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Contro la teologia del mercato

2018, "Adista - Documenti"

Abstract

Una nuova religione? Agli inizi degli anni Venti del secolo scorso Walter Benjamin -eclettico pensatore tedesco (i suoi interessi spaziano dalla politica alla teologia, dall'estetica alla letteratura) -stende alcuni appunti di lavoro intorno a un saggio che non prenderà mai forma. Il titolo assegnato a queste note è: Kapitalismus als Religion, vale a dire Capitalismo come religione 1 . Alla base delle osservazioni di Benjamin c'è innanzitutto un testo, apparso un po' di anni prima e che in seguito diventerà un classico, ad opera di Max Weber: L'Etica protestante e lo spirito del capitalismo 2 . Weber si propone di studiare la genesi del pensiero capitalista moderno. In breve: la riforma protestante, in particolare il calvinismo, ha costituito la precondizione, sul piano culturale, dell'affermarsi della visione del mondo capitalista. Mentre nelle società pre-capitalistiche l'economia è intesa come il modo per produrre beni da impiegare per scopi non economici (soddisfare i propri bisogni, consolidare il potere, ostentare con il lusso lo status sociale raggiunto, coltivare la bellezza ecc.), nello spirito capitalistico invece il conseguimento di questi fini legati a valori extraeconomici diventano secondari, in primo piano passano il lavoro e il profitto. Il capitalista è colui che ottiene la massima soddisfazione proprio dal lavoro e dal conseguimento del profitto in sé. Fu Lutero, ad esempio, nella sua traduzione della Bibbia in lingua tedesca, a introdurre la parola Beruf (lavoro) nel tedesco dell'epoca, utilizzando appositamente un termine che solitamente stava a indicare la vocazione religiosa, facendo divenire il lavoro una sorta di vocazione laica in cui realizzarsi. Tutto ciò secondo Weber. Ma Benjamin nel suo breve scritto parte da Weber per poi differenziarsi subito, giungendo a sostenere che il capitalismo stesso, sviluppatosi "parassitariamente sul cristianesimo", ha assunto le sembianze di una religione sui generis, in quanto "serve essenzialmente all'appagamento delle stesse ansie, pene e inquietudini alle quali un tempo davano risposta le cosiddette religioni". La sua religiosità si distende lungo alcune direttrici, che possiamo sintetizzare in quattro punti: 1) il capitalismo è una religione totalmente cultuale, in esso non è rinvenibile alcuna riflessione teologica o dogmatica specifica, poiché ogni sua espressione si riduce nell'esecuzione di un culto, vale a dire in una sequenza di azioni simboliche (in parole semplici: in tutto ciò che può concorrere al processo di produzione e di circolazione del capitale); 2) il rito capitalista è senza fine, essendo stata soppressa dal suo calendario la separazione fra sfera sacra e sfera profana (la totalità del tempo di vita partecipa alla valorizzazione capitalista); 3) l'esecuzione del culto non garantisce appagamento, consolazione o redenzione, ma si avvita su sé stessa generando Schuld (termine ricorrente con frequenza nel testo che in tedesco sta a significare sia 'colpa' che 'debito'); 4) il Dio del mondo capitalista è un Dio nascosto, non offre possibilità di redenzione (quest'ultima viene continuamente differita, spostata più oltre, al punto che la visione ultima della divinità viene spinta al limite, in una lontananza radicale da cui non è contemplata possibilità alcuna di salvezza); detto altrimenti: il capitalismo non può arrestare la sua espansione, pena il suo stesso fallimento, ma deve essere in grado di generare altro capitale attraverso una continua colonizzazione e mercificazione del tempo e dello spazio. Sembra che Benjamin, nel momento in cui scrive il frammento, avesse letto poco di Marx; eppure i passi marxiani che tratteggiano già i lineamenti del "capitalismo come religione" non sono pochi. Qui ci limitiamo a segnalare un passaggio dal primo libro del Capitale, laddove si parla del carattere di feticcio della merce: "A prima vista, una