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Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa! [...] Del resto, voglio aggiungere che ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche, semplicemente, ogni idea seria gemmata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero anche trentacinque anni nell'intento di interpretarli; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà in ogni modo di uscire dalla vostra testa e resterà sempre chiuso in voi.
Versant, 2017
L'ipotesi sostenuta in questo saggio è che Auschwitz possa essere letto nei termini di una civiltà capovolta che sovverte usi, costumi e miti fondativi della civiltà occidentale, entro un duplice rovesciamento della realtà (Gegenre-alität) e del bagaglio culturale (Gegenkultur) della civiltà occidentale. Il saggio si focalizza sulla Gegenkultur genocidiaria, mostrandone un campione: a partire da due testi chiave, vengono messi in evidenza i contorni e le implicazioni della cultura sovvertita dell'anticiviltà genocidiaria di cui l'Europa contemporanea è la diretta erede.
Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa! [...] Del resto, voglio aggiungere che ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche, semplicemente, ogni idea seria gemmata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero anche trentacinque anni nell'intento di interpretarli; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà in ogni modo di uscire dalla vostra testa e resterà sempre chiuso in voi.
Einaudi, Torino, 2015
Le verità più precise – e inesorabili perché precise – sulla macchina dello sterminio. Quarant’anni di testimonianze, in gran parte inedite, di essenziale importanza storica. Nel 1945, all’indomani della liberazione, i militari sovietici che controllavano il campo per ex prigionieri di Katowice, in Polonia, chiesero a Primo Levi e a Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia, di redigere una relazione dettagliata sulle condizioni sanitarie del Lager. Il risultato fu il Rapporto su Auschwitz: una testimonianza straordinaria, uno dei primi resoconti sui campi di sterminio mai elaborati. La relazione, pubblicata nel 1946 sulla rivista scientifica «Minerva Medica», inaugura la successiva opera di Primo Levi testimone, analista e scrittore. Nei quattro decenni successivi, Levi non smetterà mai di raccontare l’esperienza del Lager in testi di varia natura, per la maggior parte mai raccolti in volume. Dalle precoci ricerche sul destino dei propri compagni alla deposizione per il processo Eichmann, dalla «lettera alla figlia di un fascista che chiede la verità» agli articoli apparsi su quotidiani e riviste specializzate, Cosí fu Auschwitz è un mosaico di memorie – e di riflessioni critiche – dall’inestimabile valore storico e umano. Una raccolta di testimonianze, di indagini, di approfondimenti che, grazie alla sua coerenza, alla chiarezza dello stile, al rigore del metodo, ci restituiscono il Primo Levi che abbiamo imparato a riconoscere come un classico delle nostre lettere.
Il nostro Memoriale [suscita, ndr] l'esperienza di provare l'effetto di essere soli, incarcerati, di sentirsi persi nello spazio, se mai una tale condizione fosse possibile. Si tratta di un'esperienza che non può facilmente essere assimilata in sé e per sé ad un'esperienza quotidiana. Si tratta di un'esperienza fisica fuori dal comune a differenza di qualsiasi altra della vita quotidiana. Ed è ciò che la rende Architettura: un'esperienza fisica che non si basa sulla rappresentazione della Shoah come la sua narrazione principale, ma piuttosto cerca di presentare ciò che l'Architettura è e può essere»[1]. Peter Eisenman -venuto in Italia per perorare la causa della conservazione integrale del Memoriale Italiano di Auschwitzcosì si esprimeva, in riferimento al proprio Memoriale berlinese, sulla relazione tra progetto architettonico e memoria dello stermino ebraico. E proprio la struttura di una tale relazione, volta ad interrogare la natura stessa dell'architettura, permette di cogliere la ricchezza del Memoriale Italiano, la matrice di senso che l'ha generato. Se nel caso del Denkmal für die ermordeten Juden Europas l'impatto con l'oggetto "Shoah" impone all'architettura di ripensare le proprie condizioni di alfadomenica alfadomenica giugno #4 22 giugno 2014
Sono tornato da Auschwitz e una strana sensazione mi è rimasta incollata addosso, sulla coscienza e sulla pelle, sui panni puliti e sul respiro pesante che riverso sul mondo indaffarato nel solito trantran di sempre. Routine? Ordinario e straordinario si richiamano e s’intrecciano: da qualche giorno, Auschwitz non è però più per me una parola, per quanto terribile, ma un riferimento concreto, materiale, ancorato a un mio pezzo di vissuto di ‘pellegrino’ attento a ciò che succede intorno al suo presente. Sono a casa mia e ripenso alle baracche dei sopravvissuti nei campi di concentramento: vivo una realtà ordinaria e penso a una straordinaria, quasi inconcepibile e inimmaginabile. Rifletto e narro, vivo nel mio quotidiano e sono consapevole di fatti straordinari e tragici, vissuti da altri nel passato e nel presente. Rifletto e resisto a un’idea monolitica di razionalità, comparo a questo fine luoghi e atmosfere dell’ordinario e dello straordinario. Il genocidio ha una qualche base su forme congiunte di razionalità? Per quanto strano possa sembrare, la razionalità può essere irragionevole e diventare comunque sistema complesso e interrelato al cui interno ciò che pare di primo acchito irragionevole trova il suo posto nella società, aggirando le resistenze di molti, traducendosi troppo spesso in senso comune accettato. Da antropologo del linguaggio, rifletto dunque sui concetti di razionalità e sensibilità mettendoli in relazione con altri concetti quali insensibilità e irrazionalità, male e violenza. Non soltanto risultato di moti irrazionali, esplosioni folli di atti assurdi collettivamente ripudiati, il male e la violenza sono più spesso irreggimentazioni di logiche d’insieme finalizzate a scopi precisi, sono ‘elementi’ in gioco resi coerenti all’interno di complessi di ragioni le cui connessioni mirano, come nel caso dei campi di concentramento, a particolari fini tecnici e persino tecnocratici. Il male e la violenza si costituiscono in quanto forme congiunte, confuse e sovrapposte di razionalità e irrazionalità, sovente subdolamente dissimulate, in termini segnici, da connotazioni ideologiche prodotte ad uopo per sventare resistenze e modellare persuasivamente la ricezione altrui. Il passo importante è sventarne la costruzione materiale e simbolica, rifiutarne la costituzione ideologica d’insieme nel suo stesso processo in divenire interno ed esterno alla cultura, nella sua adesione quotidiana manifestata spesso da impliciti automatismi e inconsapevoli sostegni frutto di operazioni mediatiche. Il male fa sistema? La violenza ha una sua razionalità? L’ipotesi sul continuum della violenza (Scheper Hughes) andrebbe allora vista di pari passo con quella di Goffman secondo cui le istituzioni totali, quale che esse siano, tendono a produrre meccanismi di esclusione e di violenza simbolica e materiale. In altri termini, sfumare la distinzione tra violenza ordinaria e straordinaria dovrebbe procedere di pari passo con l’indagine sulle varie istituzioni che generano internamento, persino le più innocue apparentemente, quali potrebbero essere un normale ospedale o un comune pronto soccorso. Si dovrebbe mettere pure l’accento, sempre più, sulle storie di vita individuali, di persone ordinarie, sottoposte a eventi straordinari: alle diaspore, migrazioni e internamenti in campi per profughi.
Nella Babele del campo di sterminio: le parole dei prigionieri raccontate dagli Italianka. 1 Per comunicare, l'uomo usa il linguaggio, ovvero la capacità di esprimersi attraverso gesti, segni, movimenti, suoni, ma soprattutto attraverso le parole. E le parole sono quella parte del linguaggio che solo l'uomo sa usare in modo del tutto peculiare. Attraverso le parole, infatti, comprendiamo la realtà che ci circonda e, nella realtà, possiamo provare a sopravvivere e a manifestare il nostro pensiero e le nostre emozioni. La Bibbia narra che vi era un tempo durante il quale gli uomini parlavano una lingua universale. Di conseguenza, tutti si capivano facilmente e, proprio per questo motivo, gli uomini tramavano contro Dio. Per poter raggiungere il potere gli uomini iniziarono a costruire una torre che doveva portare loro verso il cielo. Grazie alla comunicazione, gli uomini potevano lavorare insieme alla realizzazione di questo progetto. Ma Dio aveva un altro pensiero: Ecco ch'essi sono un sol popolo e un labbro solo è per tutti loro; questo è il loro inizio nelle imprese; ormai tutto ciò che hanno mediato di fare non sarà loro impossibile. Orsù discendiamo e confondiamo laggiù la loro lingua, cosicchè essi non comprendono più la lingua l'uno dell'altro. 2 Secondo l'insegnamento della Bibbia, nacquero così le diverse lingue presenti nel mondo. Sulla Terra convivono da secoli centinaia di lingue e migliaia di dialetti. E forse, è anche per questo motivo, che nel mondo esistono tante differenze non solo linguistiche, ma anche culturali che spesso alimentano i conflitti politici. La storia ci insegna che le parole dette incautamente sono estremamente pericolose. Come disse un scrittore polacco: "Chi spara con le parole, prima o poi, finisce in trincea." 3 1 La frase usata verso la cittadina italiana da una ragazza polacca in un libro di L. Millu, I ponti di Schwerin, Antonio Lalli, Firenze, 1978, p.37. 2 Gn 11, 1-9.San Paolo, Milano, 2003. 3 P. Huelle, Castrop, Sowo/ Obraz terytoria, Danzica, 2004, tradotto da Anna Szwarc Zajac, p. 141.
2004
Vivanti, nacque a Bologna l'otto di aprile del 1881 e completò gli studi universitari nell'ateneo della nostra città. La sua carriera accademica, dopo un non breve periodo di assistentato a Bologna, dal 1905 con Giacomo Ciamician, inizia nel 1920, quando riesce secondo nel concorso per la cattedra di chimica generale bandito dall'università di Messina. Nell'ottobre dello stesso anno venne chiamato, come straordinario, all'università di Cagliari, e nel 1921, in seguito al voto della facoltà di scienze, venne chiamato all'università di Parma dove fu nominato ordinario 1. Scrive la commissione giudicatrice: «Egli presenta sette pubblicazioni. Il gruppo principale riguarda lo studio sui calorici specifici di corpi polimeri ed isomeri, di idrocarburi allo stato solido e sul valore dei legami tra atomi nei reticoli cristallini. Si tratta di argomenti di estremo interesse nell'attuale momento scientifico ed è da lodarsi l'iniziativa del Padoa di affrontarne lo studio. Una memoria studia il coefficiente di temperature delle velocità di reazione per diverse luci colorate e costituisce un buon contributo al campo favorito di ricerche del Padoa. Un'altra breve nota tratta del rendimento di alcune reazioni fotochimiche arrivando al risultato che in certi casi l'azione di una luce complessa non è uguale alla somma delle azioni delle loro componenti. Il Padoa descrive poi una microbomba calorimetrica che può rendere utili servizi in vari casi» 2 .
Didascalie. Rivista della scuola in Trentino, 2006
L' articolo racconta di un viaggio organizzato dall'Ufficio Scolastico della Provincia Autonoma di Trento per l'aggiornamento professionale dei docenti, nell'ambito delle iniziative per la giornata della Memoria.
2018
The text is a brief summary of my PhD-work on the Italian speaking School of Alto Adige in the period of the Nazi domination
Quando il cielo era nemico - Rovereto (TN) – 24 aprile 1945
La storia che leggerete in questa ricerca sarà un tuffo nel passato, un viaggio a ritroso nel tempo, che vuole raccontare la tragedia della guerra in una cittadina situata sulla Brenner Line in una mattina di inizio primavera del 1945. Comprendere cosa passarono i nostri genitori e nonni è un importante elemento della nostra storia personale; capire la sofferenza causata dalla guerra spero rafforzi la nostra determinazione a prevenirla e a lavorare sempre per la pace.
[email protected]. La storia di genere nell'era digitale: fonti, narrazioni, rappresentazioni nei vecchi e nuovi media. Atti del 5° Convegno nazionale sull'insegnamento della storia nell'era digitale, 2018
Italiano LinguaDue, 2020 , 2020
«La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite e guai a chi non afferra al volo» scrive Primo Levi in Se questo è un uomo, cercando di trovare le parole giuste per descrivere una sensazione provata costantemente dai deportati nel lager nazista di Auschwitz. I temi dell’incomunicabilità all’interno del lager, della privazione della parola e della possibilità di comprendere sono presenti in tutte le testimonianze scritte e orali dei superstiti italiani delle deportazioni, che cercarono di orientarsi nel plurilinguismo della realtà concentrazionaria. Studiare la lingua del lager significa attraversare le parole dell’odio, dell’umiliazione e della violenza nazista, ma anche approfondire il valore umano della comunicazione fra compagni di deportazione, attraverso una lingua fatta di solidarietà, speranza e resistenza. Lo studio del linguaggio in un contesto particolare come quello del lager diventa, dunque, un mezzo per indagare il sistema concentrazionario dal suo interno e provare a riscoprire la voce di chi lo visse. https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/15017
Giurisprudenza Italiana, 2024
The article offers a brief commentary on the decision issued by the Italian Supreme Court in a case of ostentation, during the commemoration of a fascist event, of an image that ridicules the Shoah. The article then deals with the theme of hidden antisemitism and humoristic racist propaganda in a critical manner: it highlights the shortcomings, on the one hand of the Italian legislation, on the other, of the ordinary probatory tools in addressing cases of black humor (neo)nazist-fascist propaganda. It finally suggests some alternatives and solution to better approach the theme of the subtle expression of neonazist and neofascist contents.
Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio A cura di Enzo Traverso Bollati Boringhieri Prima edizione aprile 1995 © 1995 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino
Raccontare con la fotografia Percorsi di indagine e di creazione a cura di Elisa Bricco, 2021
Riflessioni sulla mostra Polska-Izrael-Niemcy, a cura di Delfina Jałowik e Jürgen Kaumkötter, aperta al pubblico il 15 maggio 2015 al Museo d’Arte Contemporanea di Cracovia - MOCAK
Alina Margolis-Edelman Una giovinezza nel ghetto di Varsavia, 2014
Postazione a uno dei ibri fondamentali per conoscere la vita nella Polonia occupata dai nazisti e nel ghetto di Varsavia
dossier/memento auschwitz agosto 2009. Settantacinque migranti eritrei, rimasti alla deriva per oltre venti giorni nonostante le varie richieste di soccorso, muoiono a largo di Lampedusa nel tentativo di raggiungere le coste italiane. Il quotidiano Avvenire interviene sulla vicenda puntando l'indice contro l'indifferenza dell'Occidente di fronte a queste tragedie umanitarie, evocando lo spettro della Shoah: «L'Occidente a occhi chiusi» -scrive Marina Corradi nell'editoriale -«non ha voluto vedere il barcone degli eritrei dispersi in mare, come durante il nazismo nessuno vedeva i convogli piombati pieni di ebrei». 25 aprile 2011. In occasione delle celebrazioni per l'anniversario della Liberazione, a Roma, nel popolare quartiere del Pigneto, compare una scritta in ferro identica a quella che campeggiava all'ingresso del lager di Auschwitz. Anziché in tedesco, è in inglese: «Work Will Make You Free». L'episodio viene subito denunciato come una vergognosa provocazione razzista, ascrivibile all'area dell'estrema destra xenofoba. Qualcosa, tuttavia, non quadra. Il Pigneto è un cosiddetto quartiere multiculturale dove vivono artisti, studenti, immigrati; è inoltre una zona storicamente di sinistra. Nel giro di poche ore, infatti, l'evento assume nuova luce. L'autore del gesto è un giovane artista che intendeva in questo modo attirare l'attenzione sul tema delle morti sul lavoro e del precariato: «Io volevo che guardando questo cancello, installato in una periferia, abitata da giovani precari ed extracomunitari oggi diventati clandestini, tutti riflettessero sul fatto che un pezzo di lager è nelle nostre città, mentre noi ce ne passeggiamo spensierati». Per alcuni, quello che era apparso come un gesto vergognoso e riprovevole, è ora un'opera di street art. Recentemente in un questionario preparato per un gruppo di studenti della scuola superiore italiana era richiesto di as-I racconti dell'indicibile Andrea Minuz Il monito adorniano sull'irrapresentabilità dell'Olocausto fa oggi da sfondo a una grande narrazione, una sorta di epica negativa che attraversa tutte le forme dell'immaginario 20 PAG. 6 SAPERE -DICEMBRE 2011 SAPERE -DICEMBRE 2011 PAG. 7 Uno scorcio del Museo ebraico di Berlino. All'interno dell'edificio diversi volumi vuoti simboleggiano la distruzione della cultura ebraica (foto Deror avi).
Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe 2Sessantatré anni dopo, il dibattito sulla deportazione degli ebrei di Roma è ancora aperto e vivace. Si continua a discutere sull'origine e le modalità di formazione delle liste con gli indirizzi degli ebrei da catturare, sulla collaborazione della polizia fascista con la Gestapo nazista, sul comportamento della cittadinanza, sul silenzio del Papa, sull'ignavia della dirigenza della Comunità ebraica, sull'opera di salvataggio, a rischio della propria vita, di tanti giusti tra le nazioni.
Immagine, 2024
in: Ilaria Agostini, Silvio Alovisio, Stella Dagna, Alessandro Faccioli (a cura di), Revisualizing International Landscapes. Paesaggi e location del cinema muto cent'anni dopo, Immagine, 27, 2024, pp. 171-217
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