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Dal punto di vista delle prestazioni atletiche e tecniche che richiede, il calcio è certamente un grande sport. Ma lo è un po' meno, e quindi merita un po' meno di essere descritto con questa parola, dal punto di vista di uno dei capisaldi della sportività, cioè l’ideale olimpico alla De Coubertin, che auspica la vittoria del migliore. Non ci riferiamo alle note storie di corruzione intorno al calcio, che peraltro affliggono anche altri sport; ma proprio al modo in cui è strutturato il gioco stesso. Cercheremo di mostrare - in una serie di passaggi - che la ridotta coincidenza del calcio con il concetto di sportività può essere fatta risalire al modo in cui il calciatore ha diritto di toccare la palla, e più in particolare al modo in cui le regole del gioco stabiliscono il grado di controllo che il calciatore ha sulla palla e su ciò che intende farci.
Si potrebbe dire, come fanno molti, che la parola in questione va comunque evitata per motivi pratici e psicologici: per incoraggiare comunque ad abbandonarne le conseguenze discriminatorie. Ma questo è forse la parte peggiore di tutta l’ideologia che sta dietro alla proposta di bandire razza, e come lei altre parole incolpate di cose che non dipendono affatto da loro. Infatti, dire che per non essere razzisti sia necessario evitare la parola, significa dire che per non discriminare in base a differenze occorra fingere che le differenze non ci siano. Invece, la cosa desiderabile è che vedendo le differenze, e riconoscendo che ci sono, non si discrimini. Che civiltà saremmo, se fossimo capaci di non discriminare solo l’uguale, e quindi per non discriminare il diverso dovessimo fingere che sia uguale? Davvero eliminiamo il razzismo, se per non discriminare l’altro abbiamo bisogno di credere che le razze non esistono, cioè che il motivo per non discriminare una persona è che... appartiene alla mia razza? Insomma, il non razzismo che hanno in mente queste persone sarebbe il rispetto per la mia razza. Mamma mia. Ebbene, questa è la via antirazzista proposta dal politically correct.
Il senso in cui oggi in Italia viene usata la parola famiglia è spesso un senso truffaldino, abusivo, che provoca (come minimo) una profonda irritazione in chi se ne rende conto. Può essere interessante descrivere da vicino il tipo di procedimenti che determinano questo risultato. Per farlo, occorre un preambolo su alcuni meccanismi generali di costituzione dei significati. Il valore delle espressioni linguistiche è veicolato solo in parte dal significato che le parole hanno sul dizionario, detto significato convenzionale, e dalle regole della grammatica che determinano il significato composizionale degli enunciati. Moltissimo senso è affidato ai significati impliciti che il destinatario aggiunge mettendo in relazione l'enunciato con il contesto. Ad esempio, se diciamo che Gianna ha finito il suo libro, non diciamo se ha finito di leggerlo, di scriverlo, di rilegarlo, al limite di mangiarlo (se Gianna è una capra); ma il destinatario integrerà questa porzione di senso in base a informazioni contestuali. Un tipo particolarmente interessante di integrazione del significato "a cura del destinatario" sono quelle che negli anni 1960 il filosofo del linguaggio britannico Paul Grice ha chiamato implicature conversazionali. Questi significati scaturiscono dal fatto che i parlanti sono abituati a interpretare qualsiasi messaggio come utile e cooperativo. Ad esempio, nel seguente dialogo, se preso letteralmente, il parlante B non avrebbe risposto alla domanda del parlante A: A-È tornato Gianni da Parigi? B-Poco fa ho visto una bici rossa davanti al negozio di fiori Eppure A capisce che Gianni è tornato da Parigi, collegando la risposta ai fatti a lui noti che Gianni ha una bici rossa ed è fidanzato con la fioraia. Questo avviene perché A dà per scontato che B sia stato cooperativo, cioè abbia micromega-micromega-online » LE PAROLE DELLA LAICITÀ-F.
Quando si parla di partiti di sinistra, in che senso si usa questa parola? Il PD, residuo del maggiore partito della sinistra italiana, in che senso è ancora di sinistra? E se non lo è più, perché? Un modo di riproporre questi interrogativi è il seguente: quella che molti chiamano la sinistra ha davvero abbandonato i poveri? Non possiamo rispondere in modo organico a queste domande, ma una breve riflessione su ciò che è accaduto può forse servire a capire meglio in che senso parliamo di sinistra oggi in Italia. Detto in modo brusco: non c'è dubbio che di recente il maggiore partito italiano godente fama di essere di sinistra ha abbandonato le cause tradizionali dei poveri, rivelandosi l'alleato del grande potere economico e di quelle élite su cui si è assai discusso in seguito a un intervento di Alessandro Baricco. L'artefice non unico ma più evidente di questa deriva è stato Matteo Renzi, che per tale motivo tutti quelli che sono davvero di sinistra hanno sempre avuto come il fumo negli occhi. Renzi ha realizzato la novità che-semplificando molto-a simpatizzare e votare per il leader del PD non erano più le persone di sinistra, ma gli stupidi di sinistra e gli intelligenti di destra. Questo perché bisognava essere stupidi per non accorgersi che Renzi non è di sinistra, e se si era intelligenti si capiva che era di destra. Tuttavia non credo che questa narrazione esaurisca la storia di come si sono svolti i fatti. Io credo che la sinistra abbia abbandonato i poveri perché-prima-i poveri avevano abbandonato la sinistra. Con il progressivo arricchimento medio degli italiani conseguito al boom economico e poi soprattutto con l'imperante ottimismo economico-aziendale iniziato negli anni 1980, insomma l'era dei manager rampanti che dominavano l'immaginario collettivo (vi ricordate di Mario Schimberni, oppure di Raul Gardini?), gli italiani poveri hanno cominciato a credere di poter diventare ricchi: non soltanto di smettere di essere poveri, ma proprio di diventare ricchi. Diventarlo almeno un po': tutti quanti dei ricchetti. E mettersi a comprare continuamente nuove auto, ennesimi outfit, televisori per tutte le stanze della casa. Questa diffusa aspirazione ha costituito l'humus ideale per l'affermarsi di personaggi che un po' esplicitamente, ma soprattutto implicitamente, promettevano il realizzarsi del sogno di diventare tutti ricchi; tutti dei ricchetti soddisfatti col SUV. Naturalmente il principale di questi personaggi è stato Silvio Berlusconi, che ha la doppia responsabilità di avere incarnato politicamente tale genere di aspirazione al consumo e all'arricchimento (ottenuto se necessario frodando il fisco e violando regole essenziali della convivenza civile), ma ha la responsabilità ancora più grande di avere diffuso e affermato questa mentalità attraverso l'espansione pervasiva della televisione commerciale. In ogni caso, ribaltando una situazione secolare, Berlusconi ha fatto della destra italiana il principale riferimento politico delle persone socialmente svantaggiate, non micromega-micromega-online » LE PAROLE DELLA LAICITÀ-Si.
Micromega online, 2019
In Italia è forte la sensazione che la pubblica amministrazione si comporti in maniera scorretta nei confronti dei cittadini. Chi ha più torto? Chi emana regole troppo restrittive o inique anticipando il fatto che non saranno interamente rispettate, o chi non le rispetta?
In certi ambienti questa parola è usata in modo truffaldino, mantenendone apparentemente il significato ma in realtà cambiando gli oggetti a cui la si riferisce, fino a farle designare cose che sono quasi il contrario.
Circa 5.000 persone ogni anno vengono uccise in base alla condanna di un tribunale ritenuto legittimo: USA, Giappone, Cina, Isis e altri 55 stati adottano questo modo per punire i reati più gravi, nonostante una moratoria votata dalle Nazioni Unite nel 2007. Di solito in questi casi si adopera il termine giustiziare. La cosa non può rallegrarci, per diversi terribili motivi. Qui vedremo solo quello linguistico.
A partire da alcuni lavori di Gottlob Frege e di Bertrand Russell, sappiamo che usando l'articolo determinativo si dà ad intendere che il ricevente conosce già, e può identificare, la cosa designata. Russell animò una discussione di grande importanza con Peter Frederick Strawson per stabilire se il seguente enunciato sia o no falso, quando la Francia è una repubblica:
Questo breve intervento non pretende di essere altro che un riassunto, anche se con un taglio in parte nuovo, di ciò che è già stato detto sul tema da ben altri autori che il sottoscritto. Democrazia è diventata una parola molto simile a quelle di cui si servono le religioni, nel senso che la parola e il suo oggetto sono stati sacralizzati, specularmente demonizzando tutto quello che se ne discosta. Lo scempio atroce dei totalitarismi novecenteschi di ogni colore l'ha resa obbligatoria. Per buone ragioni, dunque, democratico è diventato quasi per tutti un termine assolutamente positivo, mentre non democratico costituisce di per sé stesso un giudizio di condanna. Ma la parola merita ancora di mantenere questo valore così assoluto, e chi la usa ha davvero il diritto di usarla? Perché fosse così, la parola dovrebbe essere usata per parlare di situazioni e comportamenti in cui il potere (greco krátos) è esercitato dal popolo (greco dêmos) inteso come la totalità delle persone, per lo più attraverso suoi rappresentanti, secondo regole che diano la prevalenza alla maggioranza, e garantendo che questa non ne approfitti per schiacciare la minoranza. Le democrazie reali, però, non sempre sono questo. Cioè, gli oggetti a cui la parola viene riferita sono spesso dei sistemi politici e sociali in cui il potere non è esercitato davvero dal popolo. Sotto l'ombrello costituzionale di un regime democratico si nasconde spesso una situazione in cui il popolo non ha il potere; e non perché sia normativamente impedito dall'esercitarlo, ma perché non lo sa esercitare. Questo fa sì che usare termini come democrazia o democratico risulti spesso mistificatorio. Chi formalmente è titolare di un potere può esercitarlo solo se, prima di tutto, è capace di scegliere. Per esempio, a un bambino si può dire che può decidere lui se appoggiare o non appoggiare l'orsetto di peluche sulla stufa; ma se il bambino non sa che la stufa brucia, userà il suo potere per determinare eventi che sono contro il suo interesse. Cioè, non sapendo abbastanza cose, godrà di un potere solo apparente, perché sarà padrone di prendere decisioni, ma non ne sarà capace. Ancora peggio, quando al bambino si dice che può decidere lui se mangiare il minestrone o il gelato, ma poi gli si racconta che mangiando il gelato farà arrabbiare l'uomo nero e quello verrà a prenderlo nel suo letto, il bambino non eserciterà il suo potere scegliendo ciò che preferisce, ma "sceglierà" ciò che preferisce chi lo ha condizionato. Un popolo può dunque esercitare il potere se capisce abbastanza cose da non scegliere contro il proprio interesse, e se è abbastanza maturo da non essere facilmente ingannabile. Chiaramente queste condizioni si possono realizzare solo in parte: quindi a parità di regime costituzionale un paese è tanto più democratico quanto più le persone sono capaci di capire le conseguenze delle decisioni, e quanto più sono difficili da ingannare. micromega-micromega-online » LE PAROLE DELLA LAICITÀ- ...
La parola vittima di uso disonesto e fuorviante di cui ci occupiamo questa volta è cultura. La prenderemo un po' alla lontana.
Queste tre parole, usate insieme, sono diventate pericolose. Almeno, per il sistema nazionale dell'istruzione e della ricerca. Parlerò soprattutto dell'università, che conosco meglio. Il pericolo sta nel fatto che, da chi governa, questi termini vengono usati in modo magico, come possenti parole d'ordine per far credere a tutti che si stia operando nel migliore dei modi possibili; mentre purtroppo spesso si stanno facendo dei danni. Ad esempio, quando si sbandiera che nell'università vengono introdotti meccanismi di valutazione, si sta cercando di far credere che automaticamente si tratti di valutazione giusta; e ci si guarda bene dal ricordare con pari energia che una valutazione sbagliata è possibile, a volte è la più probabile, e ha conseguenze nefaste. Ma invece di soffermarsi su questi dettagli, ci si affretta a dire che grazie alla valutazione si potranno introdurre criteri meritocratici, e meccanismi premiali. Questo genera l'impressione che la valutazione sia ovviamente quella giusta, e che si tratti solo di trarne le conseguenze premiali, che quindi potranno solo essere dei miglioramenti. In effetti, rivolgendosi a un pubblico che legittimamente ben poco sa di che cosa sia la ricerca, di che cosa sia l'istruzione, e anche di che cosa sia la valutazione, è facile ottenere questo effetto mistificatorio. In parole povere, è facile ingannare la gente.
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PAROLE E IL LABIRINTO DELLA VITA, 2022
Benedetta Aldinucci - Valentina Carbonara - Giuseppe Caruso - Matteo La Grassa - Cèlia Nadal - Eugenio Salvatore (a cura di), Parola. Una nozione unica per una ricerca multidisciplinare, Siena - ITA, Edizioni Università per Stranieri di Siena, 2019
Sui mobili confini del diritto Tra pluralità delle fonti ufficiali e moltiplicarsi di formanti normativi “di fatto” Scritti in onore di Massimo Paradiso, 2022
in Parola. Una nozione unica per una ricerca multidisciplinare, 2019
Il Nuovo Atlante di Sophia, B@bel vol. Speciale, 2021
Ogni onda si rinnova. Studi di ispanistica offerti a Giovanni Caravaggi, Ibis, Como-Pavia, vol. II, pp. 501-509, 2011
BENESSERE SOGGETTIVO E PRATICA SPORTIVA, 2020
Archivum mentis, 2022