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1 file
Marco Armeno, 2022
Traduzione interlineare italiana del testo armeno del vangelo di Marco, a cura di Reggi, Faenza 2022
Ignazio Falconieri e la traduzione delle 'Troiane' di Seneca, pp. 11-25
Matteo Armeno, 2022
Traduzione interlineare italiana del testo armeno del vangelo di Matteo, a cura di Reggi, Faenza 2022
Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 48 (2004), 359-382
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2020
Questa versione di amarico, amharico, sarebbe più corretta perché indica la lingua degli Amhara. Ma è uso comune chiamare lʼamarico così, senza h, anche se il nome dellʼetnia resta Amhara e non è mai Amara. 2 La trascrizione dei termini amarici in uso in italiano e dei nomi di origine etiopica è semplificata per facilitarne la lettura. Per essi non viene quindi adottata la trascrizione fonologica presentata in § 7.2. e § 7.3. 3 Lʼamba è una montagna con cima piatta ed estesa caratteristica dellʼaltopiano etiopico.
2013
Su Ammiano Marcellino, ritenuto a ragione il maggiore storico pagano in lingua latina della tarda antichità, possediamo sporadiche notizie, desumibili quasi esclusivamente dalla sua stessa opera e da una epistola (1063 Förster), che gli sarebbe stata forse inviata dall'oratore Libanio nel 392 d.C. a Roma. Il retore, che denomina il destinatario della lettera Marcellino, lo descrive come originario di Antiochia, capitale della provincia di Siria. E dunque, se si ritenesse che il Marcellino chiamato in causa da Libanio sia da identificare con lo storico Ammiano Marcellino, la provenienza antiochena di quest'ultimo sarebbe assodata; ma fra i critici molti respingono tale identificazione (ex. gr. Fornara, Bowersock, Barnes, contra Matthews, Sabbah), proponendo, invece, per lo storico origini tessalonicesi, alessandrine, o fenice. Ad Antiochia comunque lo storico dovette risiedere a lungo, fin da giovane (anche se non ne fu originario), come mostrano gli ampi riferimenti alla città contenuti nella sua opera e i numerosi legami con influenti antiocheni (Kelly). Assodata è la sua data di nascita, risalente al 330 d.C.; mentre più controversa resta la definizione del suo status sociale di appartenenza. A lungo si è supposto che fosse esponente della classe curiale cittadina (Thompson, Viansino), ma la sua vasta e raffinata educazione bilingue e soprattutto il fatto che già nel 353, poco più che adulescens, fosse assegnato dall'imperatore Costanzo II come protector domesticus allo stato maggiore del magister equitum d'Oriente, Ursicino, inducono piuttosto a ritenere che appartenesse a una famiglia dell'élite militare o amministrativa dell'impero (Barnes, Kelly). A Ursicino restò sempre fedele, seguendolo prima a Nisibi in Mesopotamia, poi, nel 355, in Gallia, contro l'usurpatore Silvano, che venne annientato. Tornato in Oriente, ad Amida, insieme al suo comandante, subì nel 359 l'assedio e la sconfitta da parte dei Persiani, eventi che determinarono in seguito l'esonero dagli incarichi militari di Ursicino, per volere del detestato imperatore Costanzo II. Che cosa accadde ad Ammiano dopo tali rovesci resta difficile da stabilire. E' certo che nel 363 fu al seguito dell'imperatore Giuliano, quando, divenuto Augusto dopo la morte di Costanzo, promosse una nuova spedizione in Persia. L'impresa si rivelò nefasta, poiché, non solo comportò l'inaspettata morte del giovane imperatore, ma costò all'impero romano la perdita di ben cinque province situate oltre il corso del Tigri. Allora Ammiano probabilmente si ritirò a vita privata in Antiochia, compiendo viaggi in Egitto e in Grecia, di cui resta testimonianza nelle Res gestae. Dopo la gravissima sconfitta subita dall'imperatore Valente, nel 378, ad Adrianopoli, si trasferì infine a Roma, dove rimase probabilmente a lungo, senza mai conseguire l'ambita carica di senatore (vir clarissimus), ma certamente rivestendo quella meno altisonante di vir perfectissimus. Nella città ove, come è stato supposto (Barnes, Viansino, Kelly), giunse al seguito del conterraneo Flavio Ipazio, nominato Praefectus Urbis e in seguito Prefetto del Pretorio per volere dell'imperatore Graziano, lo storico trovò il clima adatto per la stesura definitiva della propria opera, le Res gestae, che scelse di redigere, in ossequio a Roma, in latino, nonostante fosse, forse, di formazione greca (Barnes, ma contra ex. gr. Fornara).
Può apparire spudorato, inopportuno quindi, aprire una riflessione sulla storia del Movimento femminista italiano attraverso i suoi manifesti parlando di un'amicizia femminile; eppure, tra le due cose c'è un nesso, tanto casuale quanto voluto e necessario Si era già agli inizi degli anni Ottanta, anni di transizione nella nostra storia. Già erano nati molti Centri di documentazione, di studio, alcune librerie, i primi nuclei di archivi; già avevamo alle spalle dieci anni e più di presa di coscienza, come si diceva allora, e di lotte; già si parlava e scriveva di storia delle donne. Annarita Buttafuoco aveva fatto molte di queste cose; io, che fino a quel momento avevo tenuti separati illuminismo e femminismo, ero solo agli inizi di una mia riflessione tra politica e storia. Lei era stata invitata dall'Udi di Palermo per una conferenza sull'emancipazionismo italiano; io avevo in mente una ricerca sull'emancipazionismo catanese, che non ho ancora fatto. Andai a Palermo per capire e sapere. Mi fu chiesto di recarmi a prelevare Annarita in albergo. Non ricordo molte cose di quell'incontro. Ricordo solo che decisi di condividere con lei le mie abitudini palermitane: una carrozza un po' sconnessa, un cavallo bruno sotto gli alberi del viale della Libertà, un ristorante vicino a piazza Politeama-pasta con le sarde, squisita-e un fitto parlare delle nostre vite. Da allora, molte parole e gesti, alcune cose importanti condivise: un'amicizia tessuta a trame larghe, la nostra libertà, e a trame fitte, un credito sempre aperto, a prudente distanza e ad affettuosa prossimità, convinte noi reciprocamente di voler spendere in questo nostro legame quanto di meglio abbiamo di noi stesse. Tutto ciò ha a che vedere con questa mostra, poiché l'incontro di due donne al crocevia del proprio desiderio di esistenza è nato (o è emerso) proprio in quegli anni Settanta nei quali questo desiderio si fece progetto politico rivoluzionario, non solo per noi. Per questo, e per tutto quello che la mostra racconta, è valsa la fatica, e il piacere, di conservare, ordinare, mostrare un primo consistente nucleo di manifesti del Movimento femminista e del movimento politico delle donne in Italia. Abbiamo così voluto fornire materiali e proposte per un lavoro storiografico e per la lettura politica di una vicenda che solo da pochi anni costituisce oggetto di indagine utile a comprendere tutta la storia italiana degli ultimi trent'anni. Il Movimento femminista, in particolare, affidò soprattutto al gesto e alla parola il proprio senso e non si pose il problema della trasmissione né politica né storica del suo patrimonio, nella baldanzosa certezza di essere la politica, di essere la storia. Volantini e manifesti, spesso senza data né luogo né firma, sono documenti consueti prodotti negli
Arrigo Serpieri. Un grande maestro, 2023
Monografie del Centro Ricerche di Documentazione sull'Antichità Classica, 2012
Ma... Su una frase interrotta di Vasco Bendini, 2023
Studi italiani di Filologia Classica, 2005