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Base 21x29,7 Le Luminarie della Fede Vol 5 05 Cassino San VittoreLasciandosi alle spalle la bella abbazia di Fossanova, a pochissima distanza si arriva, lungo la strada dei Monti Lepini in direzione Frosinone, al caratteristico borgo di Amaseno già ormai nel frusinate. Dagli studi storici effettuati risulta che la chiesa romanica, costruita tra il 1165 e il 1177, è anteriore di circa venti anni alla più famosa chiesa abbaziale di Fossanova, iniziata l'anno 1187 e consacrata nel 1207. Da ciò ne risulterebbe che la chiesa di S. Maria ad Amaseno costituisce il primo monumento nazionale di quella prima architettura ogivale, introdotta in Italia dai cistercensi francesi. Dall'iscrizione incisa sul pulpito sappiamo che la chiesa fu sottoposta a significativi interventi di restauro e "completamenti" non bene specificati, sotto la direzione di artefici locali come Pietro Gulimari da Priverno. La chiesa appare di forma basilicale con la navata centrale che si eleva dalle laterali e termina a timpano, mentre le navate minori terminano a mezzo timpano. Sulla facciata c'è il bel portale centrale ad arco acuto, con due colonnine anellate poste in angolo e altre due pensili sul prospetto; il rosone ha otto lobi e si apre entro un arco rotondo, poggiante su snelle colonnine. L'interno è a tre navate, divise tra loro da otto pilastri rettangolari, gli ultimi quattro rafforzati da colonne addossate. I capitelli sono ornati di foglie, gli archi a punta e le volte a crociera. Il portale della chiesa viene associato ai portali cosmateschi. Il Venturi, nella Storia dell'Arte Italiana del 1904, citato ai nostri tempi da Luca Creti nell'opera In Marmoris Arte Pertiti, (op. cit. pag. 150 nota 239), trova affinità con i portali delle chiese di S. Antonio a Roma, SS. Andrea e Bartolomeo a Orvieto, San Giorgio a Riofreddo e Santa Maria di Falleri, definendole "tornite, goticizzanti o gotiche, rigorose, ma fredde". Anche Edward Hutton, nel suo libro The Cosmati del 1950, cita come cosmatesco il portale della chiesa di Amaseno (denominata però di San Lorenzo, sia da Hutton che da Ventura e Creti, probabilmente perché ivi si conserva l'ampolla con il sangue del santo). Inoltre, significative affinità, specie nelle soluzioni delle mensole adottate, si possono vedere in relazione al primo portale della chiesa di San Saba a Roma e soprattutto a quello della chiesa abbaziale di Rossilli, presso Gavignano che descriverò più avanti. Ora è da osservare che, se la chiesa di Amaseno fu consacrata nel 1177, non si può parlare di portale cosmatesco nel senso di avvicinare questo ai portali che i Cosmati della famiglia di Lorenzo di Tebaldo realizzarono tra il 1200 e il 1250. Attorno al 1170 lavorava Nicola d'Angelo e suo figlio Iacopo, discendenti di magister Paulus; Lorenzo di Tebaldo, Pietro Vassalletto e infine Giovanni e Guittone, figli di Nicola della famiglia di Ranuccio (o Raineiro). Di questi, solo alcuni si spostarono nel sud del Lazio per compiere dei lavori, ma in epoca più tarda rispetto alla consacrazione della chiesa. Per quale motivo, se si escludono le affinità di cui sopra, il portale di S. Maria ad Amaseno sia stato citato come "cosmatesco", non risulta molto chiaro. Piuttosto, all'interno della chiesa è possibile vedere qualche traccia di arte cosmatesca nel tabernacolo murato che si fa risalire all'epoca della consacrazione della chiesa. Si tratta di un tabernacolo definito "rurale" posto a cornu Evangelii e consistente in un vano ricavano nel muro stesso protetto da una piccola porta di ferro. Al di sopra si vede una piccola cornice ad arco acuto ed un disegno che forma geometricamente una croce cosmatesca ad intarsio di paste vitree. Essa è formata da una croce centrale e da quattro campiture triangolari esterne che formano un tondo. La decorazione è fatta di tessere triangolari blu e oro, bianche e rosse con scomposizioni in elementi minori per le campiture esterne, mentre la croce centrale è decorata da tessere a forma di triangoli neri, rossi e oro scomposti in elementi minori. Al centro vi è un quadrato turchese disposto in diagonale, campito intorno con triangoli color oro. Alcuni degli affreschi presenti nel presbiterio, di epoca trecentesca, riprendono tratti decorativi di gusto cosmatesco, come si vede più profusamente nel Sacro Speco a Subiaco e in altri luoghi dove non mancarono opere cosmatesche. 172
Base 21x29,7 Le Luminarie della Fede Vol 5 04 Minturno FossanovaLasciandoci Gaeta alle spalle e percorrendo tutto il lungo mare del golfo, sull'antica via Appia, si arriva a Minturno, denominata anticamente Traetto. Nel centro storico alto della caratteristica cittadina marinara, che sorge a poca distanza dal fiume Garigliano, domina il duomo di San Pietro, con pianta a croce latina e a tre navate sostenute da colonne marmoree provenienti da materiali archeologici romani di spoglio della vicina Minturnae. Il campanile esterno svetta mostrando orgogliosamente tutta la sua caratteristica architettura romanica, innalzandosi su tre livelli suddivisi da eleganti bifore. Di nostro interesse sono due opere dell'arte cosmatesca di grande pregio, anche se ridotte in brandelli in epoche passate e fortunatamente conservate almeno per averne una memoria: il pulpito a cassa su colonne marmoree e il candelabro per il cero pasquale. Di questi monumenti se ne occupò già il Bertaux nella sua opera citata e così scriveva Anna Carotti nell'aggiornamento del 1978: "Il pulpito della cattedrale di Minturno, collocato sul lato sinistro della navata centrale, è stato malamente composto con parti di epoche diverse. Lo stemma con la data 1618 non si riferisce al vescovo Pietro da Onna ma all'università o comune di Traetto. La cassa poggia su quattro colonne con capitelli che vengono per lo più assegnati all'VIII e al IX secolo; un piccolo pianerottolo, che è collegato al piano della cassa e che serve di appoggio per la scala, è sorretto da una colonna con capitello affine ai precedenti e da un pilastrino, proveniente da una recinzione, con incassi su due lati e con piatti ornati vegetali sugli altri due. Altri due pilastrini più piccoli, con incassi e motivi decorativi simili a quelli del primo, sormontati da motivi a pigna, sono disposti in fondo alla scala. I parapetti di questa sono costituiti da due rilievi triangolari con la raffigurazione di Giona e la balena, per lo più datati all'XI-XII secolo. Nella lastra collocata sul lato nord Giona viene ingoiato dalla balena mentre in alto appare la mano dell'Eterno ed il fondo è popolato di pesci. Sul lato sud il Pistrice rigetta Giona. A quest'ultimo rilievo è stata aggiunta, per completare il parapetto, una lastra trapezoidale che ha sul davanti motivi vegetali di gusto rinascimentale e, nel retro, un rilievo frammentario con un leone e una testa umana. La cassa, nella quale è incorporato anche un pilastrino cinquecentesco frammentario, è formata da lastre intarsiate spezzate ed ha in alto una cornice scolpita medioevale. Gli intarsi sono formati da smalti vitrei di color oro, bianco, nero, rosso e da frammenti di maioliche arabe a lustro e di vari toni di verde e turchese. Il piccolo grifo ricordato dal Bertaux, situato su una lastra disposta trasversalmente a formare il parapetto del ripiano della scala, non è disegnato da pietruzze musive, come gli evangelisti di Fondi, ma è scolpito nel marmo e risalta sul fondo colorato. Anche i due rosoni, uno a dodici punte, l'altro formato da un cerchio con quattro piccoli anelli intrecciato a una stella a quattro punte, sono scolpiti nella lastra come quelli, identici, dell'ambone di Fondi". La sintesi di Carotti è condivisa da quasi tutti gli studiosi anche perché non è facile, sulla base di quanto è stato possibile accertare, dire qualcosa di preciso sulle diverse cronologie dei pezzi che compongono il monumento. Della cattedrale di Minturno, del pulpito e del candelabro, si sono occupati numerosi autori dall'epoca di Bertaux ad oggi e sarebbe davvero troppo lungo anche solo fare una breve sintesi del pensiero di ognuno di loro. La stessa Carotti precisa in una nota del suo articolo che essi (tra cui G. de Santis, G. Abatino, Venturi, Toesca, G. Chierici, G. Matthiae, S. Aurigemma, ecc.) "non aggiungono in sostanza nulla di nuovo a quanto detto dal Bertaux". In tempi recenti, uno studio analitico approfondito, ma sostanzialmente dal punto di vista iconologico delle figurazioni rappresentate sul pulpito e su nuove ipotesi di ricostruzione cronologica dei diversi elementi che lo compongono, cercando di dare per ognuno una più corretta datazione, è stato fatto da G. Gandolfo, nel suo lungo articolo Il pulpito della chiesa di San Pietro Apostolo a Minturno, in Pio IX a Gaeta (25 novembre 1848-4 settembre 1849), Atti del Convegno 144
Le Luminarie della Fede Vol 5. Il pavimento cosmatesco della Chiesa di San Pietro ad Anticoli CorradoSono venuto a conoscenza di una traccia cosmatesca nella chiesa medievale di San Pietro, nel caratteristico borgo di Anticoli Corrado, dal testo di Dorothy Glass, Studies on Cosmatesque Pavements, del 1980. Come la studiosa ne sia venuta a conoscenza non è dato sapere, visto che Edward Hutton non ne accenna nel suo libro The Cosmati, del 1950, a cui Glass si è pure ispirata. Probabilmente, stando alla sua bibliografia, ne ha trovato notizia in C.G. Paoluzzi Anticoli Corrado, Roma, II, 1924, 223. Ad ogni modo, partiamo da quanto la studiosa scrive relativamente alla porzione di pavimento cosmatesco che effettivamente si trova nella chiesa di San Pietro: "La presenza dei Cosmati in San Pietro non è documentata, ma, oggi, rimangono alcuni resti di un pavimento cosmatesco approssimativamente al centro della chiesa. Le ruote che formano il quincux sono abbastanza piccole e mancano i dischi porfiretici al loro centro, se mai sono esistiti. La scarsità dei resti non permette di suggerire una data per il pavimento". Questo è tutto quanto scrisse Glass sui resti cosmateschi di San Pietro ad Anticoli Corrado, prima del 1980. Alle impressioni di Glass, possiamo aggiungere quanto segue. Il quincux si trova più vicino all'ingresso della chiesa che non nella parte mediana. Esso è di tipo precosmatesco nei suoi lineamenti ed è assolutamente sovradimensionato rispetto alle caratteristiche della chiesa, ma ciò non deve preoccupare perché anche in San Benedetto in Piscinula, a Roma, chiesa più o meno avente le stesse dimensioni di questa di Anticoli Corrado, ci sono quinconce di grandi dimensioni. L'osservazione delle caratteristiche presentate dal quincux di San Pietro, porta a pensare che esso sia il risultato di un rifacimento, ovvero di una ricostruzione completa in cui sono visibilmente reimpiegate porzioni di tessere antiche mescolate ad una larga parte di tessere meno antiche e moderne. E' ovvio che il manufatto ha subito diversi e notevoli manomissioni nel corso dei secoli. Per esempio, le tessere esagonali grigie presenti in una delle campiture, sono tute moderne, intervallate però da tessere più piccole, quadrate e triangolari, verdi e rosse, presumibilmente originali. I quadratini bianchi sono tutti moderni. Dei listelli di marmo che formano le annodature del quinconce, solo alcuni frammenti sono visibilmente originali, gli altri sono stati realizzati al tempo in cui fu introdotto questo pezzo di pavimento cosmatesco in un rifacimento generale del pavimento della chiesa, probabilmente nel XVIII secolo, come spesso si legge nella storia di questi monumenti. I tondi centrali, dove un tempo dovevano essere le piccole rotae porfiretiche, come arguito da Glass, sono stati sostituiti con volgari tondi di marmo bianco e le decorazioni delle fasce circolari sono solo adattate al reimpiego di parte delle tessere originali. Nella seconda fascia circolare, con motivo cosmatesco ad esagoni verdi e rossi intrecciati, si vedono chiaramente ampie zone di reimpiego del materiale originale con altrettante rifatte nuove. E così in tutto il quincux, è un continuo alternarsi di tessere antiche e di altre impiegate nei diversi restauri fino ai giorni nostri. Si potrebbe dire che questa porzione di pavimento sia stata realizzata con la volontà di abbellire il pavimento della chiesa utilizzando una piccola porzione di materiale antico proveniente da un'altra area geografica. Una conferma che il quincux non sia stato realizzato originariamente nella chiesa di San Pietro arriva anche dall'osservazione delle altre rimanenti tracce cosmatesche, costituite dalle decorazioni che si vedono sul fronte della piccola recinzione presbiteriale. Nella parte destra, vi sono quattro riquadri di cui due piccoli ai lati e uno centrale più grande con una lastra rettangolare verticale a sinistra; nel braccio sinistro della transenna vi sono tre lastre marmoree, due quadrate e una centrale rettangolare, dello stesso delle altre precedenti. La totale disomogeneità, la mancanza di un disegno unitario e la superficialità con cui il lavoro è stato eseguito suggerisce immediatamente che si tratta di una ricostruzione molto approssimativa che reimpiega ancora una volta parte del materiale antico. Il tutto, quindi, sembra che sia stato trasportato in questa chiesa da un altro luogo per adornarla quando furono eseguiti dei cambiamenti sostanziali. 286