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La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua, quest'ultima si divide in due sottocategorie : la linguistica generale ( che studia le lingue e il loro funzionamento) e la linguistica storica (che studia l'evoluzione delle lingue nel in modo diacronico). Comunque sia la linguistica è lo studio scientifico (poiché rigoroso e con metodi appropriati) del linguaggio verbale umano il cui scopo è prendere il linguaggio e comprenderlo nella maniera più profonda possibile, in sintesi fornisce un'analisi del linguaggio umano. Lingua e Linguaggio sono due concetti differenti e infatti :
Arbitrarietà Lingua = sistema di segni arbitrario Es. ted. kalt 'freddo ' -it. caldo 'caldo', freddo 'freddo' ted. brot 'pane' -it. brodo 'brodo', pane 'pane' Articolabilità Lingua = sistema di segni articolati Es. it. casa = cas (abitazione) + a (sing., femm.) bovino + maschile = toro bovino + femminile = mucca esiste anche un secondo livello di articolazione: casa = [k + a + s + a]: [a] = vocale, orale, bassa, centrale, non arrotondata, breve,
This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 PIERANGELA DIADORI Teoria e tecnica della traduzione. Strategie, testi e contesti. Le Monnier Università, Milano, 2012, 380 pp. Nell'ormai vasto panorama dei Translation Studies la ricerca scientifica ha senza dubbio raggiunto notevoli risultati: la traduttologia è stata declinata in molteplici prospettive, tanto teorico-metodologiche quanto pratico-applicative e si è lasciata arricchire dai contributi provenienti da altre discipline, quali la sociolinguistica, la linguistica applicata, l'antropologia culturale e, non ultima, la didattica delle lingue straniere. In questo scenario variegato, la dimensione della traduzione probabilmente un po' più trascurata è quella di stampo pedagogico e didattico. Difatti, sebbene la traduzione faccia parte, ormai da più di un decennio, dei piani di studio di numerosi corsi universitari, tanto triennali quanto specialistici 1 , nel panorama editoriale italiano è davvero esi...
Dal latino all'italiano L'italiano deriva dal latino, come altre lingue (portoghese, francese, spagnolo, catalano, rumeno), ma non dal latino classico degli scrittori, bensì dal latino volgare. Tale concetto di solito viene usato per indicare i diversi livelli linguistici esistenti nel latino, ma nello stesso tempo fa riferimento a uno sviluppo diacronico (= della lingua) che vede emergere nella tarda latinità usi linguistici spesso all'origine egli sviluppi romanzi → Componente sociolinguistica + componente diacronica. Il volgare si è modificato, ha dato vita alle lingue neolatine e tutti i dialetti italiani derivano dal questo. Nella zone della Toscana si erano stabiliti gli etruschi, i quali parlavano una lingua totalmente differente dal latino, non di origine indoeuropea e questo ha permesso che si apprendesse meglio il latino, in maniera più fedele. Lessico → la maggior parte delle parole usate oggigiorno provengono dal latino, ma di altre possiamo supporre una forma passata esistita solo in un certo periodo e poi ricostruita. Ad esempio → Testa: in latino si usava il termine " Caput " , il termine " Testis " indicava un vaso di terracotta; probabilmente veniva usato ironicamente in passato e questo uso si è mantenuto. Bello: in latino si usavano i termini " Pulcher " e " Formosus " ; il " Bellus " si è diffuso con un significato di " gentile " , " piacevole " e negli anni si è affermato, nel momento in cui si è perso l'uso di " Bellum " per indicare la guerra. Altre parole, invece, dette allotropi (da allos = altro e tropos = diverso), hanno lasciato più termini, a seconda della provenienza del latino volgare o del latino colto. Ad esempio → Vizium: ha dato vizio = dalla lingua colta,infatti notiamo che non si è modificato, non è passato dalla lingua orale; o vezzo = dalla lingua popolare, infatti si è maggiormente modificato. Causa: ha dato causa = dalla lingua colta, si è mantenuto identico; o cosa = dalla lingua popolare, ha cambiato forma e significato.
La linguistica è la scienza del linguaggio. Studia come funziona: il pensiero. Infatti il pensiero e il linguaggio sono legati in maniera indissolubile e si influenzano a vicenda. Wilhelm von Humboldt: il linguaggio è di fatto una vera condizione di tutte le attività intellettuali. sapere come funzionano i meccanismi obbligati della lingua permette di aumentare la nostra consapevolezza dei limiti e delle leggi della lingua stessa. Significa capire meglio perché pensiamo ciò che pensiamo. Ogni lingua si pone come mediatrice tra la realtà e l'idea che non si facciano di essa " ipotesi Sapir-Whorf", è stata fatta risalire a Humboldt ma è più antica. Si può pensare che anche in questi casi la relazione di causa-effetto bada dalla cognizione della realtà al linguaggio e non viceversa. Del resto, in molti casi proprio non si vede un condizionamento della realtà sulla lingua, che invece appare libera di organizzarsi come vuole. Oltre al fatto di suddividere in maniere arbitrarie la realtà oggettiva, le lingue hanno anche la funzione di creare oggetti ex novo. Il linguaggio non si limita a trovare per essi un nome, come fa per la legna o il verde. Piuttosto, questi concetti cominciano a resistere nel momento in cui qualcuno loro nome: nostalgia, fede, amore, Illuminismo. Il concetto esiste solamente là dove esiste la parola. Ci sono lingue che esprimono con nomi ciò che altre esprimono con aggettivi o con verbi. Moltissime lingue si servono dei cosiddetti classificatori numerati, che funzionano così: quando si vuol dire che una certa cosa si presenta in un certo numero, accanto al numero occorre mettere una parolina al tipo di oggetto che si sta contando. Queste distinzioni non sono molto dissimili da quelli di genere. Chi parla una lingua che divide tutte le cose in maschili e femminili, a una concezione della realtà diversa da chi parla una lingua che attribuisca molte cose e il genere neutro. E generi possono essere anche di più, con evidenti conseguenze sulla percezione della realtà. È famoso il caso di una lingua australiana in quello stesso indicatore del genere è riservato a donne, fuoco e code pericolose.
L'essere è Nello spazio del pensiero occidentale, Parmenide (VI-V sec. a. C.) fa risuonare le sua voce con cui si sveglia un destino: che è la nascita in senso stretto della filosofia. Nel suo Poema sulla natura, egli dice le famose parole: l'essere è, il non essere non è. Il poema sulla natura è il poema sull'essere. Lo seguirà il suo discepolo Melisso di Samo (V sec. a.C.) che intitola la sua opera Sulla natura o sull'essere. Anche per gli ionici e i pitagorici si parla di filosofia. Ma con Parmenide per la prima volta l'interrogazione è esplicitamente rivolta all'essere. Ed è per questo che si fa prendere da lui l'avvio, nel senso più proprio, della storia della filosofia, che è storia del pensiero dell'essere da Aristotele fino ad Heidegger. In questa fondazione del pensiero occidentale si staglia un'altra affermazione forte di Parmenide. Infatti egli aggiunge: essere pensare dire, sono la stessa cosa. E' la cosiddetta identità trinitaria dell'essere, di cui si discute fino ad oggi. Si tratta di una proposta compatta, che fonda la cosiddetta ontologia, che significa discorso sull'essere. Entrano in scena il pensare e il dire che coincidono con l'essere, cioè esprimono tutta la nostra realtà. Heidegger riprenderà queste affermazioni, parlando della Rede (discorso) e del Verstehen (comprendere). A cui aggiungerà Befindlichkeit, cioè la situazione emotiva. Sarebbero queste le determinazioni esistenziali ugualmente originarie e costitutive dell'esserci.
2020
Il fatto è l'oggetto reale che viene osservato e quindi si manifesta nei dati osservati; mentre l'organizzazione è l'oggetto formale che non può essere osservato. Non vi è solo l'osservazione dei dati, ma anche la ricerca della struttura del fatto linguistico, ossia l'individuazione dell'organizzazione interna del fatto linguistico alla luce della sua funzione. Inoltre vuole dare una spiegazione su come una sequenza di eventi fisici, verificabili empiricamente, sia capace di funzionare come messaggio. Metodo con il quale lavora la linguistica è: Conclusioni Il codice è un insieme di potenzialità semantiche. Il codice lingua NON è solo un insieme dei segni linguistici referenziali/categoriali (cfr. triangolo semiotico), ma contiene anche segni funzionali (es. congiunzioni). Il codice lingua contiene in sé anche le regole operative (sintattiche) che servono per creare segni più grandi > eventi semiotici (testi) Quando parliamo cosa facciamo? Non ci limitiamo solo a riunire i codici Es. la parola "boa" ha 3 significati: serpente, galleggiante e frana; si riferisce anche ad un indumento (SIGNIFICATO ESTRANIATO da quello di serpente) ▲ Il significato di un segno non è una cosa MONOLITICA. I segni nel codice lingua NON sono entità monolitiche, con un significato fisso dato una volta per tutte, ma entità dotate di un potenziale semantico che si attualizza solo nelle realtà dell'evento semiotico (del testo). Il difetto della definizione intuitiva: La definizione intuitiva di prima è difettosa perché non tiene conto che possano esistere delle intenzioni nascoste. Si può voler trasmettere un certo contenuto senza far comprendere che lo si vuole trasmettere. Invece le intenzioni comunicative non sono nascoste: perché ci sia comunicazione deve essere manifesto che qualcuno voglia passare un certo contenuto e che voglia che gli altri lo comprendano. Le intenzioni nascoste non possono entrare nella definizione di comunicazione. APPROFONDIMENTO La comunicazione è anzitutto un rapporto fra soggettività. Le strutture della lingua sono usate come strumenti per raggiungere uno scopo. Karl Bühler-"Il messaggio come segno" ▲ Nella Sprachtheorie del 1934 Karl Bühler elabora il concetto di lingua come strumento per comunicare; ▲ Per Bühler, il riferimento a contesto non esaurisce l'evento semiotico; il "segno" è legato al parlante, al destinatario, al contesto. Rappresentazione, espressione ed appello sono FUNZIONI. Il segno rappresenta la realtà ed è una relazione che si instaura tra il mittente e il destinatario. Il segno diventa un evento semiotico in sé. Ed è allo stesso tempo: 1. è un simbolo in quanto rappresenta una situazione che è nel contesto; 2. è un sintomo in quanto è espressione del parlante (notifica la disposizione, la attitudine del parlante); 3. è un segnale in quanto è appello al destinatario (influisce sull'interlocutore). Nel suo modello i segni si collocano propriamente nell'atto comunicativo = il segno "è" il testo. Roman Jakobson lOMoARcPSD|1487174 1 Scaricato da Serena Schilirò ([email protected])
I dati linguistici. Metodologie e strumenti della ricerca, 2024
Atti del Sodalizio Glottologico Milanese, 2019
Educazione all’uguaglianza di genere ed educazione linguistica, 2024
Historiographia Linguistica, 1993
Zii e nipoti in latino e germanico: arcaismo o innovazione?, 2019
Historiographia Linguistica, 1979
UniSa. Sistema Bibliotecario di Ateneo, 2008