Università degli Studi di Padova, sede di Bressanone, 14 settembre 2019 (Seminari Romanistici di Bressanone, Diritto penale romano. Parte processuale, 13-15 settembre 2019)
Ricostruire l'origine e lo sviluppo della deportatio e della relegatio nel panorama repressivo romano è un compito non privo di difficoltà. Numerosi sono gli interrogativi tuttora aperti in seno alla dottrina romanistica, molti dei quali toccano questioni più ampie, quali ad esempio le modalità di repressione extra ordinem dei delitti delle quaestiones o le competenze dei governatori provinciali. Un percorso di ricerca che, peraltro, si interseca a più riprese con un istituto dai confini tuttora piuttosto incerti, quale l'interdictio aqua et igni. L'intervento mira a individuare alcuni di questi problemi e, sulla base di essi, a tracciare delle direttrici di ricerca da percorrere nel prossimo futuro. Innanzitutto, si spenderà qualche parola sulle fonti in nostro possesso in tema di deportatio e relegatio e, in particolare, sulle difficoltà connesse alla restituzione della struttura e della configurazione del titolo D. 48.22 del Digesto (dedicato a 'De interdictis et relegatis et deportatis'), che i codici di tradizione occidentale non ci hanno trasmesso nella sua interezza. L'attenzione si sposterà quindi sull'introduzione della deportatio e della relegatio fra le sanzioni del sistema criminale romano e sulla configurazione assunta da queste figure in epoca imperiale. In particolare, ci si soffermerà su quel processo che portò la deportatio ad assumere una propria individualità rispetto all'interdictio aqua et igni-di cui pare essere inizialmente una forma 'aggravata'-e che in un secondo momento, quando ormai poteva dirsi una pena autonoma, costringerà i giuristi e la cancelleria imperiale (specie in epoca antoniniana) ad affaticarsi non poco nel tentativo di individuarne il relativo regime giuridico. Lo sguardo si poserà allora su alcuni rescritti di Antonino Pio, tra cui quelli che parificano la condizione del deportatus a quella del peregrinus, in relazione alla carenza di testamenti factio passiva, e a quella del condannato in opus perpetuum, e che sanciscono l'impossibilità per il deportato di manumittere. Lungo questo itinerario di ricerca, si spenderà inoltre qualche parola in relazione al rapporto tra deportatio e relegatio, sia per valutare quali criteri adottassero i prudentes per differenziarle, sia per marcare le differenze sussistenti in ordine alle capacità di diritto privato che conservava chi era colpito dall'una o dall'altra di tali misure repressive.