Academia.edu no longer supports Internet Explorer.
To browse Academia.edu and the wider internet faster and more securely, please take a few seconds to upgrade your browser.
2017, ATTI DEL XXII COLLOQUIO DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO E LA CONSERVAZIONE DEL MOSAICO con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
…
25 pages
1 file
La riproduzione del testo o brani di esso, in qualsiasi forma presentata e diffusa, è assoggettata alla legge 22 aprile 1941, n. 633 successivamente modificata con la legge 18 agosto 2000, n. 248.
2014
Situata in una conca pianeggiante nell'alta valle del Tronto, a 955 metri di altitudine, Amatrice nasce come insediamento fortificato nell'alto Medioevo, in una posizione di cerniera tra il Piceno, la Marsica e la Sabina. Il suo era un territorio di confine già all'epoca di Augusto, poiché era un lembo della Regio V (Picenum) a ridosso della Regio IV (Samnium). Sin dal 1927 Amatrice fa parte del Lazio, ed è compresa nella provincia di Rieti, ma era in precedenza una città «regnicola» che ricadeva nella provincia dell'Aquila, e prima ancora era parte del Giustizierato d'Abruzzo Ultra (al di sopra del fiume Pescara), una circoscrizione amministrativa creata da Carlo I d'Angiò nel 1273. A complicare le cose, fino al 1965 era compresa nella diocesi della città marchigiana di Ascoli Piceno. Il castello di Matrice è attestato proprio tra i possessi della Chiesa di Ascoli Piceno in una bolla concessa da papa Leone IX (1052). L'abitato conosce poi sviluppi determinanti nella seconda metà del Duecento, quando acquisisce una compiuta forma di città dal punto di vista amministrativo e urbanistico, nel periodo più travagliato della storia della frontiera tra la Chiesa e il Regno. Rifiutandosi di aderire al partito di Manfredi, subisce nel 1265 per mano dello Svevo una devastante spedizione punitiva. E dopo che Corradino di Svevia, l'ultimo pretendente alla corona, venne sconfitto a Tagliacozzo (1268), Carlo I d'Angiò, nel 1282, dispose che alcune vecchie campane presenti nel convento di S. Francesco di Amatrice fossero destinate alla chiesa cistercense di S. Maria della Vittoria (1274-1283), edificata a ricordo della battaglia presso Scurcola Marsicana. Passata definitivamente sotto il controllo degli Angioini, Amatrice venne a costituire uno strategico avamposto pedemontano del Regno di Napoli, direttamente sottoposto alla corona. Si ribellò allo stesso re Carlo I nel 1274, durante uno dei tanti sommovimenti delle terre di frontiera, ma nel 1283 venne elogiata da Carlo principe di Salerno (il futuro re Carlo II) per la fedeltà dimostrata al sovrano nella crisi dei Vespri Siciliani, e ottenne il privilegio di organizzare una fiera. Divenne ben presto fiorente e popolosa (contava 5 mila abitanti all'apice del suo sviluppo). Trovandosi tra i Monti della Laga e lo snodo delle vie centroappenniniche, svolse un prezioso ruolo mediatore tra i pascoli d'alta quota e i percorsi dei mercanti, avendo anche modo di esprimere una discreta attività manifatturiera nel campo della lavorazione dei filati di lana. Pannilana di Amatrice erano smerciati a Roma, e nel 1426 erano anche stoccati a L'Aquila, nel magazzino dei Bardi, la famosa dinastia di mercanti fiorentini. Non a caso, Amatrice si colloca sulla via Picente (la statale 260), un tempo assai frequentata, che connette L'Aquila all'asse della via consolare Salaria nel tratto Rieti -Ascoli Piceno. La città rientrava così in un vivace sistema di rapporti che raccordava il Lazio e le Marche alla «via degli Abruzzi», la nodale direttrice del commercio che nel tardo Medioevo si sviluppava tra Firenze e Napoli. D'altronde, come testimonia tra gli altri il viaggiatore settecentesco Giovan Girolamo Carli, Amatrice era divenuta una tappa d'obbligo sull'itinerario che congiungeva Roma all'Adriatico: percorsa la Salaria fino ad
Laddove, in un suo conosciutissimo testo 1 , Elemire Zolla cita alcune celebrate architetture rinascimentali situate ai confini occidentali del Lazio, definendole veri e propri "santuari neoplatonici", non ci si meraviglierebbe di vedervi ricordata anche la Scarzuola, cittadella magica dei tempi nostri, ideata dall'architetto Tomaso Buzzi ben quattro secoli dopo l'artificio di Bomarzo e realizzata in Umbria, non distante da Montegiove . Dimenticata in rovina per anni, quindi riscoperta, restaurata e finalmente compiuta da Marco Solari erede di Buzzi, questa fantastica concezione oggi interamente aperta al pubblico, nasce dal connubio di due organismi distinti: un antichissimo romitorio francescano, la Scarzuola, risalente al 1200, e la "Buzziana" o "Buzzinda", cittadella "teatrale alla quale Buzzi lavorò dal 1956 fino al 1978, tre anni prima della sua morte. L'opera di restauro del complesso, comprendente la chiesa, il convento e le architetture di Tomaso Buzzi, è iniziata attorno al 1980 ma il tutto è stato vincolato dal Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, con legge del 1 /6/1939 n. 1O89, soltanto nel 1991 in seguito alla proposta avanzata in sede ministeriale dall'Assessorato alla Cultura della Regione Umbria e sull'onda dei primi reportage pubblicati nel 1983 da Bruno Toscano su L'Espresso e da Lucia Bisi su Eupalino e nel 1987 da Adriano Alpago Novello su Casa Vogue . La progressione dei lavori di recupero è risultata, nei suoi trent'anni, alquanto complessa, tenendo conto che per il vecchio si e dovuto porre mano ad effimere opere in forma di scenografie teatrali, fatte di tufo, tavelline e strutture in ferro, tutte collocate all'aperto e assai degradate, mentre per il nuovo, in mancanza di veri e propri progetti esecutivi, sono stati utilizzati gli approssimativi schizzi eseguiti da Buzzi, tutti da scegliere e interpretare. Nel restauro si è dovuto operare accortamente, soprattutto attorno alle problematiche relative al deflusso delle acque piovane e di quelle sorgive, copiosamente presenti, provvedendo a rendere impermeabili le varie vasche del giardino e rivestendo con tavelle e coppi i tetti e le pareti delle opere, tutte in tufo, onde preservare il poco consistente materiale dai fenomeni atmosferici, soprattutto dal dilavamento delle acque piovane. Il materiale impiegato, proveniente da una cava di Farnese nel viterbese e fornito nei tradizionali blocchi rettangolari, è stato lavorato sul posto, a mano, con accette e scalpelli, riutilizzando anche i vecchi conci che si potevano recuperare e attenendosi il più fedelmente possibile ai disegni originali, destreggiandosi tra le molteplici versioni lasciate dall'autore. Il numero degli artigiani impiegati, dagli iniziali sei, reclutati da Tomaso Buzzi nel 1958, si è poi ridotto agli attuali tre, tra i quali il capomastro Alessandro Neri di Fabro e il fabbro Valentino Galli -l'unico che ha seguito l'opera fin dall'inizio-che ancora oggi con il figlio Maurizio restaura e costruisce infissi, telai e basi per le scenografie. Oggi, a opere compiute, si può tentare una descrizione del tutto, ma è certamente difficile iniziare a parlare della Scarzuola, senza che magicamente si alzi alle nostre spalle l'ombra di Tomaso Buzzi. Architetto, designer e artista, Tomaso Buzzi nasce a Sondrio 1900 da una famiglia della buona borghesia locale. Ottenuta la maturità classica, si iscrive al Corso di Architettura presso il Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano, ove si laurea nel 1923. Da subito egli ha relazioni molto strette con il gruppo del Novecento Milanese (Muzio, Cabiati, De Finetti) e inizia ben presto con Giò Ponti una collaborazione lunga e fruttuosa, che si estende dall'architettura, all'urbanistica, al design, alla collaborazione, con articoli ed interventi, alle pagine di Domus, prestigiosa rivista fondata nel 1928 dallo stesso Ponti. Una memoria oggi inesplicabilmente cancellata, vede Buzzi tra i protagonisti degli avvenimenti artistici più importanti di quegli anni; fondamentale è la sua figura di membro fondatore del Club degli urbanisti e di partecipe al celebre concorso per la sistemazione urbanistica di Milano con il progetto Forma urbis Mediolani. Egli ha inoltre ruoli organizzativi di spicco in manifestazioni nazionali ed internazionali nel campo delle arti applicate (Triennale di Milano, padiglioni dell'Enapi, Mostra Internazionale di Amsterdam, Mostra Nazionale dello Sport). Appare tra i fondatori della società di oggettistica Labirinto e ricopre la carica di direttore artistico per la Venini di Venezia, collaborando attivamente con Paolo Venini, Pietro Chiesa, Giulio Rosso 1 E.Zolla, Aure. I luoghi e i riti, Venezia 1995 Civile, rimasto inedito, in cui raccolse i suoi progetti, tutti irrealizzati. 9 Claude-Nicholas Ledoux (Darmans 1736 -Parigi 1806), architetto e incisore, nel 1773 venne nominato Architetto del Re e membro dell'Accademia. Dopo aver progettato numerose residenze, si dedicò alla realizzazione di complessi edifici pubblici, tra cui le celebri Saline di Arc-et-Senans (1775), i cui spunti fantastici rivelano un'influenza del Piranesi. 10 Etienne-Louis Boullèe ( Parigi 1728 -1799), architetto illuminista, lavorò molto sotto Luigi XIV e Luigi XV in edifici residenziali dei quali oggi non rimane traccia. Lasciò sulla carta grandiosi progetti che evidenziano la sua teoria circa le corrispondenze che legano forme architettoniche e sentimenti. Il suo trattato, Architecture, essai sur l 'art, è stato pubblicato soltanto nel 1953. 11 Sanderson Miller (Radway Grance 1717 -1780. Tipica figura di architetto dilettante, contribuì alla diffusione dello stile neogotico in Inghilterra.
terraitalia.altervista.org
Nel 1894 nell'abbazia di S. Domenico a Sora 1 , in occasione del rifacimento della pavimentazione della cripta, venne alla luce un frammento marmoreo iscritto, visto dall'Aurigemma, ancora alcuni anni dopo, murato in una stanzetta del monastero. Dell'iscrizione, oggi perduta, si conserva solo il facsimile pubblicato dall'Aurigemma stesso nel 1910 2 . Il frammento misurava 24 x 25 cm; le lettere, di circa 2 cm per le prime cinque righe, si riducono a meno di 1,5 nelle successive.
di \rl \ssr\r() IvrROvr(ì\r ,{ccanto alla tradizione rabbinica c a c1r:ella tìlosofìca. Lrna terza {brrna principalc del pcnsicro ebraico è qr"rclla niistica. che lra peraItro assunto storicamentc fbrllc diverse-. Il dibattito contclliporanco sul puntc-r c stato arnpianrcnte clc-fìnito. a partirc dagli anni I 940. dallc operc di Cerslrttnr Scholcrn (1897-19,31). sccondrt rl cluale. nc'lla tcnsione' chc percorre ogni rcligionc l-ra nr.tîhos e Iogo.s.la tradizione rabbinica ()pcrt in scnso clecisanrentc anti-nritico. Una prirrra rcazit-rne a cluesta tradiziorìc c costitLrrta cla alcr-tne fbr-nre dcllo gr-ìosticisrlto. un t-cnomcno chc pcr Scholcnr ha orisini alllleÌlo in partc ebraichc nla ncllo stcssr-r tentpt'r costitr,riscc Lrna deriva cretica che incorpora clernenti non cbraici c porta a costituirc una tradizirittc <<strarriera>r chc si ponc lirori dcll'cbraismo ortocJrtsso. ,Al contrario. il vero c proprio misticisrr.ro c-braico rinlarìc all'rnterno dell'ortodossra. La Qobhrrluh (<<ricezionc>>. <<tradizione)). ossia il cornplcsso dellc dottrinc csotcriche cicll'cbraisrtro). cornc si t)rc-)t,
Indice Parte I Analisi dei dati aggregati: il settore a livello nazionale e locale, i distretti produttivi Il settore del Tessile/Abbigliamento 1. Il contesto nazionale Il settore Tessile/Abbigliamento (T/A) in Italia è un sistema complesso dove convivono aziende con caratteristiche dimensionali, organizzative e commerciali molto diverse e con un tasso di innovazione molto elevato. E' un settore al cui interno coesistono numerosi comparti e nicchie, in continuo mutamento, che spesso rendono difficile l'analisi attraverso i modelli ufficiali di monitoraggio statistico-economico. L'industria del T/A riveste grande importanza per l'economia italiana: essa è unica, ricca di vitalità, innovativa e leader mondiale nelle fasce di mercato a maggior valore aggiunto. Il principale asset competitivo del T/A italiano è la continua tensione verso l'innovazione, la costante offerta di prodotti originali, altamente distintivi, in grado di comprendere, soddisfare ed anticipare le esigenze e i desideri dei consumatori nei mercati internazionali. Il successo dell'industria italiana è determinato dall'interazione virtuosa di una sofisticata rete che lega le lavorazioni della materia prima alla distribuzione finale, il design alla produzione meccano-tessile; una rete in cui la forza di ogni singolo elemento è al tempo stesso causa ed effetto della forza di tutto il sistema. Il T/A non solo occupa un rilevante numero di addetti 1 (oltre 800.000 unità, con un'incidenza sull'industria manifatturiera del 16,6%) e produce una quota rilevante del valore aggiunto 2 dell'industria italiana (circa 27.715 miliardi di euroultimi valori disponibili al 2004), ma costituisce anche una sorta di bandiera dell'industria e dell'immagine italiana nel mondo. 1 Dati Istat relativi all'8° Censimento generale dell'industria e dei servizi -Anno 2001. Cfr paragrafo 7 sull'occupazione nel quale sono riportati i dati aggiornati al 2004 relativi al "Registro statistico delle unità locali delle imprese -Istat, diffusi il 19 dicembre 2006. 2 Dati Istat relativi ai conti economici regionali, diffusi il 23 gennaio 2007.
In the 1940s the Friulian painter Alice Dreossi depicted Tarcento in several landscape paintings which aptly reveal her cultural identity. Through a post-impressionist expressive search the artist is able to interpret the Friulian landscape and its roots from a modern philosophical and spiritual stance. These paintings reveal a contemplative approach which the writer of this essay ascribes to the direct influence of Rudolf Steiner, founder of Anthroposophy, and even more so of Jiddu Krishnamurti, a master of the Theosophical movement in which Dreossi played an active role.
2021
L’Elba con il suo rame potrebbe essere stata coinvolta nella vicenda di Ötzi, il corpo ‘mummificato’ di un individuo di circa 5.000 anni fa ritrovato nel 1991 nel giogo di Tisenjoc presso il confine italo-austriaco (provincia di Bolzano) in un ghiacciaio ad oltre 3200 metri di altitudine. Sofisticate analisi chimiche e isotopiche effettuate dall’Università di Padova hanno dimostrato che il rame di tale ascia fu prelevato da una miniera della Toscana meridionale". Finora si è creduto di individuarla nel territorio di Campiglia Marittima, ma esistono vari indizi, letterari ed archeologici, che fanno pensare piuttosto al Monte Calamita e, in particolare, alla cosiddetta ‘Grotta Rame’.
Loading Preview
Sorry, preview is currently unavailable. You can download the paper by clicking the button above.
A. Meriani - G. Zuchtriegel (a cura di), La Tomba del Tuffatore. Rito, arte e poesia a Paestum e nel Mediterraneo d'epoca tardo-arcaica, Pisa (ETS), pp. 49-55., 2020
il Melograno - ANCE E 234150, 2017
SPECIALE V CENTENARIO "UTOPIA" (1516–2016), 2016
Piano di comunicazione per la città di Sorso. Restituire valore al patrimonio archeologico della città., 2021
Suadente Nummo Vetere. Studi in onore di Giovanni Gorini, pp. 287-300, 2016