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Elia Carrai, Vivere le domande

Davanti alla pretesa moderna di far coincidere il conoscibile con il misurabile, relegando le questioni inerenti il significato dell'esistenza in una sfera " noumenica " sospesa oltre la ragione, possiamo riscoprire oggi il valore decisivo del domandare. In un mondo che spesso pretende offrire risposte ancor prima che sorgano le domande, in cui il chiedere è dai più interpretato come un segno di debolezza, confessione inaudita di una mancanza, domandare è divenuto estremamente impopolare; non solo, si crede di poter sorvolare proprio su quelle domande che per secoli hanno caratterizzato la ricerca e la tensione conoscitiva dell'uomo. Convinto, ormai, che tutto ciò che si può conoscere è ultimamente misurabile, e demandato alla scienza e alla tecnica tale compito, all'uomo contemporaneo non è rimasto che vivere, senza porsi troppe domande, accontentandosi di essere talvolta aggiornato dalle scienze su una qualche novità, purché-ovviamente-di un certo interesse. Così, ogni volta che qualcosa sembra scalfire questa scorza d'indifferenza (l'esistenza rimane pur sempre carica delle sue contraddizioni), prontamente l'apparato epistemologico contemporaneo si mobilita, mostrando come certe domande non possono trovare una risposta univoca, condivisa, al pari delle conclusioni della scienza e che, per questo, è meglio lasciar perdere cosa sia il male, la liberà, il dolore, il vero, cosa significhi profondamente amare o intensamente vivere. Una simile declinazione " ristretta " della ragione comporta, di fatto, una comprensione altrettanto ristretta del reale, in cui certe domande finiscono per essere " fuori luogo " : inadeguate a quei paradigmi propri di una ragione misuratrice.