e proprio esodo dopo la rotta di Caporetto (1917), coinvolgendo veneti, trentini e friulani. Questa ricerca ricostruisce-attraverso una ricca e diversificata documentazione archivistica e a stampa e una inedita analisi quantitativa dei dati raccolti-le vicende relative alle migliaia di profughi che giunsero nel Parmense, con l'occhio rivolto ai problemi connessi all'accoglienza, all'organizzazione di una rete territoriale di "colonie", alla non semplice integrazione tra i nuovi arrivati e la società ospitante, alla "questione del ritorno", che in molti casi si prolungò ben oltre la fine della guerra. Particolare attenzione viene, inoltre, riservata al tema della rappresentazione e autorappresentazione dei profughi nella narrazione della stampa locale, in relazione alla propaganda patriottica e alle esigenze di tenuta del fronte interno.
2018
Ricordare è sempre un dovere, e soprattutto lo è quando il ricordo riguarda persone che hanno dato la vita per gli altri, per un ideale, per la Libertà e la Pace.
Recensione del volume di Vincenzo Riccio, "Il diario di un ministro nel primo periodo della Grande Guerra", a cura di Antonio Fiori, prefazione di Nicola Labanca, Roma, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione Generale per gli Archivi di Stato, Archivio Centrale dello Stato 2015, pp. XXXI-411, ill.
Ogni nazione con delle forze armate oppure di polizia organizzate possiede al suo interno dei corpi speciali, meglio organizzati, meglio equipaggiati o comunque considerati d’élite oppure special force...
La guerra italo-abissina del 1895-96 nella stampa illustrata italiana L'articolo analizza la descrizione della guerra Italo-Abissina del 1895-96 nella stampa illustrata italiana, con particolare attenzione ai periodici a dispense, mostrando le diverse posizioni redazionali e offrendo una lettura critica dell'apparato iconografico, particolarmente significativo in questo tipo di pubblicazioni. The Italo-Abyssinian War of 1895-96 in the Italian illustrated press This paper deals with the analysis of the representation of the Italo-Abyssinian War (1895-96) in the Italian illustrated press, with a particular attention to periodical installments showing the different editorial positions and offering a critical reading of the iconographic apparatus particularly significant in this type of warheads.
2019
Vengono qui presentati, in forma compendiata, i risultati di una ricerca – storica e d’archivio - di oltre un quinquennio che ha consentito agli autori di raccogliere i dati biografici e militari relativi agli oltre 200 caduti Carraresi della prima Guerra Mondiale (riguardanti i paesi di Carrara S. Giorgio e Carrara S. Stefano in provincia di Padova, dal 1995 unificati nel nuovo comune di Due Carrare). Le singole schede personali, in forma estesa e completa, saranno trasmesse ai ricercatori previa motivata richiesta agli autori. E’ destinato invece alla prossima pubblicazione da parte di Paolo Valandro il volume “Per non dimenticare. Caduti Carraresi 1915-1918”, che oltre alle schede suddette in forma completa ed alla contestualizzazione dei fatti narrati, contiene anche le schede dei 30 aviatori di stanza nel limitrofo campo di volo di S. Pelagio (1917-1918) caduti nel conflitto, con numerosissime notizie inedite.
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