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AGRIO RUFILIANO e LUSIA QUITA DI TREVICO

Abstract

Tra le numerose testimonianze epigrafiche, di cui si ha memoria o che ancora si conservano a Trevico, ve n'era una giacente, una volta, nella dimora della famiglia Cuoco. Dobbiamo alla solerzia del dotto canonico Andrea Calabrese se oggi ne conosciamo il testo, trasmesso a Mommsen, con il quale era in stretta corrispondenza, nell'anno 1876 1 . L'iscrizione, con molta probabilità, era riportata su una pietra tombale di forma semicilindrica, della fattispecie dell' "arca lucana" 2 , un semplice segnacolo adagiato sul tumulo del defunto, la cui diffusione è ampiamente documentata nella "Regio II" e nelle nostre contrade 3 . Un esemplare del genere lo ritroviamo conservato proprio nella cripta della cattedrale del "tetto dell'Irpinia" 4 . Le parole della lapide di casa Cuoco riportavano i nominativi di Agrio Rufiliano e di Lusia Qui(e)ta: D · M 5 AGRIO · RV FILIANO LVSIA · QVI (sic) TA · CON · B · P La scritta segue il formulario consueto nelle epigrafi tra il I e il IV secolo d.C., con la deferente supplica iniziale rivolta agli Dei Mani, ossia alle anime degli antenati ritenute delle divinità infere minori. Lusia Qui(e)ta, dunque, pose l'epitaffio dedicandolo alla memoria del defunto coniuge benemerito. Il fatto che il destinatario dell'epigrafe, Agrio Rufiliano, sia al caso dativo, e non al nominativo o al genitivo, significa che egli è assimilato di fatto agli dei Mani 6 . Questo particolare, inoltre, serve a circoscrivere la datazione della lapide al II-III secolo d. C., in quanto proprio in quel periodo storico prevale tale casistica. La mancata indicazione della tribù di appartenenza, già in atto in età flavia, diventa comune nel II secolo e si generalizza all'atto della promulgazione della "Constitutio Antoniniana" 7 che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero Romano, ad esclusione dei dediticii 8 e dei liberti che durante la schiavitù avevano subito pene infamanti 9 . Con l'editto di Caracalla, che mirava ad estendere la platea dei contribuenti, l'appartenenza ad una delle tribù in cui era suddivisa la cittadinanza romana con pieno diritto ("cives optimo iure") venne a decadere definitivamente, in quanto fu svuotata di ogni significato giuridico. Anche l'assenza del "praenomen" nell'onomastica del dedicatario conferma che l'età dell'epigrafe non esorbita dal II-III secolo d. C., in quanto, ad iniziare dal II secolo d. C., esso tende a scomparire, sostituito, come nome individuale, dal "cognomen" 10 . Tuttavia, proprio nel corso del II secolo nella classe magnatizia si affermano i cosiddetti poliònimi. Tanti personaggi eminenti assumono il vezzo di moltiplicare i nomi personali in modo inverosimile, per cui non solo si conserva il praenomen ma si aggiunge anche tutta una serie di nomina, cognomina, agnomina desunti persino da avi e proavi 11 . Ma chi poteva essere Agrio Rufiliano? La ipotizzata tipologia della sua pietra tombale ci orienta verso una determinata classe sociale composta in prevalenza di schiavi, liberti o soldati congedati dopo una "honesta missio" 12 . Tuttavia, una disamina attenta dei componenti degli Agrii e dei Rufiliani ci consente di rilevare come molti di essi abbiano perseguito un "cursus honorum" di prestigio, fino ad attingere le massime magistrature nei municipi di residenza o nella stessa Roma. Se, dunque, la gran parte di coloro che recavano quei nominativi era di condizione sociale modesta 13 , taluni personaggi di quelle famiglie denotano uno status economico, sociale e politico di tutto rilievo. La "gens Agria", forse di origine etrusca 14 , è attestata più di frequente nel Lazio, con una cospicua presenza ad Ostia, e nel Sannio. La "familia" apparteneva all'ordine equestre 15 ed alcuni componenti entrarono a far parte del Senato di Roma. Dal I secolo a. C. quella "gens" è documentata proprio nella Regio I, che nella suddivisione augustea comprendeva parte della Campania e del Lazio, anche se la comparsa degli Agrii sulla scena politica e sociale è sicuramente antecedente. Una certa Agria Sueia era una sacerdotessa addetta al culto di Cerere e di Venere 16 . Ben più prestigioso fu il ruolo di Gneo Agrio Pollione, quadrumviro del municipio di Cassino e duumviro "iure dicundo" con il collega Lucio Aufeio Apoteca, con ampia giurisdizione estesa all'amministrazione ed alle finanze di quella località 17 . Ovviamente, una presenza significativa dei componenti di quella "gens" si ha nella Capitale Eterna e nel suo territorio, dove, tra esponenti maschili e femminili di minor conto, su una lapide di marmo frigio, ancorché mutila, è attestato un magistrato, Agrio Sereno 18 . Un altro personaggio insigne, vissuto, con tutta probabilità, nel V secolo d. C., è Giulio Agrio Tarrutenio Marciano, il cui prestigioso "cursus honorum" ci è noto attraverso una iscrizione posta sulla base di una statua a lui decretata dal Senato di Roma e con il consenso del principe. Chi fosse il notabile "clarissimus et inlustrissimus", meritevole di un così alto riconoscimento, emerge a chiare lettere nella epigrafe celebrativa, purtroppo perduta, ma il cui testo è conservato nel "Corpus Inscriptionum Latinarum" 19 . Di animo nobile, fornito di notevole eloquenza e di un alto senso della giustizia, diede prova delle sue eccelse doti nel fiore della gioventù, iniziando la carriera politica come "quaestor candidatus" e "praetor candidatus", per poi conseguire il governatorato della Sicilia e il proconsolato dell'Oriente 20 . Fu, inoltre, prefetto dell'Urbe e contestualmente giudice "sacrarum cognitionum" su delega dell'imperatore in persona, con giurisdizione sui processi di appello 21 . Questo ci fa intendere che doveva godere di grande prestigio presso la massima autorità di Roma, trattandosi di incarico fiduciario. Giulio Agrio Tarrutenio Marciano