Alighiero Boetti è stato (anche in senso geografico) il più eccentrico fra i protagonisti dell'Arte Povera. Per molti versi la sua complessa e variegata ricerca caratterizzata da una raffinata ironia concettuale, apparentemente ludica ma legata a fondamentali questioni di fondo, è stata in anticipo sui tempi. Anche se fin dall'inizio ( a partire dalla sua prima personale alla Galleria Stein di Torino nel 1967) il suo ruolo nell'ambito delle tendenze processuali e concettuali a livello internazionale è stato sempre considerato molto rilevante, con una presenza costante nelle principali mostre di punta, solo negli anni successivi alla sua prematura scomparsa nel 1994 il suo lavoro di inimitabile originalità ha raggiunto finalmente un definitivo riconoscimento, anzi una vera e propria "consacrazione". E questo successo è legato a una riconsiderazione e rivalutazione critica di Boetti sollecitata anche dal fatto che la sua opera ha avuto e ha ancora una decisiva influenza su molti fra i migliori artisti neoconcettuali delle ultime generazioni come per esempio Stefano Arienti, Martin Creed, Tom Friedman, Mario Torres Garcia, e Jonathan Monk. Il fascino così attuale del lavoro di Boetti, interpretato in chiave postmoderna, deriva soprattutto dalla intenzionale oscillazione fra tensione concettuale che rende difficile (ma solo fino a un certo punto) la decodificazione dei processi generativi delle composizioni fatte di segni, cifre e lettere, e una felice attitudine pop nell'uso di colori e immagini di diretto impatto visivo. Ed è proprio per questa particolare alchimia estetica che Boetti è un artista molto amato dai giovani artisti, che lo considerano un maestro, e sempre di più dal grande pubblico (in particolare per la sua produzione della seconda fase). La sua è un'arte che sembra a prima vista piacevole, gioiosa, leggera (nel senso in cui Calvino intende questo termine), con eleganti valenze decorative, e che nei suoi presupposti operativi, e cioè nei suoi enunciati iniziali -il materiale scelto, la situazione lavorativa, il "che fare" e con che -risulta quasi sempre di una disarmante e spaesante elementarità 2) . Ma al di là di questa piacevolezza di superficie, ad una lettura più attenta e meditata delle opere, ecco che emergono progressivamente come da scatole a doppio fondo aspetti essenziali, progressivamente sempre più affascinanti. Ci si rende conto con chiarezza dell'importanza delle problematiche fondamentali che hanno appassionato e ossessionato l'artista: la dimensione del doppio (sul piano concettuale ma anche esistenziale); la messa in gioco programmatica della categoria temporale in relazione a quella spaziale; il gusto analitico e ironicamente sistematico per le classificazioni, le proliferazioni sequenziali e la visualizzazione di formule combinatorie numeriche e alfabetiche, più o meno criptiche; la dialettica fra ordine e disordine, fra caso e necessità; il sottile piacere per le ingegnose pratiche quasi infantili di bricolage con materiali semplici; la spersonalizzazione dell'intervento creativo attraverso la delega ad altre persone (come bambini, studenti,