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2014, Il telespettatore
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Viviamo oggi nell’era della globalizzazione e della parcellizzazione dell’attenzione ed è ancora più rischioso, rispetto a qualche decennio fa, quando questo dibattito è sorto, che i mezzi di comunicazione occupino una posizione educativa “vicaria”, con tutti i problemi che questo comporta, ora che sono arrivati sin nelle tasche dei nostri ragazzi. Il rischio è che il modo in cui alcuni mezzi di comunicazione raccontino la vita e intendano le relazioni umane si trasmetta senza filtri e influenzi i modi di comportarsi e di prendere decisioni. Da tempo gli studiosi di comunicazione si sono interrogati sulle possibili conseguenze di un approccio acritico ai media e alle storie che raccontano. Qual è, in questo contesto, il ruolo della scuola? Il corso “Leggere i media”, frutto della collaborazione tra le scuole FAES, l’Università Cattolica del Sacro Cuore (www.unicatt.it) e l’Aiart – Associazione spettatori Onlus (www.aiart.org), è nato per dare agli studenti alcuni strumenti per approcciare nel modo più consapevole possibile i mezzi di comunicazione da cui sono circondati.
Italian Journal of Educational Technology, 2000
La scelta dei mezzi da utilizzare in un processo formativo è una fase cruciale della progettazione didattica. Docenti, formatori, progettisti di mat eriali e responsabili di istituzioni che operano in campo educativo devono affrontare il problema di individuare i mezzi più idonei a veicolare un messaggio, a facilitare la comprensione di un concetto o ad acquisire e consolidare capacità di vario tipo. Sia che il problema venga affrontato con un approccio intuitivo sia che esso venga inquadrato in una metodologia sistematica di progettazione, una sua adeguata soluzione è da più parti considerata fondamentale in quanto scelte poco appropriate possono compromettere i risultati dell'intero progetto. Per questo motivo, le caratteristiche dei mezzi disponibili e i criteri che ne informano la scelta costituiscono da più di cinquant'anni oggetto di studio da parte di numerosi ricercatori. Nel corso degli anni, il fuoco dell'attenzione è stato posto sulle tecnologie via via emergenti: negli anni cinquanta e sessanta i mezzi audiovisivi catalizzavano gli interessi; nei decenni successivi numerose ricerche hanno cercato di individuare potenzialità e limiti del computer! in ambito didattico ed infine, a partire dagli anni '90, stiamo assistendo ad un fiorire di studi che pongono l'attenzione sulle tecnologie della comunicazione...
Gran parte di questo articolo include aspetti dell'opera del professore spagnolo José Martínez de Toda, lui è stato il mio professore di media education nel Centro Interdisciplinare sulla Comunicazione Sociale (CICS) 2 della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Martínez de Toda è uno studioso dei mass media e ha proposto una metodologia di valutazione sulla media education nel suo libro intitolato "Le sei dimensioni della media education" (2002) 3 . La mia intenzione qui è presentare elementi per una lettura sulla media education considerando che tale tipo d'insegnamento è flessibile e prende in considerazione, seguendo un approccio teorico interdisciplinare e pratico: la società, la cultura ed il tipo d'esperienza mediatica dell'audience. Una conoscenza previa dell'audience è importante per avviare un insegnamento sui mass media. Nella società contemporanea, il rapporto tra pubblico e mass media è diventato ormai una pratica socio-comunicativa quotidiana, della quale non possiamo fare a meno.
Ha senso fare storia della televisione, e perché? Come la possiamo fare? Che rapporto ha questa storia con l'altra Storia generale e in generale con i nostri compiti di studiosi? Vorrei spendere le poche pagine di questa prefazione al bel libro curato da Damiano Garofalo a Vanessa Roghi per provare a rispondere a queste domande. Prima di tutto: ha senso fare storia della televisione? Si, certo. Non è un caso che molti autori si dedichino a questo esercizio, e che anche in Italia ve ne siano prove davvero significative. Secondo me fare storia ha sempre senso. Se c'è una disciplina che non potremmo perdere senza divenire meno umani è la storia, ossia la ricostruzione paziente, documentale del nostro passato, che ha lo scopo di non renderci immemori. Siccome di mestiere insegno, e i miei studenti diventano sempre più giovani rispetto a me, sento anche che l'approccio storico è oggi un particolare dovere di fronte alle nuove generazioni, le quali senza di esso avrebbero sempre l'impressione di vivere in una spianata acronica, dove il presente è la misura di tutte le cose. Si d'accordo, si dirà, ma la televisione? Bene, se c'è un mezzo che senza la prospettiva storiografica dà l'impressione di essere stato sempre uguale è proprio la televisione. Peggio: senza una visione diacronica e interpretativa anche i testimoni della televisione passata sono abbagliati dalla propria nostalgia, dai propri ricordi, dai piccoli e legittimi interessi e deviazioni personali. Vorrei anche dire che -paradossalmente -la presenza di quel grande repertorio che è il web, a partire naturalmente dall'oceano di registrazioni che prende il nome di Youtube, richiede ancor di più un lavoro storiografico. Apparentemente tutto è lì. A portata di un clic. Ma come trovare esattamente qualcosa, se non sappiamo come cercarla? Per esempio, quando racconto la storia dei cantautori italiani ai miei studenti, e guardo con loro alcuni video la cui preziosità è oggi direttamente proporzionale alla loro disponibilità, mi accorgo ogni volta che ho mostrato loro una strada, su cui forse non si sarebbero mai avviati, privi com'erano di coordinate (se non sai chi era Tenco, perché lo dovresti cercare? Ma una volta che l'hai scoperto, puoi davvero fare a meno di cercare ancora?). Insomma, c'è bisogno di storia, nel senso di storiografia, anche perché, come ci ricordano i saggi di questo volume, le mutazioni e le trasformazioni della televisione sono state clamorose, dalla sua origine a oggi, e -a guardarle con occhio disincantato -sembrano persino disfare l'oggetto in un fascio di tecnologie, contenuti, tendenze, rispecchiamenti che solo convenzionalmente chiamiamo con un nome unico. Ed eccoci allora alla questione sul come fare storia della Tv. Qui potrei dire solo: leggete i saggi che seguono, e basterà a farsene un'idea. Ma siccome -per coincidenza -sto mandando alle stampe un volume sulla storia dei media dei media in Italia 1 , e ritrovo qui una sorprendente sintonia di riferimenti e prospettive, provo a fare il punto con me stesso e a condividere le mie riflessioni. In primo luogo la storia della Tv è una storia complessa, fatta di tecnologie (dalla piattaforma dedicata al multipiattaforma, dal bianco e nero al colore, dall'analogico al digitale, da un apparecchio profondo e con uno schermo 4:3 a un altro piatto e con uno schermo 16:9, e così via), di contenuti (per dire: dagli sceneggiati alla serialità della fiction attuale, dal cinema storicizzato del monopolio al cinema integrato di oggi), di rituali di consumo (dal bar al salotto della casa, dalle camere di nuovo al salotto e outdoor; dalla visione attenta e collettiva a quella distratta o multitasking dei commentatori twitter). E' una storia industriale, perché si può raccontare attraverso la concorrenza di soggetti pubblici e privati sul piano delle 1 F. Colombo e R. Eugeni (a cura di), Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia. Vol. II, I media alla sfida della democrazia (1946--1978), Vita e Pensiero, Milano 2015
L'utilizzo delle risorse messe a disposizione da internet è sempre più diffuso tra gli adolescenti e i preadolescenti che spesso vengono definiti " nativi digitali " , un'etichetta che semplifica eccessivamente il rapporto tra giovani e nuove tecnologie e relega le capacità di navigare in rete a mere competenze tecniche. La media education è frequentemente chiamata in causa per colmare i vuoti educativi e comunicativi che si creano tra adulti e minori in relazione all'utilizzo delle tecnologie digitali Questo articolo si sviluppa attorno ai risultati di ricerca che ha coinvolto un istituto scolastico secondario di primo grado (circa 300 studenti) in cui è stato svolto un progetto di digital media education rivolto a ragazzi, insegnanti e genitori. Il materiale empirico è composto da 62 ore di osservazione etnografica svolte durante gli incontri con i gli studenti dell'istituto e i questionari di gradimento raccolti al termine del progetto. L'obiettivo della ricerca è quello di comprendere, a partire dalla voce dei ragazzi, cosa questi pensino della media education, quali aspettative abbiano e in che modo rispondano agli stimoli e alle attività che gli vengono proposte. Il fine ultimo è quello di fornire strumenti interpretativi e operativi utili a creare discorsi e pratiche capaci di intersecare le pratiche mediali e le attività quotidiane dei giovani.
2017
Può sembrare quasi un azzardo, oggi, dedicare alla lingua dei media una rivista, in un’epoca in cui questo ambito della società ha assunto uno spazio e una complessità da far tremare le vene e i polsi: un azzardo rivolgere a mezzi che si intrecciano e si sovrappongono tra loro una riflessione analitica che ne scandagli i caratteri. Ma forse è proprio questo quadro così complicato e in veloce mutazione che deve stimolare l’attenzione degli studiosi di lingua. Me ne sono resa conto in modo crescente negli ultimi anni insegnando Linguistica dei media, una materia pensata per gli studenti dei corsi di laurea magistrale in Editoria e Comunicazione1, ma naturalmente molto seguita anche da altri. Un insegnamento che dalla partecipazione degli studenti, dalle loro competenze extralinguistiche, dalla loro esperienza, e dalla loro prospettiva, ha tratto e trae una grande linfa vitale. Certo, va naturalmente detto che non tutto quello che esce dai loro sacchi è convincente, meditato, utile: ma...
Le ideologie progressiste e conservatrici del cambiamento educativo contestano alla scuola di essere in disaccordo-troppo o troppo poco-con la società. L'elaborazione pedagogica si interroga sul ruolo attuale dei sistemi educativi, ma appare chiaro come la chiave dell'innovazione scolastica e educativa più in generale non risieda unicamente nel cambio delle pratiche comunicative o nel mero cambio dei mezzi che tali pratiche supportano. Ad essere in gioco vi è piuttosto la forma che assumono i saperi e le esperienze nel diventare oggetto e soggetto di pratiche comunicative e educative diversificate. Oggi il software rende possibile gran parte del vivere sociale: informazione, saperi, relazioni, conoscenza, reticolarità dipendono dalla dimensione informatica, che dunque influenza profondamente quella culturale. Il software e gli algoritmi ormai stiano di fatto plasmando la nostra cultura, e l'infrastruttura di rete e le pratiche di produzione e condivisione di contenuti digitali favoriscono la diffusione di saperi multicodice, connettivi e aperti. Appare dunque sempre più necessario considerare il digitale e la rete come occasione per avviare un deciso ripensamento della sostanza stessa dell'educare, secondo un'accezione ampia del termine. Tale ripensamento, per essere profondo, deve evitare che l'impegno di elaborazione e confronto in ambito pedagogico sia monopolizzato dai soli temi e problemi dell'educazione istituzionale.
Media Education Studi e ricerche, 2018
The article aims to introduce briefly the media phenomenon of fake news and so-called post-truth. These phenomena have a specific role in the chaotic system of media communication, often growing the amount of informative chaos in the net. The paper, starting from several media sociological and anthropological theories, proposes a comparison between the basic structures of ancient rhetoric and the current Digital Rhetoric: elements, with the pathemic aspect, on which the building and spreading process of fake news seems to be based. In the last part, the article offers a short media education proposal, aiming at giving to young people some indications to use media more consciously and, above all, to favor media writing as a useful tool to express themselves in the digital environments and build collaborative and digital knowledge.
2010
La strategia didattica del laboratorio propone l'esperienza di insegnamen-to/apprendimento sottoforma di ricerca, di sperimentazione attiva da parte del singolo e/o del gruppo di autonome strategie di costruzione della conoscenza: in esso deve essere possibile, sulla base delle proprie conoscenze e anche seguendo la propria creatività, sperimentare le modalità didattiche del 'problem solving', così come quelle del 'learning by doing', quindi smontare e rimontare in prima persona, distruggere e ricreare in forma nuova, proporsi obiettivi, discuterli in gruppo, sot-toporli a verifica sperimentale, valutare i risultati ottenuti. In esso, la funzione dell'insegnante è quella del consigliere, di chi garantisce un supporto "soffice", nel-la direzione di uno scaffolding attento a non sostituire i bambini nella costruzione condivisa della conoscenza. A partire da alcune riflessioni di natura generale, il la-boratorio presentato nell'articolo si propone ...
2017
Il volume presenta i risultati di un articolato progetto di ricerca avente come oggetto gli sguardi digitali adottati da studenti e docenti per dare significato all’uso che, fuori e dentro la scuola, essi fanno dei nuovi media. Ci sono gli sguardi dei ragazzi che danno per scontata la presenza di Internet o dei social network nella loro quotidianità. E gli sguardi adulti sui media e sulle tecnologie, spesso intese da genitori e insegnanti più come fonte di rischio che di opportunità. In una prospettiva educativa più ampia, c’è anche lo sguardo della scuola come istituzione che, con alterne fortune, dà una certa direzione all’introduzione del digitale. Inoltre, nella quotidianità delle aule, ci sono gli sguardi degli insegnanti, che testimoniano l’uso dei media da parte dei ragazzi, interpretandolo attraverso la loro competenza professionale e la propria esperienza del digitale. È in grado la scuola di fronteggiare le tante sfide poste dal digitale? Quali immagini e rappresentazioni stanno circolando tra gli insegnanti e gli studenti? Di quali risorse dispongono i docenti per riconoscere, formare o riposizionare le competenze che i ragazzi hanno rispetto all’uso dei nuovi media? Cosa significa parlare di literacy nell’uso dei media digitali? A partire dalle voci stesse di studenti e docenti, il volume affronta questi interrogativi complessi, nel tentativo di identificare terreni di dialogo e di confronto nei quali, superando l’opposizione noi-loro, le diverse generazioni possano giocare il proprio ruolo nel mondo dei media.
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Form Re Open Journal Per La Formazione in Rete, 2010
"Dante in America (Stati Uniti)," Atti dei Convegni Lincei 351, La ricezione della Commedia dai manoscritti ai media (Rome 23-25 marzo, 2022). Roma: Bardi Edizioni, Accademia Nazionale dei Lincei, 2023, pp. 545-560. , 2023
Media Education. Analisi critica e buone pratiche , 2020
in Mutazioni. La letteratura nello spazio dei flussi, Liguori, 2004
Bollettino Aib, 2008
CQIA Rivista. Lavoro, Formazione, Persona, anno III, n. 8, 2013
Italiano Linguadue, 2020
Edizione straordinaria! Come utilizzare giornali e riviste nella didattica, in «Agorà. Paesaggi dell’intercultura», magazine online, http://www.vanninieditrice.it/fileup/Inserti/Microsoft%20Word%20-%207_Nicolo_Budini_Gattai1.pdf
In Bernardi, C., Mosconi, E. (eds.), Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia, Vita e Pensiero, Milano, pp. 245- 248, 2018
Orientamenti pedagogici, 2002