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L'alchimia non è soltanto un'arte o una scienza per insegnare la trasmutazione metallica, ma una vera e solida scienza che insegna a conoscere il centro di ogni cosa, ciò che nel linguaggio divino si chiama Spirito di Vita" (Pierre -Jean Fabre 1636).
Pubblico un numero della rivista Airesis concernente il rapporto tra alchimia ed ermetismo "L'alchimia non è soltanto un'arte o una scienza per insegnare la trasmutazione metallica, ma una vera e solida scienza che insegna a conoscere il centro di ogni cosa, ciò che nel linguaggio divino si chiama Spirito di Vita" (Pierre-Jean Fabre 1636). In realtà, parlare di alchimia oggi suscita solitamente il riso perché l'alchimista viene considerato o una sorta di stravagante illuso, che tentava di arricchirsi trasformando con la magia il piombo in oro, oppure un chimico alle prime armi, capace più di far saltar per aria alambicchi che di reali scoperte. Ma gli alchimisti non furono né l'una né l'altra cosa, essi furono gli adepti di una filosofia spirituale, devoti ad essa come a una religione. L'Alchimia è un sistema filosofico esoterico di antichissima datazione. Tre sono i grandi obiettivi che si proponevano gli alchimisti: 1. Conquistare l'onniscienza 2. Creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, per generare e prolungare indefinitamente la vita 3. La trasmutazione delle sostanze e dei metalli. Già si conoscono tracce del pensiero alchemico fin dalla età del ferro ed in particolare nell'antica cultura della Cina. L'Alchimia Cinese si fondò sulla base dell'alternanza di due principi complementari detti YIN e YANG che generavano un'unione di opposti:
Tesi scrittografica per diploma triennale (primo livello) in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Verona, 2014. Offre una panoramica sul tema dell'arte e dell'alchimia occidentale, con un approfondimento personale su alcuni artisti contemporanei.
Sul termine fuoco, sulla sua vera essenza, sul suo impiego, sulle sue varianti, gli alchimisti hanno versato fiumi di inchiostro, e più hanno scritto su questo argomento, più Io hanno nascosto. In sostanza, con l'intento (non troppo sincero) di rivelarne la sua identità, hanno pensato bene di rivelarlo, di velarlo sempre di più, lasciando il lettore nelle incertezze e nei dubbi. Artefio, che si dichiara disposto finalmente a parlare chiaramente di esso, con il suo fuoco di lampada, con il suo fuoco di braci e così via, invece di chiarire, imbroglia ancor più l'argomento. In mezzo a tanti concetti, in questa matassa aggrovigliata di parole, sono tutti d'accordo nel dire che questo fuoco deve essere naturale, e qua e là indicano al lettore la sua possibile identità, la sua eventuale provenienza e dove meno ne parlano più si mostrano espliciti, per poi di nuovo confondere le idee quando vogliono dilungarsi su di esso. Se vogliamo analizzare la sua identità iniziamo la nostra ricerca dal Lullo. Al Capitolo XL VII del suo Testamentum dice: Sappi, figlio mio, che il solfo e' fuoco, e la magnesia e' la nostra carissima terra e secondariamente la nostra aria, e l'argento vivo e' la nostra acqua viva che corre per tutto il corpo". Con queste parole offre un punto fermo dicendo che la parte più nobile di noi è fuoco e con questo conferma la costruzione egizia del termine aht che significa appunto fuoco, bruciare, o, in altri termini, il Principio Primo che viene mediato, filtrato e quindi il nostro spirito individualizzato, la parte più nobile di noi. E aht in egizio, oltre al fuoco, e' anche lo spirito. Ma questo fuoco non e' ancora il fuoco che si può impiegare nella operatività alchimica, e pertanto prima di proseguire essa deve essere chiarita. Se andiamo a leggere il Capitolo XL VI del Testamentum, il Lullo dice: Poi, figlio, non devi ignorare la potenza di questi due argenti vivi, quando si congiungono fra di loro per dissoluzione, e mentre uno e' attivo , l'altro e' passivo. Quindi, per le operazioni alchimiche, secondo questo passo, occorrono due Mercuri che L'Artista spiega ulteriormente nel contesto del Capitolo un poco più avanti: Figlio, se non conosci le differenze che esistono tra il caldo ed il freddo, tra maschio e femmina, non sai fare la nostra opera. Sappi che nulla può nascere se non dalla femmina e dal maschio, e che non si può generare alcun seme se non dal calore e dall'umidità. Le forze appetitive
Sarà ben difficile per chiunque, anche il più erudito cercatore, parlare di Mantova e dell'alchimia senza ricordare, per prima, l'opera maestra di un illustre autore: quella Fortuna dell'Astrologia a Mantova di Rodolfo Signorini, nella quale è profusa una tale quantità di informazioni da far scrivere ad un introduttore di quel saggio di trovarsi dinanzi ad "una pietra miliare non solo nella storiografia mantovana ma anche, e forse soprattutto, nella storia dell'arte". NOTA 1 Proprio la vastità di conoscenze e la varietà di ambiti culturali (incluso quello alchimistico), penetrati in profondità da Signorini, suggerisce di partire dalla sua "grande opera" tenendola come punto di riferimento costante, piuttosto che recarsi in luoghi impervi e inesplorati a voltar fogli inutilmente in cerca di pietre filosofali o alchemici metalli nascosti chissà dove. Perciò ritengo utile offrire, in questa sede dedicata agli arcani misteri mantovani, l'agile sintesi di un solo capitolo del ponderoso volume di Signorini, ritenendolo una guida sicura nei labirintici sentieri astrali, e se anche suggerirò piccole escursioni verso altre direzioni non sarà per sottolineare lacune all'opera ma per offrire spunti inediti al lettore più esigente, avido di nuove conoscenze. Astrologia e alchimia era il titolo della sezione di una mostra sulla cultura astrologica in Italia nel Rinascimento, che oltre vent'anni fa pensavo di poter realizzare a Mantova assieme a Signorini e ad altri dotti amici, fra i quali voglio ricordare almeno Marco Bertozzi e Andrea Vitali. Perché l'alchimia? Perché un tempo era considerata a tutti gli effetti come una delle tante figlie della Regina delle Scienze, essendosi nutrita del latte siderale al punto che i sette metalli erano rappresentati, fin dal Medioevo, sotto le spoglie dei sette Pianeti e di quegli stessi Pianeti mostravano il carattere, nel pieno rispetto della formula tam superior quam inferior, che s'incontra nell'ermetica Tavola di Smeraldo. Quel progetto giace ancora in un cassetto senza aver perso la sua brillantezza (e come potrebbero i metalli astrali ossidarsi?); anzi, nel frattempo si è arricchito di luccicanti perle e metallici colori che, grazie all'arte ermetica degli alchimisti, vanno ad ornare l'abito di Urania, Signora delle Astri, per adesso amorevolmente riposto. Quelle perle e quei colori, per quanto riguarda Mantova, sono stati estratti da opere letterarie di vario genere che Signorini ha pescato, con pazienza e tenacia, nel mare magnum di archivi storici e biblioteche della città gonzaghesca, e sintetizzati in poche, ma densissime pagine del ponderoso volume, al quale necessariamente rimandiamo NOTA 2 A proposito di colori, vale la pena citare, anche solo di sfuggita, alcuni documenti portati alla luce da Signorini nell'Archivio di Stato di Mantova. Il primo, datato 1401, è una lettera di Francesco I Gonzaga NOTA 3, quarto capitano del popolo di Mantova, rivolta ad Antonio Nuvolosi, podestà di Ferrara. In sostanza, il Gonzaga si lamentava con l'amico ferrarese di una "aqua de levar le machie" (una specie di solvente), di scarsa efficacia, prodotta a Ferrara da un "maistro da aque"; al contrario, quella che aveva ricevuto in un'occasione precedente era perfetta. Nella lettera si parla anche di un'acqua "de mantenir el colore" (probabilmente un fissativo nei procedimenti di tintura dei tessuti), prodotta dallo stesso maestro NOTA 4. Ora, sappiamo che i segreti di quei prodotti erano gelosamente custoditi da sapienti che ne avevano appreso il procedimento in diversa maniera: talvolta da manoscritti alchemici, oppure in seguito all'apprendistato in qualche laboratorio di spezieria o anche per sperimentazione personale NOTA 5. Possiamo definire un alchimista il "maistro de aque" citato nella lettera di Francesco Gonzaga? La risposta è incerta, poiché l'alchimia vera e propria, all'epoca, era una disciplina "tanto fisica quanto mistica"; comunque sia, è indubbio che quell'ignoto personaggio, lavorando alla trasformazione di erbe o di minerali, si muoveva in un terreno limitrofo all'arte di Ermete, patrono di maghi e alchimisti, ma anche degli imbroglioni e dei ladri, se ci atteniamo alla tradizione antica. Signorini offre, poco oltre, un riferimento esplicito all'arte ermetica citando una lettera inviata nel 1465, da Milano, al marchese Ludovico II Gonzaga da un certo Speraindio, calchimista ducalis, il quale sosteneva che il Gonzaga si sarebbe potuto gloriare "de haver hauto tale servidore". Di questo Speraindio non si hanno ulteriori notizie, ma non è improbabile che fosse effettivamente stato un alchimista al servizio degli Sforza, duchi di Milano, alla cui corte si trovavano anche astrologi e maghi NOTA 6.
2021
Le terre dell’Adriatico orientale sono state uno dei laboratori della violenza politica del ’900: scontri di piazza, incendi, ribellioni militari come quella di D’Annunzio, squadrismo, conati rivoluzionari, stato di polizia, persecuzione delle minoranze, terrorismo, condanne del tribunale speciale fascista, pogrom antiebraici, lotta partigiana, guerra ai civili, stragi, deportazioni, fabbriche della morte come la Risiera di San Sabba, foibe, sradicamento di intere comunità nazionali. Queste esplosioni di violenza sono state spesso studiate con un’ottica parziale, e quasi sempre all’interno di una storia nazionale ben definita – prevalentemente quella italiana o quella jugoslava (slovena e croata) –, scelta questa che non può che originare incomprensioni e deformazioni interpretative. Infatti, è solo applicando contemporaneamente punti di vista diversi che si può sperare di comprendere le dinamiche di un territorio plurale come quello dell’Adriatico orientale, che nel corso del ’900 oscillò fra diverse appartenenze statuali. Inoltre, le versioni offerte dalle singole storiografie nazionali non fanno che rafforzare le memorie già a suo tempo divise e rimaste tali generazione dopo generazione. Sono maturi i tempi per tentare di ricostruire una panoramica complessiva delle logiche della violenza che hanno avvelenato – non solo al confine orientale - l’intero Novecento.
CHIESA E ALCHIMIA FRA XIII E XIV SECOLO, 2018
L'Alchimia occidentale di lingua latina, le cui prime opere originali si possono far risalire alla prima metà del XIII secolo, ebbe subito una larga diffusione tra gl studiosi dell'epoca: in particolare numerosi furono gli ecclesiastici che non solo ricevettero la dedica di questi lavori ma che ne scrissero a loro volta, anche se in alcuni casi si tratta di "attribuzione tradizionale" non ancora provata, come nel caso di Frate Elia, Ministro generale dell'Ordine francescano. Qui vengono presentati alcuni tra i personaggi più interessanti per la loro posizione nella Chiesa di Roma, papi, cardinali e vescovi autori di trattati di Alchimia in cui è evidente il significato spirituale dell'opus alchemicum.
Il grande recupero della tradizione platonica, e con essa della prisca philosophia, iniziò significativamente con la traduzione, sempre per merito del Ficino, dei testi relativi alla gnosi ermetica. Era stato Cosimo il Vecchio a chiedere al giovane Ficino di tradurre gli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, e di farlo prima di iniziare il lavoro su Platone. Da parte di Cosimo vi era certamente grande interesse per i testi ermetici greci, i quali, infatti, furono destinati subito alla traduzione, non appena arrivati in Italia, portati dalla Macedonia da un monaco, Leonardo da Pistoia detto anche Leonardo Macedone. Il manoscritto che il monaco aveva riportato conteneva i primi quattordici trattati del Corpus hermeticum, e il desiderio di conoscere l'antica sophia proveniente dal mitico Egitto doveva essere molto diffuso nell'ambiente fiorentino poiché, subito dopo la traduzione del Ficino, venne immediatamente reso in volgare da Tommaso Benci, nel settembre dello stesso anno, ossia il 1463. Dopo una vasta circolazione manoscritta finalmente nel 1471 si ebbe l'editio princeps del Corpus hermeticum tradotto dal Ficino, stampato per la prima volta a Treviso per i tipi di Van der Leye con il titolo: Pimander: liber de potestate et sapientia Dei, corpus hermeticum I-XIV. Il libro ebbe un'immensa diffusione e uno strepitoso successo: vi furono addirittura ventiquattro edizioni tra il 1471 e il 1641. Nel 1505 Jacques Lefèvre d'Etaples ristampò il Corpus hermeticum, raccogliendo in un solo volume il Poimandres ficiniano e la traduzione dell'Asclepius attribuita ad Apuleio. Erano, infatti, questi due testi ermetici a essere considerati "i più divini" e sarà in questa forma che circolerà in Europa per tutto il Cinquecento e oltre. L'ermetismo si conosceva già nel Medioevo tramite l'Asclepius, la cui traduzione latina veniva erroneamente attribuita ad Apuleio. Questo scritto, che era variamente circolato in Europa, doveva parte della sua fama alle citazioni di Agostino e di Lattanzio. Condannato e considerato testo magico, l'Asclepius fu poi presente massicciamente nella speculazione del XII e XIII secolo, quando cominciarono ad emergere l'interesse per le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e la curiosità per i fenomeni naturali. Il Cusano ne era stato un attento lettore, desumendo da quel testo il tema dell'uomo magnum miraculum e incuriosito da quanto il Trismegisto insegnava riguardo ai rapporti tra uomo e Dio. Nell'operetta De beryllo, scritta attorno al 1458, il cardinale di Cusa riportava un'affermazione di Ermete, secondo la quale l'uomo altro non era che un «secondo Dio». Comunque, nel Medioevo, si conoscevano alcuni testi magici riferiti al Trismegisto, in particolare il Picatrix, che a metà del Quattrocento iniziò a circolare in traduzione latina. Una grande attesa, dunque, circondava la riscoperta del Corpus hermeticum, la grande opera del Trismegisto, considerato, per la sua presunta antichità, come fosse una sorta di Bibbia non cristiana, una Genesi pagana dovuta alla rivelazione di colui che ormai tutti consideravano un Mosè Egizio. In effetti, ciò che si ricercava nella rivelazione di Ermete era la certezza che vi fosse una convergenza tra la teologia pagana e una certa visione del cristianesimo. Collocato nella più remota antichità, Trismegisto pareva confermare una visione del mondo e dell'uomo in piena armonia col messaggio di Cristo, come in effetti si leggeva nell'interpretazione che i Dottori della Chiesa, quelli di matrice neoplatonica ovviamente, ne avevano dato. Considerata come l'autentica e più antica rivelazione divina, la gnosi ermetica appariva, nel Quattrocento platonizzante, come una sorta di religione razionale del genere umano, l'origine stessa di tutte le fedi e le dottrine, capace di costituire la sorgente unificatrice di ogni teologia e di ogni filosofia. Era quella la fonte cui avevano attinto Platone e i neoplatonici, i saggi d'Oriente e d'Occidente, l'Egitto e la Grecia.
La fede viene da ciò che si ascolta (Rom 10:17), e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo. Possiamo correttamente dedurre che nel passaggio dall''ascoltare' alla 'fede' c'è un altro passo, anche se non è visibile, ovvero quello della comprensione. Il livello al quale ciò che ascoltiamo o leggiamo, come la parola di Dio, porterà alla fede dipende tanto dal livello di comprensione che ne deriviamo. Quindi, se vogliamo veramente approfondire la nostra fede in Dio, abbiamo bisogno di una grande comprensione della parola di Dio.
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latinoamericando.info, 2021
italianisticaultraiectina.org
Aevum antiquum, 2023
Panorama Numismatico, 2018