Academia.edu no longer supports Internet Explorer.
To browse Academia.edu and the wider internet faster and more securely, please take a few seconds to upgrade your browser.
2018, RIVISTA DIRITTO CIVILE
…
19 pages
1 file
Attualità di un dibattito sulla responsabilità aggravata - Il tema della responsabilità aggravata, come ridisegnata dall’aggiunta del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., nella presente stagione è notevolmente riassurto nei dibattiti tra gli operatori del diritto. b) Il principio di soccombenza Viene illustrato il fondamentale principio di soccombenza – espressione della tralaticia regola victus victori –, ratio ispiratrice degli artt. 91, 93, 95 e 97 c.p.c.: il primo regola, in generale, l’istituto della condanna alle spese del soccombente; il secondo, in deroga al principio dell’anticipazione, faculta il difensore alla richiesta al magistrato di distrarre in suo favore gli onorari e le spese anticipate e non riscosse verso l’assistito; il terzo disciplina la materia delle spese nel processo esecutivo; il quarto contempla l’ipotesi della soccombenza plurima -
Sommario: 1) Premessa. 2) Il nesso di causalità materiale. 2.1) Le principali teorie penalistiche di ricostruzione del nesso causale. 2.2) Accertamento del nesso causale e leggi scientifiche. Verso l'autonomia dal diritto penale. 2.3) Le concause: tra interruzione del nesso causale e fattori irrilevanti. 2.4) Il nesso di causalità negli illeciti omissivi. 3) La causalità giuridica.
Credere Oggi, 2018
Il teologo, che è parte della comunità cristiana, esercita al meglio il suo ministero quando sperimenta tale appartenenza non come sacrificio del suo pensiero, ma come condizione per un esercizio fecondo: dal Vangelo e dall"esperienza umana 1 trae alimento per ascoltare e interrogare, per ricevere e custodire ansie, paure, dubbi, opinioni e per, a sua volta, interpretare e rilanciare domande e risposte, prospettive e angolature, argomenti e incoraggiamenti. Il teologo su temi ad ampio spettro come quello sull"amore coniugale può apparire come colui che vede Dio in tutte le cose e rischiare per tal motivo di essere tacciato per invadente o superficiale; può però essere colui che vede tutte le cose in Dio e mostrare così la fecondità del suo approccio sulle cosiddette realtà terrene, evitando le annose critiche di ingerenza e di giustapposizioni gratuite. Ed è il percorso che intendiamo compiere in questo contributo partendo da due domande molto semplici:-Che cos"è l"amore?-Aggiunge qualcosa alla sostanza di esso la qualifica di "coniugale"? 1. Alla ricerca di una via umanamente significativa 1.1. Le domande prima delle risposte Le due domande sono intimamente connesse quasi che potremmo dire contemporaneamente che della realtà coniugale rimarrebbe poco o nulla se non ci fosse l"amore e che l"amore nella sua massima e intrinseca significatività umana trova nella vita di coppia una cifra irriducibile. Il motivo è presto detto: l"amore è umanamente significativo quando è espressione di un affetto reciproco effettivo che nasce da e conduce all"apertura all"altro. Questo è fenomenologicamente rilevabile per chi ha esperienza sul campo dell"azione pastorale, in particolare quando ci si occupa di corsi prematrimoniali o di gruppi giovanili. Quale operatore pastorale troverebbe opposizione alla suddetta definizione di amore? Credo nessuna opposizione! Sennonché, i malumori si farebbero sentire non appena l"operatore pastorale cominciasse a fare intendere che quella realtà da tutti riconosciuta come umanamente significativa-ovvero la vita a due implicata reciprocamente come compimento di sé nella consegna indissolubile all"altro-lo sarebbe solo ed esclusivamente a patto di vederla inverata solo nella sua istituzionalizzazione sociale, in una parola nel matrimonio. Perché dal riconoscimento ai malumori? Da ciò bisogna partire per imbastire una riflessione eminentemente etica sull"amore coniugale senza interferenze con altre questioni che hanno addentellati con la sfera del diritto e della organizzazione sociale. Due sono le domande che nitidamente vanno poste:-È vero che l"amore si manifesta quando c"è un"apertura all"altro nel segno della genuinità, della sincerità e dell"autenticità? 1 Rimane un faro per noi l"indicazione conciliare presente nella Costituzione Pastorale su «La Chiesa nel mondo contemporaneo» Gaudium et spes del 7 dicembre 1965 al n. 46: «[…] il Concilio, alla luce del Vangelo e dell"esperienza umana, attira ora l"attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti che toccano in modo specialissimo il genere umano» (EV: n. 1466).
1924
<< all'on. direzione dell'archivio giuridico con preghiera di pubblico giudizio, l'A. >> (Avv. Orazio Condorelli)
Heliopolis, Culture Civiltà Politica, Anno XV (n.2), 2017
Se in tutta la tradizione occidentale la grande questione della filosofia è stata: «Perché l'essere e non il nulla?», Emmanuel Lévinas, a partire dall'esperienza di Auschwitz, mostra l'esigenza non tanto di accertare la preminenza dell'essere che si rivela come guerra degli egoismi nell'affermazione della propria volontà di potenza, quanto di criticarne la pretesa di indipendenza assoluta, di «giusti-ficarlo», ri-orientarlo in vista del Bene e della pace. La totalità dell'essere, costituita dal soggetto autonomo e legislatore, viene frantumata dall'irruzione del volto d'Autrui, che convoca, «aldilà dell'essere», a una responsabilità infinita: è nel momento in cui l'io depone il proprio potere e si riscopre "in ostaggio per l'altro" che si può intravedere la possibilità di un'escatologia della pace che si oppone alla guerra non come pace ontologica o tregua delle armi, ma come «dis-inter-essamento», rottura del conatus essendi e della perseveranza nell'essere, possibilità per il soggetto di vivere «altrimenti che essere», «dis-astrandosi» in vista di Altri. Solo una politica che non rinneghi la propria radice nell'etica e una filosofia come «saggezza dell'amore al servizio dell'amore» possono agire non in nome di leggi astratte e impersonali, ma in vista di un ideale di giustizia oblativa che, riscoprendo l'umanità dell'«altro» uomo, possa accogliere l'Ospite e lo Straniero non annichilendone la singolare alterità.
L'uomo globale tra politeismo dei valori e crisi della presenza. Civitas et humanitas. Annali di cultura etico - politica. , 2016
Riflettendo sul concetto di crisi della presenza nella poetica di Eugenio Montale, si apre un territorio di esplorazione davvero molto vasto nel quale è possibile raggiungere temi di sorprendente attualità. Per delimitare il campo di indagine, si fa riferimento all’uso che del termine ‘presenza’ fa l’etnologo napoletano Ernesto De Martino: dal punto di vista antropologico, per ‘presenza’ si intende la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente e superandola attraverso l’azione. Se Montale è colui che ha vissuto una vita al cinque per cento perché l’arte resta la «forma di vita di chi veramente non vive», che si è spesso nascosto dietro pseudonimi e maschere, la sua poesia sembra avere con il concetto demartiniano di ‘presenza’ molto in comune. Frutto di un lungo processo di accumulazione e solitudine, voce di una tradizione laica, razionale ed europea che, disposta a riconoscere i propri limiti, attraversa anche gli aspetti più inquietanti della realtà per conoscere il presente fino in fondo, la poesia montaliana sembra avere in comune con la ‘presenza’ di De Martino proprio quella capacità di conservare le esperienze e la memoria necessarie a dare una risposta al proprio tempo e ad andare ancora più oltre, trovando quel senso globale che la vita, da sola, non è in grado di scoprire da sé. Infatti, Montale sperimenta, vivendo il periodo delle guerre mondiali, in prima persona quella incertezza a cui si riferisce De Martino quando spiega come l’idea di ‘presenza’ può entrare in crisi: di fronte ad eventi e condizioni particolari, l’uomo prova un’angoscia tale da far crollare la sua facoltà di agire e determinare, appunto, la propria ‘presenza’ o la stessa possibilità di esserci in una storia umana. La sola possibilità di azione per il poeta è attuare quella «vertigine della conoscenza» che realizza il protagonista della poesia «Forse un mattino andando…»: squarciare il velo di Maya è l’azione che ci permette di essere presenti, di guardare in faccia il nulla con cui l’uomo è condannato a confrontarsi ininterrottamente e prendere coscienza di quella condanna alla solitudine che pende sulla nostra esistenza. L’immagine che chiude questa poesia, quella di una massa uniforme di uomini che procedono nella stessa direzione con passo grave, senza nessuna variazione e senza colore, è forse tra quelle che meglio raccontano il mondo della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, dell’orrore dei campi di concentramento e della catastrofe atomica che incombe sull’umanità come un «ombroso Lucifero»: ma questa situazione storica contingente è vista come cosmica, le presenze più minute della realtà partecipano a questo vorticare impetuoso di questo vento di distruzione e della vita stessa, ogni vita è legata all’altra ed «occorrono troppe vite per farne una». Montale scrolla le spalle di fronte alle soluzioni offerte dagli irrazionalismi moderni, dopo Pascoli e D’Annunzio; la sua risposta è di opporre a questo stato di cose un eroismo scavato nell’interiorità perché l’aiuto che può venirci dalla natura o dagli uomini non è illusione solo quando è un affiorare, un «filo di pietà». Perciò per realizzare la propria ‘presenza’, quell’ heideggeriano da-sein, ed arrivare ad esserci-nel-mondo (im-welt-sein), è necessario, anche se si realizza per brevi momenti, quel rivolo di solidarietà, quel mit-sein (essere-con) che ci liberi spezzando la nostra condanna di solitudine. Nella nostra epoca presenzialista, quella dei social network, siamo così connessi da non avere nemmeno la possibilità di essere soli, o al contrario lo siamo più di prima? Facebook, Twitter, Youtube, Instagram, Snapchat, sono effettivamente degli strumenti adatti a condividere con gli altri e a connetterci fra noi, o piuttosto, invece di tenerci insieme, ci legano come delle pesanti catene, uno a uno, “monadi senza porte e senza finestre”? In un articolo pubblicato in occasione dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1975 intitolato «È ancora possibile la poesia?», il poeta riflette su quale destino possa avere nel nostro tempo la più discreta delle arti. A suo avviso riflettere sulle sorti della poesia equivale a chiedersi se l’uomo di domani sarò in grado di risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione: la poesia ha vitale bisogno di silenzio e di quella solitudine “buona” che ci avvicina a noi stessi, ma i tempi hanno ormai assunto «connotati lividi di disperazione» in cui l’uomo è giunto a provare un tale disgusto per se stesso da essere riuscito a liberarsi di tutto, persino della propria coscienza. Il poeta scrive: «Un esempio lampante di tale processo sono i luoghi in cui si radunano milioni di giovani ad ascoltare quella musica rumoristica che serve ad esorcizzare l’orrore della loro solitudine». I trilli, i poke, gli avvisi delle notifiche, i click delle fotocamere sono mezzi che servono ad avvicinarci o piuttosto a lasciarci isolati, perché in filigrana si legge l’eco di quella musica rumoristica di cui scrive Montale, che non è da ascoltare, ma non serve ad altro che ad impedirci di prestare attenzione a noi stessi e agli altri, esorcizzando l’orrore della nostra solitudine?
SOMMARIO: 1. Il problema della funzione sanzionatoria della responsabilità aquiliana: in particolare, la questione della riconoscibilità di sentenze straniere comminatorie di danni punitivi-2. I mutamenti in atto nel magmatico sistema della responsabilità aquiliana-3. Fattispecie di responsabilità civile con funzione sanzionatoria-4. La nuova e discussa figura delle sanzioni civili pecuniarie-5. Il controverso rapporto tra danni punitivi e ordine pubblico-6. Alcune considerazioni d'insieme. ABSTRACT. La recente sentenza delle Sezioni Unite n. 16601/201,7 in tema di delibabilità di provvedimenti stranieri di condanna ai danni punitivi, offre l'occasione per riflettere sul tema delle funzioni ascrivibili alla responsabilità aquiliana. Dopo una prima parte dedicata all'analisi dell'istituto della responsabilità civile, il presente saggio si concentra sulle principali fattispecie a carattere sanzionatorio presenti nell'ordinamento al fine di riflettere sulla ammissibilità dei danni punitivi. The recent judgment of the Supreme Court n. 16601/2017, about foreign exequatur procedure ordering payment of punitive damages, offers the opportunity to study the functions of the Italian tort law system. After a brief analysis of the Italian tort law, this paper examines the main punitive cases in order to reflect on the eligibility of punitive damages in the Italian legal system.
Loading Preview
Sorry, preview is currently unavailable. You can download the paper by clicking the button above.
Rivista del diritto commerciale, 2020
La dissolvenza della Ragione. Distopie e dogmatismi nell'era Covid, 2021
CRESCITA, RESPONSABILITA' SOCIALE D'IMPRESA E INUTILITA', 2022
Rivista del diritto della navigazione, 2018
Dignità, libertà, ragione bioetica, a cura di E.D'Antuono, 2018