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S. Rulli, Tecniche e gusto ornamentale nella policromia

2018, in Maraglianeschi. La grande scuola di Anton Maria Maragliano, a cura di Daniele Sanguineti, Genova, Sagep, 2018, pp. 117-125

Abstract

Gli studi più recenti sulla scultura lignea genovese e sulla produzione di Anton Maria Maragliano hanno gettato ampia luce anche sul ruolo giocato da coloritori e doratori nel far percepire come reale e 'agente' l'immagine del santo o l'epifania del divino e nel ricercare quella mimesis da sempre obiettivo principe della scultura lignea 1 . Veridicità, realismo, naturalezza, rappresentare l'irrappresentabile, rendere verosimile l'azione del sacro (l'estasi, la gloria, il martirio) agli occhi del devoto: il simulacro -'vivo' e tangibile non solo attraverso la sua stessa tridimensionalità ma anche, e soprattutto dalla resa sempre più assimilabile al naturale di epidermidi, tessuti, vesti e manti -divenne così il cuore pulsante di quella ritualità collettiva esercitata nelle processioni delle confraternite e in tutte quelle celebrazioni nelle quali la devozione popolare venerava la Vergine e i santi 2 . Un'operazione, quella della coloritura, che si fece ancora più raffinata quando applicata alla resa dell'incarnato 3 : la delicata dolcezza del volto della Vergine, il corpo esangue del Crocifisso, la drammaticità che accompagna la narrazione del martirio potevano così suscitare il pieno coinvolgimento del fedele. Il colore rosato della pelle, il rosso vivo del sangue insieme alla ricchezza decorativa delle vesti e dei manti divennero così il mezzo attraverso il quale il popolo riconosceva nel simulacro ligneo l'immagine di Cristo, partecipava e provava compassione insieme al santo martirizzato o, semplicemente, viveva come 'reale' e vicina alla sua quotidianità la presenza di Maria 4 . Figura interessante che, più di altri, operò nella resa sia di stoffe e tessuti sia di incarnati è Lorenzo Campostano, iscritto come scultore all'Accademia Ligustica e uno dei più interessanti coloritori di statue attivo per la cerchia degli allievi di Anton Maria Maragliano 5 . Abile sia nel dare vita agli incarnati sia nel rappresentare la ricchezza decorativa delle vesti, nel 1750 fu pagato per l'"indoratura" e per la "carnaggione" del San Lorenzo da poco scolpito -tra il 1745 e il 1750 -da Agostino Storace per l'omonima chiesa di Quiliano (Savona) 6 . Ed è sempre il Campostano a realizzare, nel 1762, l'incarnato del Crocifisso di Giovanni Maragliano destinato all'oratorio di San Bartolomeo a Staglieno 7 . Soluzioni mimetiche che venivano attentamente studiate anche in relazione all'uso devozionale della scultura e in funzione dello sguardo e del punto di vista del fedele; è in questo senso che una veste policroma dorata o con disegni in oro è da leggersi anche in funzione delle modalità con le quali veniva esposto il manufatto alla devozione o veniva fatto muovere durante le celebrazioni: all'esterno, durante il rito della processione, o all'interno, alla luce delle candele e dei ceri, in uno spazio prevalentemente 'chiuso' quale quello degli oratori, illuminato solo da finestre aperte nella parte alta della facciata 8 . L'uso di superfici dorate era quindi funzionale a rendere l'immagine 'viva': la rifrazione dei raggi del sole e il riverbero delle fiammelle, nella pompa della macchina processionale così come nel raccoglimento della preghiera, avrebbero infatti contribuito a rendere l'apparizione del santo o la gloria della Vergine una presenza vivida all'interno di quel "teatro del sacro" che, tendendo a coinvolgere tutti i sensi del fedele-spettatore, nelle chiese e negli oratori più ricchi comprendeva anche stucchi, dipinti, argenti, tabarrini, fanali processionali, laudi accompagnate dalla musica 9 . In questa ricerca di verosimiglianza svolgeva un ruolo fondamentale anche la rappresentazione delle stoffe, i cui complessi motivi decorativi, rimandando a damaschi e broccati, avevano quale scopo ultimo, al pari degli incarnati, il coinvolgimento del fedele. Tali motivi, direttamente ispirati ai modelli che l'artista francese Paul Androuet Du Cerceau 10 aveva elaborato nel corso della seconda metà del Seicento per tessitori e rimatori 11 ma che venivano ampiamente utilizzati -in nome di quell'unità delle arti tutta barocca -in molteplici campi della decorazione (figg. 1-2) 12 diverranno, grazie soprattutto alla produzione di Anton Maria Maragliano, un vero e proprio modus operandi per la definizione dei tessuti rappresentati dalla scultura lignea, non solo per i collaboratori della bottega del maestro, ma anche per l'intera cerchia degli allievi 13 . È così che, anche a Settecento avanzato, i motivi decorativi utilizzati erano ancora gli stessi che connotavano la veste policroma di sculture e 'casse' processionali risalenti alla fine del Seicento. I ricchi e articolati racemi floreali del Du Cerceau erano infatti divenuti un vero e proprio codice figurativo per le stoffe e i tessuti che ammantavano le nuove sculture, così come per i rifacimenti di manufatti preesistenti. È il caso della Madonna del Rosario conservata nella chiesa di Santa Maria di Apparizione, realizzata dalla bottega di Maragliano intorno agli anni quaranta del Settecento ( ) 14 o della più tarda Madonna Immacolata, opera di Giulio Casanova, allievo di Storace, per la chiesa 1 154-155. 5 "ricercatissimo […] a dar tinte e d'oro sulle sculture" come lo definisce l'Alizeri, preparato all'Accademia Ligustica, si specializzò nella realizzazione delle vesti policrome e dell'incarnato: