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2017, Dentro Caravaggio, a c. di R. Vodret, Milano
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Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, Galleria Corsini, Roma inv. 433 A giudicare dalla produzione nota, il tema del San Giovanni nel deserto dovette riuscire piuttosto congeniale all'ispirazione del pittore o comunque -e l'una cosa non esclude l'altra -agli interessi e ai gusti dei suoi committenti. Caravaggio affrontò infatti a più riprese questo stesso soggetto, a partire dai primi anni del XVII secolo, elaborandone varianti contrassegnate da soluzioni figurative e iconografiche innovative e persino inedite, sebbene accomunate da un profilo interpretativo, si può dire, coerente, se non proprio unitario.
Il problema delle copie tratte dal San Giovanni Battista Costa oggi a Kansas City, appare cruciale nell'ambito della diffusione del linguaggio pittorico caravaggesco, a ridosso del soggiorno romano del maestro, ho già avuto modo di parlarne 1 . In questa sede vorrei tuttavia ampliare il dibattito, arricchendolo con nuovi dati al fine di chiarire come il problema non coinvolga solo questioni di connoisseurship o di mercato, ma riguardi la nascita stessa del caravaggismo. Il San Giovanni Battista (Kansas City, Nelson Atkins Museum) di proprietà del banchiere ligure Ottavio Costa (Albenga, 1554 -Roma, 1639) costituisce un campo di indagine privilegiato per il problema che ci siamo posti. Insieme ad un altro numero fondamentale nel catalogo caravaggesco, che appartenne anch' esso al Costa, e cioè il San Francesco in estasi oggi al Museo di Hartford, costituisce infatti una delle rare opere del Merisi della cui copia si possa fissare una cronologia certa 2 . Nel percorso critico legato al dipinto, l'identificazione dell' originale, oggi individuato nella tela custodita presso il Nelson Atkins Museum di Kansas City 3 , fu successiva alla conoscenza di due copie antiche. La prima, esposta come opera di un artista anonimo alla mostra Caravaggio e i Caravaggeschi, organizzata da Roberto Longhi a Palazzo Reale di Milano nel 1951, dopo aver oscillato tra i nomi dello stesso Caravaggio, di Orazio Riminaldi e di Bartolomeo Manfredi, si trova oggi al Museo di Capodimonte, ed ha goduto di una fiorente fortuna critica anche molto recente 4 . La seconda, recuperata nel 1962 nella chiesa di Sant' Alessandro a Conscente, un piccolo borgo ligure, è ora conservata presso il Museo Diocesano di Albenga 5 . La copia oggi conservata nella chiesa degli Agostiniani di Empoli, invece, è giunta molto più tardi ad accrescere l' esiguo numero di quelle note 6 , alle quali si è aggiunta recentissimamente una quarta opera, che pare di qualità alta, transitata sul mercato antiquariale a Londra nel 2010 7 . La tela di Kansas City fu presentata per la prima volta come originale di Caravaggio nell'indimenticabile contributo di Roberto Longhi del 1943. All' epoca, tuttavia, la provenienza antica del dipinto e la sua menzione nelle fonti
La poetica della pittura basata sullo studio diretto del modello in posa, introdotto da Caravaggio, rappresenta un punto centrale nella storia della pittura. Con questa sua pratica pittorica il pittore lombardo abbatteva due fondamenti su cui si reggeva l'arte rinascimentale: la priorità dell'invenzione, intesa come immaginazione e processo astrattivo, e quella del disegno, inteso come progetto e creazione, applicazione di regole astratte.
Avere venticinque anni a Roma nel 1603 e fare il pittore, equivaleva a schierarsi 1 . Ottavio Leoni, il Padovanino, come lo conoscevano tutti (ill. 3), doveva esserne diventato consapevole quando fu chiamato a deporre al processo che Giovanni Baglione aveva messo in piedi ai danni di Caravaggio, nella tarda estate di quell'anno. Altro che scherzo, rischiava la galera, e suo padre Ludovico, medaglista e ceroplasta di grido, che gli aveva insegnato il mestiere, doveva essere piuttosto preoccupato 2 . Glielo avessero detto quando faceva ritorno da Mantova a Roma, con in tasca le lettere del duca Vincenzo I Gonzaga, non ci avrebbe creduto 3 . Per giustificare il ritardo della partenza del giovane artista, il Gonzaga in persona si era sentito in dovere di spiegare a Ludovico Leoni, col quale aveva grande familiarità: "Magnifico amico carissimo", e al cardinal Alessandro Peretti Montalto (1571-1623), patrono di Ottavio, che il giovane non si era trattenuto a Mantova per malavoglia, negligenza, o, peggio, dissolutezza, ma per servirlo con maggior agio, e per gravi motivi di salute 4 . All'epoca il Padovanino, era ancora un ragazzo la cui reputazione andava protetta da salvacondotti e patenti. Oggi molte cose erano cambiate, se non intorno a lui -poiché la corte sembrava ancora un porto sicuro nel quale approdare (si trattasse di quella di un gentiluomo come Vincenzo Gonzaga, o di quella, forse più ristretta, ma non meno influente dei cardinali romani)certamente nella sua testa 5 . Conosceva Caravaggio fin da quando, stravagante e baldanzoso, aveva varcato la soglia del palazzo del cardinal Del Monte 6 . Il pittore lombardo proveniva da faticosi trascorsi tra pubbliche mostre, committenti occasionali, passaggi in botteghe dove non riusciva a restare per più di qualche mese; Ottavio invece gravitava nel circuito del potente prelato per una sorta di tradizione familiare 7 . Suo padre aveva ritratto Francesco Maria Del Monte (1549-1626) da studente, a Padova, a soli diciassette anni 8 , e da allora i rapporti con il futuro cardinale, la cui ascesa politica all'ombra dei Medici, granduchi di Toscana, era stata costante, non si erano più interrotti. Residente dei Medici a Roma fin dal 1588, Francesco Maria Del Monte possedeva una personalità eccezionale, che gli studi degli ultimi trent'anni si sono sforzati di delineare, rilevando l'importanza decisiva del prelato nel milieu artistico e culturale romano, fino alla sua scomparsa nel 1626 9 . Non a caso, quando Federico Borromeo (1564-1631), amico e confidente di del Monte, aveva fatto ritorno a Milano, dove era stato nominato arcivescovo, abbandonando il ruolo di protettore dell'Accademia di San Luca, fondata da Federico Zuccari, sulla scorta di quella fiorentina del Disegno, Francesco Maria gli succedette nell'impresa, ricoprendo la carica per più di trent'anni consecutivi, dal 1595 al 1626 10 . Di spirito fortemente versatile, Francesco Maria Del Monte fu amico e protettore di pittori per tutta la sua esistenza, bibliofilo, singolarmente esperto di musica e rappresentazioni teatrali, egli era contemporaneamente interessato al mondo scientifico. Suo fratello Guidubaldo (1545-1607) fu uno dei grandi matematici del suo tempo, intrinseco di Galileo Galilei, col quale anche Francesco entrò in rapporto epistolare 11 . Per la lettura della complessa personalità di Del Monte e delle scelte artistiche e culturali che ne derivarono, bisogna forse tener presenti due chiavi: gli anni padovani, dove Francesco ebbe modo di entrare in rapporto con alcune tra le più eminenti personalità del mondo accademico europeo: in primis con Marco Mantova Benavides (1489-1582), di cui fu allievo, e quindi con la sua cerchia, tra cui Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601), Paolo Gualdo , e Galileo Galilei (1564-1642). Non meno decisivo appare il nesso profondo con la corte dei Medici e la politica fiorentina, sia civile che culturale. La Padova della seconda metà del Cinquecento, dove, tra l'altro, crebbe e si formò artisticamente Ludovico Leoni 12 , rappresentava una vera e propria Atene di Pericle per gli studi sul collezionismo, l'antiquaria e l'erudizione, accanto, ovviamente, a quelli di giurisprudenza. Giurista e docente di fama internazionale Marco Mantova Benavides si trovava al centro di questa rinascita umanistica, che coinvolse alcune tra le menti più aperte dell'epoca tra cui, è interessante rilevarlo, alcuni importanti esponenti della Controriforma cattolica 13 . Egli possedeva tra l'altro un ricco museo e mise insieme una raccolta di immagini di Giureconsulti data alle stampe a Roma nel 1566, che rappresenta una delle più precoci raccolte di gallerie di Uomini illustri, un testo che risente certamente del modello del museo di Paolo Giovio, la cui traduzione a stampa risale tuttavia soltanto al 1573, per iniziativa di Tobias Stimmer 14 . Il Benavides appare dunque in questo caso in anticipo sui tempi. Ludovico Leoni eseguì una medaglia con il ritratto dell'eminente giurista e, al verso, un emblema tratto da Lucrezio, che la dice lunga sul livello di erudizione cui era giunta la cultura padovana intorno al 1565-1568. Non meno influente di Marco Mantova Benavides fu uno dei suoi allievi e intrinseci, Giovan Vincenzo Pinelli. L'erudito padovano, legato da profonda amicizia con il cardinale Federico Borromeo e con Paolo Gualdo, che alla morte di lui stenderà la sua prima biografia, data alle stampe nel 1607 15 , è all'origine di una straordinaria esperienza culturale gravitante intorno alla sua ricchissima biblioteca e al ridotto Morosini di Venezia, nella quale verrà coinvolto lo stesso Galileo Galilei, a Padova dal 1592 al 1610, quando, e non mi pare un caso, verrà chiamato alla corte di Cosimo II Medici con la qualifica di primo matematico e filosofo del granduca. In questi anni infatti, il nesso tra l'accademia padovana e la corte medicea era molto stretto, e probabilmente la figura di Francesco Maria Del Monte, che aveva compiuto il medesimo itinerario, e restava la longa manus dei Medi-ci a Roma (dove peraltro Galileo giunse nel 1611 nominato accademico linceo), non fu estranea agli indirizzi culturali del Granduca 16 . Il rapporto stretto con la politica medicea rappresentava un terreno comune anche ai Gonzaga (non dimentichiamo che Vincenzo aveva sposato Eleonora de' Medici (1567-1611), figlia del granduca Francesco I) e al cardinal Alessandro Peretti Montalto, presso il quale, a giudicare dalla citata lettera di Vincenzo del 1599, Ottavio avrebbe prestato servizio al suo rientro a Roma. Il giovane Leoni dovette ritrarlo a poca distanza dal suo rientro nell'Urbe, come appare dal disegno conservato a Berlino, che qui si espone (cat. 17). Il foglio è stato pubblicato da Bernardina Sani, incerta sull'identità del personaggio effigiato, che alla fine lascia nell'anonimato 17 . A un controllo diretto, il disegno reca in effetti al verso l'antica iscrizione a penna e inchiostro: "Card Peretti". Nonostante la somiglianza fisica, è molto difficile che si tratti del nipote di Alessandro, Francesco Peretti, ritratto da Ottavio nel marzo del 1622 (Firenze, Accademia Toscana di Scienze Lettere e Arti "La Colombaria"; ill. 4) come abate, prima di aver ricevuto il 16 17 2. Ottavio Leoni, Ritratto di Margherita Gonzaga. Oxford, Ashmolean Museum 3. Ottavio Leoni, Autoritratto. Parigi, Musée du Louvre cappello cardinalizio, onorificenza assegnatagli da Urbano VIII solo vent'anni dopo, nel dicembre del 1641, quando ormai Ottavio era scomparso da un pezzo 18 . D'altronde, il ritratto di Berlino risulta straordinariamente affine al Ritratto del cardinale Alessandro Peretti Montalto (Montalto Marche, Raccolta Comunale d'Arte), tanto da non lasciare dubbi sull'identità del protagonista del disegno tedesco. Da questo punto di vista, la tela marchigiana, di qualità molto modesta, probabilmente opera di uno dei tanti copisti attivi a Roma in questi anni, potrebbe derivare dal ritratto di Ottavio, un repertorio di immagini quello creato dal Padovanino che in più di un'occasione si rivela normativo 19 . D'altra parte la datazione al 1622 proposta dalla Sani per il foglio di Berlino sembra troppo avanzata.
Caravaggio e i suoi, 2017
New proposal for Caravaggio's 'Judith beheading Holofernes' and 'Saint John the Baptist' (Ottavio Costa collection) chronologies
Gregorianum, 86 (2005), 496-522
2015
Partendo dagli studi di Michael Fried sulla figura del pittore-spettatore, si analizzano le opere di Caravaggio, Lorenzo Lotto, Gustave Courbet e Giulio Paolini.
Revista de Italíanistica, University of Sâo Paulo, Brazil. Vol 23 Spring 2013. http://www.periodicos.usp.br/italianistica/article/view/116071/0, 2013
Sum de carne caro, sic sic de carne manebo» 1 (Baldus, XXII, 306) Caravaggio pittore maccheronico? Dare del maccheronico a Caravaggio non è un insulto. Benché il luogo comune associ questo termine a un pasticciaccio ludico, esiste un genere letterario, quello della parodia seria, che non ha per scopo lo sganasciamento del risus stultorum, ma che usa il gusto provocatorio della irrisione per toccare temi impegnativi, come Gérard Genette ha autorevolmente evidenziato nel saggio Palinsesti. Teofilo Folengo, l'autore alla cui estetica il presente studio avvicina il Caravaggio, costruisce il suo linguaggio ibrido innestando lessico vernacolare e latino in un substrato di metrica classica. Gli esametri folenghiani rivelano una profonda cultura umanistica di impronta medievale 2 . La macaronea di Merlin Cocai (pseudonimo del Folengo) e quella successiva del Rabelais costituiscono una forma d'arte intrisa di inquietudine cristiana 3 . Basti a dimostrarlo l'invettiva del Folengo contro la proliferazione di ordini e regole religiose che raggiunge il suo acme nel: «Nonne satis bastat sapientis regula Christi?» (Ma non bastava forse la regola di Cristo che tutto sa? -Baldus, VIII, 495).
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Caravaggio a Napoli. Nuovi dati nuove idee, 2021
Festschrift per Vittorio Sgarbi. Settanta scritti e altrettanti auguri, 2022
69- “Guido Casoni, Venezia e l’Accademia degli Incogniti,” in Guido Casoni: Un letterato veneto tra ‘500 e ‘600 (Vittorio Veneto: De Bastiani, 2008), 53-69., 2008
AUCTORES NOSTRI. STUDI E TESTI DI LETTERATURA CRISTIANA ANTICA 26, 2023
Rebecca ed Eliezer al pozzo della Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini. Un Capolavoro di Carlo Maratti per Camerano, 2014
Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, 2011
(con M. Fortunati, L. Bronzoni, M. Marinato, E. Castiglioni, M. Rottoli), in Città e campagna: culture, insediamenti, economia (secc. VI-IX), Atti del II Incontro per l’Archeologia barbarica (Milano, 15 maggio 2017), a cura di C. GIOSTRA Mantova 2018, pp. 293-350.
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