GIORGIO FEDERICO GHEDINI ATTRAVERSO GLI OCCHI DI GIANANDREA GAVAZZENI Partecipo con vivo interesse alla Giornata di studio sul compositore Giorgio Federico Ghedini, su invito della collega ed amica Dott.ssa Gigliola Bianchini, Bibliotecaria del Conservatorio “G. Verdi” di Torino. Il mio sarà un intervento da musicista, da sempre mosso dalla curiosità del leggere musica, e dell’affrontare repertori originali e meno battuti. L’occasione dell’ approfondimento di musiche di Ghedini, mi è venuto anche dalla collaborazione didattica e artistica con il Soprano Denia Mazzola-Gavazzeni, vedova di Gianandrea Gavazzeni, personalità del Novecento italiano che ho imparato a conoscere ed apprezzare anche nella veste meno consueta di Compositore. Articolerò il mio intervento in sezioni, attraverso le quali metterò a confronto i due compositori. Partirei, innanzitutto dalle Dediche : Gavazzeni compone nel 1938 le Iscrizioni meridiane, cantata per voce e pianoforte ispirata alle meridiane della città di Bergamo e la dedica a G.F.Ghedini (testi anonimi raccolti dall’arch. L.Angelini) Dal canto suo, Giorgio Federico Ghedini compone il Concerto dell'Albatro : per violino, violoncello, pianoforte, orchestra e recitante nel 1949 e lo dedica a Gianandrea Gavazzeni. Nel rapporto con il mondo dell’opera, ricordiamo che fu Maria d’Alessandria la prima produzione teatrale di Ghedini, giunto all’opera ormai quarantenne, ma con alle spalle vari tentativi (Gringoire, 1915; L’intrusa, 1921) e con l’esperienza di maestro sostituto, oltre che con la già salda padronanza della scrittura strumentale e della polifonia vocale. Presentata con successo a Bergamo per il Teatro delle Novità, e subito dopo a Modena, l’opera ebbe fredda accoglienza alla Scala (1939): «Questo pubblico si trova ogni giorno di più nell’incapacità di giudicare sia la musica del passato sia quella di oggi», ebbe a scrivere in quell’occasione Gavazzeni. Quasi in tutti i casi la critica si è soffermata sul gusto decadente e post-dannunziano del libretto (il soggetto è analogo a quello della Maria Egiziaca di Respighi), con la sua parabola di peccato e redenzione, che porta a luoghi musicali intrisi di canto sensuale ed esaltazione mistica: si riconoscono tuttavia all’autore, fin da questa prima opera, una viva sensibilità teatrale, «il nutrito senso della vocalità solistica e polifonica» (Vito Levi) e l’abilità di un’asciutta scrittura orchestrale, che si distingue per l’attenzione timbrica, che in seguito caratterizzerà sempre lo stile teatrale di Ghedini. Testimonianza fondamentale rimane la lettera del 1939 di Gavazzeni sulla Fedra di Pizzetti e la Maria d'Alessandria di Ghedini. Per Gavazzeni è del 1944 il suo primo contatto con l’orchestra del Teatro alla Scala con l'opera Il campiello di Ermanno Wolf-Ferrari cui fecero seguito le direzioni della Mavra di Strawinskji e de La pulce d'oro di Ghedini. Proseguirò il mio intervento, individuando tre tematiche , attraverso le quali penetrerò trasversalmente il mondo poetico dei due Compositori, sottolineando gli elementi di comunanza e le differenze. 1) rapporto con l'antico Innanzitutto consideriamo di Ghedini le Liriche su testi di Matteo Maria Boiardo che sono del 1935 ( dello stesso anno sono anche Datene e piene mani) ma vanno anche analizzati i “Quattro canti su testi napoletani antichi”. Di Gavazzeni porremo la nostra attenzione su I MADRIGALI DEL TASSO che sono del 1933 (Gavazzeni nasce nella casa che fu del Tasso a Bergamo) In Boiardo troviamo temi legati alla natura : uccelli, arboscelli. I primi (gli uccelli) “appaiono” nella simbologia della colomba segno di bellezza ma anche di pace, e dell'augello che canta fino alla morte; i secondi (arboscelli) nella rappresentazione poetica di elementi della natura, vitali come l'arboscello fronzuto e pieno di odorate foglie. Tali elementi ritornano nei Quattro canti su testi napoletani antichi, nella rappresentazione dell'auciello che viene da Caserta, messaggero di eventi drammatici (mio figlio è vivo o muorto) o della Tortora ch'a perza la cumpagna e si ritira su un pizzo di montagna per piangere la sua solitudine; e poi l'arbero peccerillo bagnato dal proprio sudore eppure cambiato del suo aspetto ed ora seccato. Nei Madrigali del Tasso di Gavazzeni, ritroviamo quattro testi legati all'amore: un grechin cacciatore di cuori femminili; la notte che avvolge nella sua oscurità i tormenti d'amore (di vero amore avvampo e gelo); la beffarda zanzara che trova il suo rifugio nel seno di una donna (felice te oriental fenice); la passione d'amore che, mentre si estingue, poi risorge in novo ardore. Musicalmente in Ghedini ritroviamo una spiccata sensibilità modale e uso frequente di pedali armonici molto estesi; vocalmente frequente è l'uso del declamato, soprattutto nel primo e nel quarto canto. In Gavazzeni ritroviamo l'uso della variazione e di una scrittura più verticale con un gusto strumentale russo (mussorgskiano). Come anche nelle 2 Arie religiose, nei madrigali spicca una sensibilità orchestrale nell'uso dello strumento pianoforte ma anche della voce. 2) la religiosità: In Ghedini ne è testimonianza il Canto d'amore su testo della lauda di Jacopone da Todi ; un percorso, anche linguistico dalla parola amore alla parola amore, il tutto immerso in una religiosità quasi animistica nella quale l'amore si identifica in Jesù che rappresenta un tutto nel quale credere e nel quale anche annegare. La tonalità di do diesis maggiore mi colpisce da esecutore perchè conferisce pienezza al linguaggio pianistico con una scrittura fittissima e strumentalmente complessa. Gavazzeni compone le 2 Arie religiose per soprano e orchestra nel 1935. I testi sono di Gavazzeni; la prima (Vecchi santi) è un percorso tra i luoghi del bergamasco ove vecchi santi dormono in chiese campestri : San Giovanni, san Rocco, sant'Agata, san Gerolamo; la seconda (In ogni luogo la morte ci può cogliere) è una riflessione sul tema della morte così presente nell'animo di Gavazzeni ma qui affrontata con animo sereno e privo di tinte drammatiche : il senso di un'accettazione della misericordia di Dio ma con la maliconia di chi possa morire lontano dai luoghi natii. Prevale un senso schumanniano del ricordo di luoghi lontani e stranieri (in der fremde) (Non può sfuggirci il significato di Sehnsucht in Schumann e, nella cultura classica, della nostalgia come sentimento del Nòstos di Ulisse). Musicalmente troviamo una sensibilità modale e una scrittura, (anche nella trasposizione pianistica), sinfonica anche nell'uso della voce, intesa come strumento dell'orchestra (nella prima lirica sono frequenti e repentini i cambi di andamento). 3) brevi forme strumentali I 2 poemi di Ghedini sono dedicati a Ercole Rovere ma il compositore ne fa dono a Mario Pilati con dedica autografa del 1936 (XIV) con la dicitura "ben cordialmente". * Il primo poema , con ampi declamati del violino, poi ripresi da pianoforte, contiene, secondo me, una citazione chopiniana (tema dello studio op. 10 n.3). Per citare Giuseppe Martini nel suo articolo sulla Gazzetta di Parma dell’ Aprile 2015, nel primo poema si assiste ad "una continua oscillazione tra disfacimenti tonali e timbriche gelide; “e pensare, continua l'articolo, che era il periodo di maggiore fanatismo madrigalistico del giovane Ghedini". Il secondo, di sapore brahmsiano, ha struttura tripartita con un Tema che viene riproposto e elaborato, nella sezione centrale, su ampi pedali armonici affidati al pianoforte. (In entrambi i poemi vi sono indicazioni di andamenti molto lenti, quasi al limite della rarefazione: molto lento, stentando moltissimo, lentissimamente... che si alternano a episodi di grande agitazione emotiva). I tre pezzi per violino e pianoforte di Gavazzeni , Preludio, Canzone e Furlana, (1935) hanno un sapore tutto pizzettiano di un grande affresco unitario quasi nello stile di Poema sinfonico. La scrittura strumentale è fitta e complessa con ampio uso di arpeggiati, di doppie note e glissandi nella parte pianistica e, nella parte del violino, di pizzicati. Mi piace accostare quest'opera al Concerto dell'Estate di Pizzetti, per orchestra, del 1928 (poi trascritto da Mario Pilati per pianoforte a 4 mani). Entrambi i lavori terminano con un tempo di danza: in Gavazzeni troviamo la Furlana che è una danza molto allegra, di solito in 6/8 o in 6/4 ; in Pizzetti troviamo la Gagliarda, anch'essa scritta in 6/8. Nel secondo dei tre Pezzi, la Canzone, l'uso della trasposizione d'ottava nella parte violinistica, conferisce un particolare colore allo strumento , adoperato in una tessitura anche contraltile. Concluderei il mio intervento, citando ancora le parole del Martini sulla Gazzetta di Parma, a proposito, questa volta, della Sonata per violino e pianoforte del 1922 : “l’impressione del restauratore d’antichità lasciava il posto a un uomo che viveva sulla sua pelle la crisi della civiltà contemporanea...i due strumenti che nella Sonata convergono e divergono a ondate e l’inquieta Passacaglia finale sono gesti solo fintamente brahmsiani : la passione non è incapsulata nella nostalgia ma si è incanalata in una specie di sdrucitura smisurata..” *(Il Compositore Mario Pilati intrattenne rapporti di amicizia con Ghedini ma anche rapporti didattici con Gavazzeni; la Biblioteca a lui intitolata a Napoli (nel palazzo Carafa di Maddaloni, ove nacque Domenico Scarlatti e soggiornò Giovan Battista Pergolesi) contiene dediche autografe come quella di gianandrea G sul frontespizio dei Tre studi su Pizzetti, ad esempio). Torino 22 Gennaio 2016 Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino Lucio Cuomo