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Recension du livre " Les ivoires à Carthage à l'époque punique "
La classe degli athyrmata fenici e punici ha destato l'interesse del mondo degli studi e di quello limitrofo dei collezionisti sia per la complessità degl'influssi che convergono in questo particolare ambito, sia per le modeste dimensioni degli oggetti stessi, che ne hanno sempli-ficato sia il trasporto che la conservazione. A questo proposito è ben noto quanto scritto del Canonico Giovanni Spano (1803-1878), uno dei padri nobili dell'archeologia in Sardegna, che descriveva la forte concentrazione di questi piccoli oggetti spesso rinvenuti fortuitamente lungo i sentieri alla periferia dell'abitato di Sant'Antioco, antica Sulky, dopo la pioggia 1. Inol-tre, l'interesse per questi amuleti, dovuto ai loro molteplici aspetti storico-religiosi, è tale che negli Atenei ove erano gli insegnamenti specifici sulla civiltà fenicia e punica non rare sono state le tesi di laurea assegnate, tra le quali si ricordano quella relativa a una collezione privata sulcitana, assegnata nel 1999 a Debora Martini nell'Università di Urbino, in seguito edita 2 , e quelle che Francesco Bellu, studente dell'Università di Sassari, e Antonio Sechi, all'epoca studente dell'Ateneo pisano, rispettivamente nel 2004 e nel 2006 dedicarono all'argomento degli amuleti fenici e punici dell'antica Sulky 3. In ogni caso, tale interesse anche antiquario non sembra sopito, poiché anche recentemente la stessa categoria di oggetti rinvenuti anche in altri siti è stata sia pure indirettamente oggetto di studio 4. Il nuovo corso degli studi fenici e punici inaugurato, nei primi anni '60 da Sabatino Moscati e concluso nella sua prima parte da un volume, intitolato Problematica della civiltà fenicia, che costituiva un vero e proprio manifesto di questi studi e che riesaminava quanto 1
disciplina delle Chiese, poiché corrispondevano a visioni ecclesiologiche contrastanti. Per un verso la Chiesa veniva raffigurata sul modello di un piccolo ed esclusivo gregge di eletti. Per altro verso si considerava la Chiesa come un popolo di santi e di peccatori, aperta all'accoglienza. Si evidenziarono due polarizzazioni dei vescovi, una rigorista e l'altra lassista, nella persuasione di poter offrire ai peccatori una nuova riconciliazione, un secondo battesimo per il perdono dei peccati e per la reintegrazione nella comunità. Questa possibilità, però, restava un'eccezione e non ripetibile. Testimoni della reiterabilità del perdono battesimale sono: a Roma "Il Pastore" di Erma (apparso intorno al 150) 5 ; a Cartagine il trattato di Tertulliano "De paenitentia" (203) 6 ; in Siria la "Didascalia Apostolorum" (220-230) 7. Seppure con sfumature differenti nella sua applicazione in Oriente e in Occidente, questa fu la prassi penitenziale finché iniziarono le violente persecuzioni contro i cristiani ordinate dagli imperatori Decio (250), Valeriano (257-259), Diocleziano (284-305) e Galerio (305-311). Decio intraprese una politica di restaurazione dell'Impero, per la quale andavano eliminati i pericoli che incombevano sulla sua sicurezza e stabilità, e fra questi erano annoverati i cristiani. Perciò l'imperatore ordinò che fosse compiuto formalmente un atto di culto da tutti i sudditi, una sorta di supplicatio straordinaria per il bene dell'impero. Non obbedire significava incorrere nel crimen di lesa maiestatis punito con la morte; in tal modo, secondo Decio, i cristiani avrebbero abbandonato la propria fede; scopo d'editto non era ottenere dei martiri ma l'apostasia dei cristiani. Diversi episcopi si salvarono fuggendo, fra questi lo stesso Cipriano, mentre a Roma moriva martire papa Fabiano 8. Durante la breve e violenta persecuzione di Decio, fu alto il numero degli apostati. Dopo la sua morte (251), innumerevoli apostati pentiti chiedesero di essere accolti nuovamente nelle comunione. Alcuni di essi avevano bruciato incenso agli idoli (thurificati), altri avevano offerto sacrifici (sacrificati) per ottenere il "libellus", cioè il certificato che attestava d'aver adempiuto all'ordine imperiale. Altri (libellatici), invece, erano entrati in possesso del libello corrompendo i funzionari, ma senza aver compiuto alcun sacrificio né rinnegato la fede. Nelle comunità cristiane si trovavano anche i confessores, coloro che avevano perseverato nella fede, subendo le vessazioni dei persecutori, ma erano sopravvissuti ed ora, forti della testimonianza resa, sostituendosi ai vescovi, rivendicavano il diritto di giudicare e interdire ai lapsi la reintegrazione. A Roma e a Cartagine si fronteggiavano posizioni opposte, che alimentarono un dibattito talora aspro. Nella Chiesa africana si diffondeva il movimento lassista rappresentato da Novato 9 , propenso a favorire il perdono degli apostati, mentre a Roma sia Novaziano 10 che i Montanisti 11 erano contrari ad usare indulgenza nei riguardi dei lapsi. Papa Callisto (217-222) si mostrò moderato e permise la riconciliazione degli
Cartagine. Studi e Ricerche, 2017
The investigations carried out in the Carthaginian tofet since the early years of last century were troubled by water infiltrations. Currently the levels related to IV century b.C. are impractical due to water. The photos have been taken in the 1960s and 1970s.
This paper resumes and completes the understudied topic of the relations among Carthaginians, Italiotes and Italics between the fourth and the third century B.C. The used sources show that the existing relations of philia, emporia and xenologia with the cities and the peoples of Megale Hellas, which has already begun at the time of Dionysius I and Dionysius II of Syracuse, were further strengthened in the second half of the fourth century; they influenced the military strategy of the basileus Agathocles against Brettians in an anti–Punic way. Some sourse also show that the relationship with Carthage still existed at the time of Pyrrhus military expedition in Italy and Sicily; this intervention had not only resulted in a closer link between the Romans and the Carthaginians, but it led, in an unforeseeable way, to an inevitable military encounter.
Le exterae gentes in Valerio Massimo, 2022
The paper aims to examine the role of the Carthaginians in the work of Valerius Maximus: the analysis of the exempla externa related to them shows how they represent an anti-model, a vicious people from whose comparison Rome is valued in its moral, political, military and cultural aspects. The negativity of the Carthaginian example, which finds its highest expression in Hannibal, not only has the function of enhancing, by contrast, the positivity of the Romans’attitudes, but also that of reducing the vicious and negative behaviors found within roman society, showing a greater presence of these vices in the Punic world. For this reason, within the work of Valerius Maximus, the negativity of the Carthaginian behavior, and of Hannibal in particular, is often exaggerated compared to previous sources, so that the contrast with the positive model of Rome is greater.
Corradino Luciani, 2023
Corradino Luciani di Teora (AV) fu allievo (come tanti altri giovani irpini) di Giovanni Bovio, professore di Filosofia del Diritto presso lo stesso Ateneo. E fu proprio in quegli anni che iniziarono a risvegliarsi in lui come in molti altri quelle idee socialiste e di libertà di pensiero. Il primo a parlare di Corradino fu l'amico Ferdinando Cianciulli su il Grido del 7-8 gennaio 1910, in occasione della sua morte: <<Ancora studente partì per l'America fiducioso di poter trovare una società basata su principi di libertà e uguaglianza, invece si ritrovò a fare i conti con discriminazione e sfruttamento. Decise però di restare per dare voce agli umili. … Nel luglio e agosto del 1909 si addossò il faticoso incarico di un lungo viaggio di propaganda per conto del giornale "La Plebe", fondato da Carlo Tresca, che lo presentò al pubblico come conosciutissimo nel giornalismo e stimato dai compagni degli Stati Uniti. E fu sul campo a professare le sue convinzioni in mezzo alle file dei minatori. Quel viaggio gli costò la vita. Subito dopo si ammalò e venne operato di appendicite, senza che però si fosse mai più ristabilito. … Collaborò con vari giornali e riviste,
2014
Simona Feci I Cartari, una famiglia di giuristi nella Roma barocca. Le pagine che seguono costituiscono la prima elaborazione di un'indagine in corso sui giusdicenti della magistrature criminali dello Stato della Chiesa in età barocca. Il tema si collega a una tradizione di ricerca sugli ufficiali degli antichi stati italiani che negli anni Novanta ha conosciuto una stagione molto feconda 1 , ma che poi si è quasi del tutto arrestata malgrado nel frattempo si siano moltiplicati gli studi sull'amministrazione della «giustizia» in età moderna 2. Ritornare sul problema significa arricchire il questionario con ulteriori domande, le quali pongono in relazione due ambiti disciplinari: la storia sociale e la storiografia giuridica 3. Identificare i componenti delle magistrature, infatti, è solo il primo passo per riflettere in modo circostanziato sul profilo del giurista secentesco, lo stylus iudicandi delle magistrature criminali e le innovazioni concettuali che intervengono nella dottrina giuridica durante il XVII secolo 4. Mi pare, questo, un preludio necessario se vogliamo accogliere la suggestione proposta dal progetto ENBaCH e interrogarci sulla pertinenza (e sull'eventuale utilità di una applicazione) del concetto di «barocco» alla cultura giuridica secentesca. Anche una sommaria ricognizione bibliografica rivela che, nella storiografia giuridica, l'aggettivazione 'barocco' è impiegata perlopiù come indicatore cronologico, cioè 1 Sono emblematici i saggi raccolti in Grandi tribunali e rote nell'Italia di Antico regime, a cura di M. SBRICCOLI e A.
La religione dei Fenici d'Oriente, così come quella di Cartagine e delle colonie occidentali, consisteva in un sistema politeistico. Ogni centro cittadino possedeva un proprio pantheon e proprie divinità tutelari, pur nel contesto di una comune tradizione che autorizza a parlare di «religione fenicia». La relativa diversificazione locale dei culti costituiva tuttavia un mezzo di diversificazione culturale, attraverso cui ciascuna città affermava la propria specifica identità. Fonti di conoscenza per la religione fenicia sono le iscrizioni locali (anche se laconiche e ripetitive), importanti anche per gli elementi teofori presenti nell'antroponimia. Gli autori classici forniscono spesso equiparazioni o interpretazioni di dèi fenici in relazione a divinità greche e romane, mentre l'Antico Testamento, documenti egiziani e mesopotamici, ma soprattutto i testi di --> Ugarit offrono dati di primaria importanza per la storia delle varie divinità. La mitologia fenicia e punica è assai poco nota per mancanza di testimonianze dirette e si conoscono solo episodi frammentari o brevi notizie sparse in fonti greche e latine. Unica eccezione è il materiale tramandato da Filone di Biblo, che scrisse in greco nel II sec. d.C. ed i cui frammenti della «Storia fenicia» sono stati conservati da Eusebio di Cesarea (IV sec. d.C.), che li cita polemicamente per combatterne i contenuti pagani. Filone afferma di avere raccolto l'eredità di un leggendario sacerdote fenicio, Sancuniaton, attivo all'epoca della guerra di Troia. Nei suoi materiali, in cui sono narrate le credenze intorno alla cosmogonia, alle origini della cultura ed alla teogonia, si può cogliere un nucleo genuino di mitologia fenicia, anche se rielaborato dalla tradizione e trasformato da mode culturali come l'Evemerismo. Nei pantheon delle città fenicie si individuano alcuni elementi strutturali comuni e caratteristici. Al loro vertice si trova infatti una coppia costituita da un dio (detto baal o adon, «signore»), la cui identità varia da città a città, e da una dea (chiamata per lo più baalat, «signora»), in cui si deve riconoscere --> Astarte, complessa figura dalle funzioni assai varie: detentrice della regalità e perciò protettrice del re, garante della fertilità e della fecondità, protettrice
Gerión, 2006
RESUMEN La identidad política de Cartago se observa dentro de su repertorio figurativo como sucede con las navajas y los huevos de avestruz decorados. En los primeros se observan tanto figuraciones de tipo egipcio o vecino-orientales, como de tradición helenística portando mensajes de "regalità indotta" y una serie de claves para el mundo de ultratumba. Palabras clave: Artesanado púnico, religión púnica, navajas votivas, mundo funerario. RIASSUNTO L'identità politica di Cartagine si osserva attraverso il suo reperto figurativo come accade con i rasoi e le uova di struzzo decorate. Nei primi si propongono tanto le figurazione egittizzanti e vicino-orientale come quelle di tradizione ellenistica portando messaggi di regalità indotta e una serie di chiavi di lettura per il mondo funerario. Parole Chiave: Artigianato punico, religione punica, rasoi votivi, mondo funerario. Nella documentazione artigianale di contesto punico 1 , due "categorie" 2 registrano più di altre nel loro repertorio figurativo gli aspetti fondanti della cultura religiosa su cui Cartagine organizza la propria identità politica, affidandola ai cittadini dispersi nelle regioni sottoposte al suo controllo 3 : i rasoi votivi in bronzo e le uova di struzzo decorate. Su entrambe le categorie sono state condotte di recenti indagini archeometriche, che hanno chiarito alcuni aspetti tecnologici 4 e le potenzialità materiche connesse 5. La rilettura anche in questa chiave delle composizioni figurative che decorano i rasoi porta ad alcune considerazioni che sembra utile avanzare.
Un'iscrizione cartaginese, pubblicata per la prima volta nel 1951 1 , utilmente ripresa ed emendata in un contesto più ampio nel 2001 2 e toccata anche da me nel 2006 3 , merita forse un ulteriore esame ravvicinato e qualche altra considerazione meno cursoria, che mi è gradito offrire alla cara amica onorata.
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Terra Insubre n°60 e n°61, 2011
Istituto Storico Scalabriniano, 2021
Monteriggioniottocento 1214-2014, atti del convegno, Abbadia a Isola 17 ottobre 2014, a cura di D. Balestracci, Siena 2015
Archeologia aerea: Studi di Aerotopografia Archeologica, 10, 2016
Pragmatica storica dell'italiano. Modelli e usi comunicativi del passato, a cura di Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti, Daria Motta e Rosaria Sardo, 2020