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2018, ITALIANISTICA Rivista di letteratura italiana PISA · ROMA
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Si indaga il rapporto dell’umanista di area centro-settentrionale Pontico Virunio, vissuto tra Quattro e Cinquecento, con Luciano di Samosata. Si individua nel ms. B 3471 della Bibl. Com. dell’Archiginnasio di Bologna un’esperienza di scuola del giovane Pontico alle prese con la "Muscae laus" dello scrittore greco. Il nucleo originario di tale esercizio è probabilmente legato al tirocinio presso Giorgio Valla nei primi anni dell’insegnamento dell’umanista a Venezia (1485-88). Più tardi esso sarebbe confluito nella stampa della silloge curata dal Bordon (Venezia 1494). Una ristampa dell’incunabulo veneziano (Bologna 1502) presenta altre tracce del Virunio: al corpus originario si aggiungono due versioni di dialoghi lucianei ("Dialoghi degli dei", xxii e "Dialoghi degli dei marini", v), precedute da una "Luciani vita", di mano di Pontico; modello dell’umanista è stata la princeps lucianea in greco (Firenze 1496). Pure in altre stampe lucianee (Strasburgo 1519 e Francoforte 1538) compare il nome di Pontico, ma a sproposito: gli sono attribuite traduzioni di dialoghi lucianei in realtà di altri umanisti.
Nel Settecento, a Bassano, villa Roberti apparteneva al conte Guerrino Roberti, uomo colto e di fine ingegno, che riuniva nel suo palazzo una dotta ed erudita compagnia di nobili ed ecclesiastici non solo del luogo. Fu in questo clima vivace culturalmente che visse la di lui figlia Francesca, destinata a diventare una pastorella arcade con il nome di Egle Euganea, animatrice del cenacolo di letterati ed eruditi che presso di lei si riunivano. 1 Francesca Roberti, fine poetessa e traduttrice, ebbe una formazione improntata alla conoscenza degli autori classici italiani e latini; amante del Petrarca, si dedicò soprattutto a tradurre opere di autori greci e stranieri, coniugando questa scrittura con quella in prosa e in poesia. Fu animatrice del salotto in cui, come abbiamo detto, convergevano i più noti letterati ed artisti, ad esempio Melchiorre Cesarotti, Ippolito Pindemonte e Jacopo Vittorelli. Si trasferì a Padova nel 1766 a seguito del matrimonio con il nobile padovano Andrea Franco, da cui ebbe un figlio, Ludovico, che, diventato giacobino, dissipò il patrimonio della famiglia e costituì il suo più autentico dolore. 2 Tra i molti rapporti che la Roberti intrattenne, aggiungiamo in questa sede anche quello con il friulano Alfonso Belgrado. Nell'Archivio di Stato di Udine 3 sono conservate otto lettere autografe della Roberti indirizzate al nobile Belgrado di Udine. 4 Delle otto missive, sei risultano datate e coprono l'arco di tempo 1 Per le notizie su Francesca Roberti Franco (Bassano, 1744-Venezia, 1817) vd.: L. Chiarelli, La contessa Francesca Roberti-Franco ed il suo salotto in
In questo saggio esamino la corrispondenza poetica tra Dante e Cino da Pistoia nel suo complesso. La mia idea, abbozzata in questo saggio ma che continuo a sviluppare, è che in questa corrispondenza in versi si legga in controluce l'evoluzione ideologica di Dante dall'inizio del suo esilio agli albori della composizione della Commedia.
Nuova Rivista Storica , 2023
Power politics and cultural propaganda were both tools of the international strategy of Italy, after the Ethiopian War as the government of Rome was trying to engage the United Kingdom. All that implied larger interaction of colonial and European policies and diversified shades in the attitude of actors. Giacinto Auriti and Giuseppe Tucci were two characters who played a significant role in such framework whichis still worth additional investigation. The hypothesis is reasonable that the idea of enlarging the Italian influence in East Asia was cultivated by them to some extent independently of the pro-German circles of the establishment.
in «L'ospite ingrato. Rivista online del Centro Interdipartimentale di Ricerca Franco Fortini», 9, gennaio-giugno 2021, pp. 151-167.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta Fortini comincia una lunga carriera da docente, prima a scuola e poi all’Università. In questo periodo svolge una intensa riflessione sul ruolo e la funzione dell’insegnante, sulle istituzioni scolastiche e accademiche, sui libri di testo e sulle modalità di insegnamento confrontandosi anche con altre esperienze, tra cui quella di Milani. Sebbene il nome del sacerdote torni più volte nel corso del tempo negli scritti di Fortini, due sono i momenti di maggior impegno critico. Il primo nel 1967 in occasione di un confronto ospitato sulle colonne dei «Quaderni piacentini» e il secondo in un convegno sulla figura di Milani nel 1980. Il contributo si propone di ripercorrere tali occasioni mettendole a confronto per valutare l’evolversi nel tempo delle posizioni di Fortini. Partendo da queste considerazioni ed evidenziando vicinanze e distanze tra i due autori, il saggio vuole offrire elementi utili a comprendere meglio non solo la posizione Fortini nei confronti del priore di Barbiana ma l’idea stessa di educazione che intendeva proporre e che tanta importanza ebbe nelle sue coeve riflessioni sulla società e sui mutamenti sociali.
Parallelamente al percorso che porta Alfieri ad affinarsi come tragediografo, questi sviluppa l'ideale del Sublime Scrittore, figura titanica nella quale s'identifica pienamente, contrapposta a quella del tiranno. Il concetto di Sublime costituisce la base di tutto il sistema di pensiero del poeta piemontese e coincide con l'espressione formalmente perfetta di un'idea di altissima levatura morale. Sicuramente Alfieri ebbe modo di studiare il trattato Del sublime (attribuito al filosofo greco Longino) poiché questo fu tradotto dal suo amico Francesco Gori, che lo fece stampare nel 1733. Dunque, si può affermare, senza dubbio, che lo Pseudo-Longino sia una delle fonti del pensiero dello scrittore astigiano, il quale rielabora, in modo personale, le teorie espresse nel suddetto scritto greco, facendone la base di tutta la propria produzione. Innanzitutto, colpisce il fatto che il filosofo greco affermi che "la scienza e il discernimento del vero sublime non sono cosa facile". 1 Infatti, per Alfieri il sublime non è una mera categoria estetica, ma l'essenza stessa dei propri pensieri ed, in ultima analisi, della propria esistenza. Come scrive Maria Pastore Passaro:
2020
Tesi di laurea magistrale scritta sotto la supervisione dei prof. Camillo Neri e Antonio Cacciari presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (corso di laurea in "Filologia, Letteratura e Tradizione Classica"). Studio dedicato alle testimonianze di Cristo e dei cristiani all'interno dell'opera di Luciano, con attenzione ai procedimenti satirici messi in atto e alla storia della tradizione sul Samosatense in relazione all'argomento.
Tra le numerose testimonianze epigrafiche, di cui si ha memoria o che ancora si conservano a Trevico, ve n'era una giacente, una volta, nella dimora della famiglia Cuoco. Dobbiamo alla solerzia del dotto canonico Andrea Calabrese se oggi ne conosciamo il testo, trasmesso a Mommsen, con il quale era in stretta corrispondenza, nell'anno 1876 1 . L'iscrizione, con molta probabilità, era riportata su una pietra tombale di forma semicilindrica, della fattispecie dell' "arca lucana" 2 , un semplice segnacolo adagiato sul tumulo del defunto, la cui diffusione è ampiamente documentata nella "Regio II" e nelle nostre contrade 3 . Un esemplare del genere lo ritroviamo conservato proprio nella cripta della cattedrale del "tetto dell'Irpinia" 4 . Le parole della lapide di casa Cuoco riportavano i nominativi di Agrio Rufiliano e di Lusia Qui(e)ta: D · M 5 AGRIO · RV FILIANO LVSIA · QVI (sic) TA · CON · B · P La scritta segue il formulario consueto nelle epigrafi tra il I e il IV secolo d.C., con la deferente supplica iniziale rivolta agli Dei Mani, ossia alle anime degli antenati ritenute delle divinità infere minori. Lusia Qui(e)ta, dunque, pose l'epitaffio dedicandolo alla memoria del defunto coniuge benemerito. Il fatto che il destinatario dell'epigrafe, Agrio Rufiliano, sia al caso dativo, e non al nominativo o al genitivo, significa che egli è assimilato di fatto agli dei Mani 6 . Questo particolare, inoltre, serve a circoscrivere la datazione della lapide al II-III secolo d. C., in quanto proprio in quel periodo storico prevale tale casistica. La mancata indicazione della tribù di appartenenza, già in atto in età flavia, diventa comune nel II secolo e si generalizza all'atto della promulgazione della "Constitutio Antoniniana" 7 che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero Romano, ad esclusione dei dediticii 8 e dei liberti che durante la schiavitù avevano subito pene infamanti 9 . Con l'editto di Caracalla, che mirava ad estendere la platea dei contribuenti, l'appartenenza ad una delle tribù in cui era suddivisa la cittadinanza romana con pieno diritto ("cives optimo iure") venne a decadere definitivamente, in quanto fu svuotata di ogni significato giuridico. Anche l'assenza del "praenomen" nell'onomastica del dedicatario conferma che l'età dell'epigrafe non esorbita dal II-III secolo d. C., in quanto, ad iniziare dal II secolo d. C., esso tende a scomparire, sostituito, come nome individuale, dal "cognomen" 10 . Tuttavia, proprio nel corso del II secolo nella classe magnatizia si affermano i cosiddetti poliònimi. Tanti personaggi eminenti assumono il vezzo di moltiplicare i nomi personali in modo inverosimile, per cui non solo si conserva il praenomen ma si aggiunge anche tutta una serie di nomina, cognomina, agnomina desunti persino da avi e proavi 11 . Ma chi poteva essere Agrio Rufiliano? La ipotizzata tipologia della sua pietra tombale ci orienta verso una determinata classe sociale composta in prevalenza di schiavi, liberti o soldati congedati dopo una "honesta missio" 12 . Tuttavia, una disamina attenta dei componenti degli Agrii e dei Rufiliani ci consente di rilevare come molti di essi abbiano perseguito un "cursus honorum" di prestigio, fino ad attingere le massime magistrature nei municipi di residenza o nella stessa Roma. Se, dunque, la gran parte di coloro che recavano quei nominativi era di condizione sociale modesta 13 , taluni personaggi di quelle famiglie denotano uno status economico, sociale e politico di tutto rilievo. La "gens Agria", forse di origine etrusca 14 , è attestata più di frequente nel Lazio, con una cospicua presenza ad Ostia, e nel Sannio. La "familia" apparteneva all'ordine equestre 15 ed alcuni componenti entrarono a far parte del Senato di Roma. Dal I secolo a. C. quella "gens" è documentata proprio nella Regio I, che nella suddivisione augustea comprendeva parte della Campania e del Lazio, anche se la comparsa degli Agrii sulla scena politica e sociale è sicuramente antecedente. Una certa Agria Sueia era una sacerdotessa addetta al culto di Cerere e di Venere 16 . Ben più prestigioso fu il ruolo di Gneo Agrio Pollione, quadrumviro del municipio di Cassino e duumviro "iure dicundo" con il collega Lucio Aufeio Apoteca, con ampia giurisdizione estesa all'amministrazione ed alle finanze di quella località 17 . Ovviamente, una presenza significativa dei componenti di quella "gens" si ha nella Capitale Eterna e nel suo territorio, dove, tra esponenti maschili e femminili di minor conto, su una lapide di marmo frigio, ancorché mutila, è attestato un magistrato, Agrio Sereno 18 . Un altro personaggio insigne, vissuto, con tutta probabilità, nel V secolo d. C., è Giulio Agrio Tarrutenio Marciano, il cui prestigioso "cursus honorum" ci è noto attraverso una iscrizione posta sulla base di una statua a lui decretata dal Senato di Roma e con il consenso del principe. Chi fosse il notabile "clarissimus et inlustrissimus", meritevole di un così alto riconoscimento, emerge a chiare lettere nella epigrafe celebrativa, purtroppo perduta, ma il cui testo è conservato nel "Corpus Inscriptionum Latinarum" 19 . Di animo nobile, fornito di notevole eloquenza e di un alto senso della giustizia, diede prova delle sue eccelse doti nel fiore della gioventù, iniziando la carriera politica come "quaestor candidatus" e "praetor candidatus", per poi conseguire il governatorato della Sicilia e il proconsolato dell'Oriente 20 . Fu, inoltre, prefetto dell'Urbe e contestualmente giudice "sacrarum cognitionum" su delega dell'imperatore in persona, con giurisdizione sui processi di appello 21 . Questo ci fa intendere che doveva godere di grande prestigio presso la massima autorità di Roma, trattandosi di incarico fiduciario. Giulio Agrio Tarrutenio Marciano
in Ruperto Banterle (1889-1968), a cura di Camilla Bertoni, Verona, Scripta ed., 2018
I rapporti tra Fiumi e Banterle, tra poesia e scultura; in particolare in riferimento alla stampa del primo libro di Fiumi, Polline, stampato a Milano per i tipi dello Studio Editoriale Lombardo, gestito da Mario Puccini, Gaetano Facchi e Carlo Linati.
Abstract: sulla questione Giulietta e Romeo in Friuli. Matteo Bandello pare suggerire dai suoi testi come la Novella del Da Porto non rivesta solo carattere sentimentale ma grande natura politica di storia criminale.
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Rileggendo Petronio e Apuleio, 2020
L’altra antichità. Autorialità e testualità nella letteratura della prima età moderna / The Other Antiquity. Authorship and Textuality in Early Modern Literature, a cura di Irene Fantappiè / Bernhard Huss. Manziana (Roma), Vecchiarelli 2022, pp. 191-229.
Medioevo Greco, 2022
Dante e i poeti del Novecento, a cura di Simone Magherini, 2022
Innesti : Primo Levi e i libri altrui, 2020
Doctissimus antiquitatis perscrutator. Studi latini in onore di Mario De Nonno, 2024
Arnaldo Momigliano della storiografia del Novecento, a cura di L. Polverini, Roma 2006, 11-35