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etica e tecnica in Platone

Abstract

Analogia tecnica ed etica in Platone (appunti). Spesso si ritiene che l'etica socratico-platonica, per cui la virtù è conoscenza, il vizio è ignoranza e nessuno compie il male volontariamente, sia un'etica piuttosto indulgente, che toglie la volontà di fare il male e giustifica tutti con la scusa dell'ignoranza. In realtà è tutto il contrario. L'etica socratico-platonica è estremamente dura, ai limiti del cinismo. Intendendo l'etica secondo il modello tecnico, e dunque eliminando la volontà e l'intenzione dai criteri di valutazione etica (infatti sotto questo profilo tra gli uomini non c'è alcuna differenza, perché tutti vogliono e intendono realizzare la stessa cosa, ossia la loro felicità, come si spiega nell'Eutidemo) non per questo Platone nega la differenza tra colpa e innocenza; piuttosto finisce per identificare l'ignoranza stessa (in quanto identica al vizio) come colpa. Questo stato di cose comporta delle conseguenze molto impopolari e dure da digerire. Ad esempio, non c'è più nessuna differenza tra bontà intesa come sapere e bontà intesa in senso morale (i moralizzatori vorrebbero risolvere il paradosso finale dell'Ippia Minore dicendo che Platone confonde, volutamente o no, le due cose; quando invece, se è vero che per Platone virtù è conoscenza, è ovvio che intende proprio dire che sono identiche). Oppure, se si ama una persona perché è buona, ciò significa che la si ama perché è sapiente, per cui non c'è nessuna ragione plausibile di amare chi è ignorante (ossia vizioso; cfr. il Liside). O ancora; se uno aveva intenzione di fare una cosa buona ma per la sua ignoranza ha finito per procurare un danno, sotto il profilo morale è da giudicare in modo totalmente negativo, e la buona intenzione non conta nulla (la virtù risiede nel sapere, non nell'intenzione, appunto perché l'intenzione è uguale per tutti). L'Ippia Minore si inscrive anch'esso, come altri dialoghi giovanili, in tale contesto, per cui contribuisce ad arricchire la lista dei paradossi apparenti (per mostrare, ovviamente, che per quanto certe tesi possano apparire paradossali, esprimono tuttavia il reale stato di cose). Tra questi paradossi c'è anche quello secondo cui chi mente volontariamente, in quanto più sapiente di chi, essendo ignorante, non lo può fare, sarebbe più virtuoso di lui (qualunque cosa ne pensino i moralisti). Poiché questo paradosso è strettamente connesso all'ipotesi che anche l'etica sia una tecnica, è sempre stata molto forte la tentazione, all'interno della letteratura critica, di risolverlo semplicemente attribuendo al Socrate platonico che se ne fa portatore un atteggiamento ironico e dialettico, come se la sua intenzione non fosse quella di sostenere il modello tecnico in prima persona, ma di mostrare a quali incongruità si perviene se lo si adotta, come farebbero i suoi avversari sofisti. Ora, è vero che in molti dialoghi, e in particolare nell'Ippia minore, Socrate assume riguardo l'analogia tra etica e tecnica un atteggiamento ambiguo, in quanto sembra voler affermare e negare al tempo stesso che quell'analogia sia accettabile. Ma non bisogna dimenticare, in primo luogo, che certe affermazioni paradossali come il fatto che la virtù sia conoscenza o che nessuno compia il male volontariamente sono profondamente radicate nel modo di pensare e di ragionare del Socrate platonico; e in secondo luogo che affermazioni problematiche come quella su cui ci siamo soffermati sopra (chi mente volontariamente è migliore di chi lo fa per ignoranza) sono appunto la diretta conseguenza di questi paradossi. Se dunque si vuole davvero scoprire il segreto di questa e di altre ambiguità presenti nel testo platonico (segnalate da accorti segnali retorici e stilistici), bisogna avere l'accortezza di capire che hanno per lo più lo scopo di avvertire che certe proposizioni, se sono vere da certi punti di vista e sulla base di determinate spiegazioni, non lo sono invece da altri punti di vista e sulla base di differenti spiegazioni. I casi sono numerosissimi. L'Ippia Minore non fa eccezione. Nella fattispecie Platone intende far capire che se da un certo punto di vista la tesi secondo cui chi mente volontariamente dimostra di possedere conoscenza e virtù è vera, da un altro punto di vista è falsa. Questa duplicità di esiti è strettamente connessa ai diversi modi (rispettivamente scorretto o corretto) in cui può essere rappresentato il modello tecnico. Posta l'identità generica fra l'etica e il sapere tecnico, l'affermazione secondo cui chi mente volontariamente è migliore di chi lo fa per ignoranza è vera se si intende la tecnica alla maniera dei sofisti, ossia come teoria e pratica dell'imbroglio finalizzata alla vittoria nella discussione (come accade nell'Eutidemo, dove per i due