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È noto l’interesse di De Sanctis per Alfieri, in particolare per la sua produzione tragica. Il ritratto alfieriano offertoci dal critico irpino è quello di un letterato costantemente alla ricerca di se stesso, determinato a creare la « tragedia delle tragedie ». Alfieri si propone, attraverso un percorso complesso che De Sanctis riesce a tracciare con rara finezza interpretativa, un « ideale altissimo di tragica perfezione », che da un lato porti a compimento quanto in ambito tragico era stato fatto da chi lo aveva preceduto, dall’altro gli consenta di dar voce al suo tempo come al suo animo « tutto passione ». Leggendo Alfieri, De Sanctis prende posizione nei confronti di interpreti meno attrezzati e sensibili di lui e ci regala pagine sorprendentemente felici, che rivelano la grande sintonia fra tragediografo e critico e si mostrano disseminate di intuizioni che saranno poi riprese da lettori che, in tempi più recenti, guarderanno proprio a De Sanctis.
Tradurre le Tragedie di alfieri :
Vittorio Alfieri e le Satire: critiche e contestazioni contro il "vil secol" settecentesco, 2016
Alcune tracce del genere satirico sono già riscontrabili in alcune opere che non hanno la vera e propria titolazione di "satira". Archetipo del genere nella cultura europea è Omero, autore, secondo la tradizione, del poemetto "Batracomiomachia" e dell'operetta "Margite" che, con caustica ironia e sguaiata comicità, smitizza valori e tradizioni del mondo greco. Nel genere satirico, fra l'altro, bisogna annoverare la diàtriba cinica e cinico-stoica, i cui autori più famosi sono Menippo di Gadara, che compose opere satiriche miste di prosa e versi, e Bione di Boriatene; proprio da lui Orazio trarrà ispirazione per le sue Satire. Il primo autore latino di saturae è Quinto Ennio; nelle sue opere si trovano perlopiù riflessioni autobiografiche e morali, unite a spunti di filosofia, che solamente in determinati punti convergono verso uno stile prettamente satirico. Se bisogna prestare fede agli antichi, è Lucilio ad essere considerato l'inventore del genere così come lo conosciamo noi oggi. Prediligendo un registro aggressivo e scagliandosi contro la corruzione pubblica e privata, Lucilio stigmatizza ogni forma di vizio. La satira diviene, così, lo specchio della violenza con cui veniva condotta la lotta politica tra le fazioni oligarchiche aspiranti al governo della repubblica. Nell'età di Augusto sarà Orazio ad occuparsi principalmente di satira, distaccandosi dallo spirito aggressivo della satira luciliana e abbandonando gli attacchi verso i personaggi politici del tempo, optando per un'ironica rappresentazione dei difetti e delle miserie degli uomini. Persio, autore di sei satire pubblicate postume, vissuto in età neroniana, pur evidenziando notevoli affinità con la satira di Orazio, sostituisce all'ironia del Venosino un accentuato rigorismo. Il poeta è un ammiratore delle opere luciliane ma i suoi versi mancano dell'aggressività verbale contro gli uomini potenti e corrotti, evitando ogni riferimento ai problemi della vita politica. L'aspetto originale della sua satira consiste nelle metafore, nei passaggi arditi, nella tecnica allusiva, che creano una sorta di arte ermetica. Un altro grande poeta satirico dell'età imperiale è Giovenale. La sua poesia nasce da una forte esplosione di sdegno: "facit indignatio versus", per la corruzione, per l'immoralità, per l'ingiustizia, di cui è osservatore ogni giorno. La satira in lui si ammanta di protesta sociale. Nel corso dei secoli l'ossequio ai classici latini, in particolare Orazio, preservò la satira facendole superare la barriera linguistica della nascita di letterature in lingue regionali. La satira ebbe ampio uso nella poesia orale giullaresca, di cui ci sono pervenuti alcuni frammenti scritti. A partire dal Duecento, va notata soprattutto in Dante la compresenza di un registro comico-realistico, in corrispondenza della critica corrosiva alle personalità che lo avevano disconosciuto ed esiliato, fino ad allargarsi ad una visione critica dell'intera società a lui contemporanea. È con grande sdegno e forte corrosività che il fiorentino sceglie di attaccare l'ipocrisia e la superficialità propria dei suoi contemporanei. Anche Boccaccio farà ricorso al linguaggio satirico per evidenziare e smascherare la corruzione e i vizi delle classi agiate del suo tempo, intessendo le novelle del suo Decameron di continue allusioni e vivaci doppi sensi. Nel Rinascimento, la letteratura converge tutta verso il petrarchismo, visto come il ramo più robusto dell'esperienza classicistica, e quello anche dove si fa più percepibile l'evoluzione del gusto; da un altro lato, sulle diverse forme di contestazione del classicismo, sono riscontrabili spie di una notevole complessità culturale e di un disagio della civiltà che ha profonde radici spirituali nella crisi del rapporto tra Umanesimo e pensiero cristiano.
Parallelamente al percorso che porta Alfieri ad affinarsi come tragediografo, questi sviluppa l'ideale del Sublime Scrittore, figura titanica nella quale s'identifica pienamente, contrapposta a quella del tiranno. Il concetto di Sublime costituisce la base di tutto il sistema di pensiero del poeta piemontese e coincide con l'espressione formalmente perfetta di un'idea di altissima levatura morale. Sicuramente Alfieri ebbe modo di studiare il trattato Del sublime (attribuito al filosofo greco Longino) poiché questo fu tradotto dal suo amico Francesco Gori, che lo fece stampare nel 1733. Dunque, si può affermare, senza dubbio, che lo Pseudo-Longino sia una delle fonti del pensiero dello scrittore astigiano, il quale rielabora, in modo personale, le teorie espresse nel suddetto scritto greco, facendone la base di tutta la propria produzione. Innanzitutto, colpisce il fatto che il filosofo greco affermi che "la scienza e il discernimento del vero sublime non sono cosa facile". 1 Infatti, per Alfieri il sublime non è una mera categoria estetica, ma l'essenza stessa dei propri pensieri ed, in ultima analisi, della propria esistenza. Come scrive Maria Pastore Passaro:
21 Il testo completo della lettera del Calzabigi e la relativa risposta dell'autore si trovano in appendice ai punti I e II.
Nuova informazione bibliografica, 2004
Vita di Vittorio Alfieri. Manoscritto Laurenziano Alfieri 241-2, edizione in facsimile con commentario a c. di Franca Arduini, Clemente Mazzotta, Gino Tellini, trascrizione di Clemente Mazzotta, 3 voll. , Firenze, Edizioni Polistampa, 2003. Tra le iniziative apparse in occasione del bicentenario della morte di Vittorio Alfieri figura l'elegante edizione in facsimile del Manoscritto Laurenziano Alfieri 241-2, contenente la Vita scritta da esso, ultima fatica letteraria del poeta che progettava di concluderla e darla alle stampe nel 1806 per potersi poi dedicare a " vegetare, e pedantizzare su i classici" (L'uom propone, e Dio dispone, 1790). Di fatto Alfieri comincia la stesura del racconto autobiografico nel 1790 arrestandosi al cap. XIX dell'Epoca IV, fino al 1798 quando, fatti apprestare i due volumetti in 8 o con la copertina blu chiaro dell'Alfieri 24, vi ricopia una redazione modificata
Lingua e stile nel «Purgatorio»: memoria e modernità, in Voci sul «Purgatorio» di Dante. Una nuova lettura della seconda cantica, a cura di Zygmunt G. Baranski e Maria Antonietta Terzoli, Roma, Carocci, 2024, vol. I, pp. 39-58
volume terzo apparati bibliografia generale Sigle e abbreviazioni di opere dantesche Sigle e abbreviazioni generali Opere di Dante non comprese nelle Sigle e abbreviazioni Edizioni e commenti della Commedia Testi, saggi, strumenti indici Indice dei nomi, dei luoghi e dei personaggi Indice delle opere di Dante Indice dei manoscritti indice Lingua e stile nel Purgatorio: memoria e modernità* di Giovanna Frosini 1 Identità. La parola di un tosco "Chi è costui che 'l nostro monte cerchia prima che morte li abbia dato il volo, e apre li occhi a sua voglia e coverchia?". "Non so chi sia, ma so ch'e' non è solo; domandal tu che più li t'avvicini, e dolcemente, sì che parli, acco'lo" (Purg. xiv 1-6). Solo un poeta geniale fabbro della propria lingua poteva scrivere questi versi, con cui si apre, senza didascalie, senza intermittenze -caso unico in tutto il poema -il canto xiv del Purgatorio: le due battute di colloquio, equamente spartite sulle due terzine, degli spiriti che solo dopo sapremo essere Guido del Duca e Rinieri da Calboli, ma che per ora sono soltanto «l'uno a l'altro chini» (v. 7) nella cornice degli invidiosi, con le palpebre cucite con filo di ferro, parlano di un terzo, di cui avvertono la presenza di uomo vivo (prima che morte abbia dato il volo alla sua animula), e per di più non solitario. E ne parlano unendo reminiscenze di tono biblico del Vecchio e Nuovo Testamento («Chi è costui») 1 , filtrate attraverso un testo sublime quale Chi è questa che vèn di Guido Cavalcanti, giocando acutamente su opposizioni verbali (aprire vs coverchiare), e su studiate disposizioni sintattiche («Non so» / «ma so»), e chiudendo con un verso che oppone la melodiosa distesa dell'avverbio nel primo emistichio (dolcemente) alla sincopata successione verbale della seconda sezione. * Dedico queste pagine a Giuseppe Gherpelli, a cui si deve se il progetto della Commedia Divina. Il Purgatorio, realizzato dall'arte magnifica della Compagnia Lombardi-Tiezzi, è passato dalla potenza all'atto. 1. Cant 8 5 e passim; Mt 3 14.
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"Narrare la tragedia. Nel centenario della nascita di Primo Levi" a cura di Ilaria Cavallin, Cristina Teresa Penna ed Enrico Sinno, Cesati Editore, Firenze, 2021
Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere - Incontri di Studio, 2013
Vittorio Alfieri da asino scimmiotto di Voltaire al Misogallo, 2009